Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18680 del 11/07/2019

Cassazione civile sez. II, 11/07/2019, (ud. 22/01/2019, dep. 11/07/2019), n.18680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8972-2017 proposto da:

A.A., AL.AM., dall’avvocato FABIO ERCOLINI;

– ricorrenti –

contro

FL DOMUS SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso

lo studio dell’avvocato GIANCARLO LAGANA’, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARCO BOSCHERINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1680/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/01/2019 dal Consigliere Dott. TEDESCO Giuseppe;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato Luigi Falvo D’URSO, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Fabio ERCOLINI, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato BOSCHERINI Marco, difensore del resistente che si

riporta agli atti depositati chiede inammissibilità o in subordine

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.A. e Al.Am. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Livorno la F.L. Domus s.r.l. (Domus).

Essi esponevano:

che in data 13 febbraio 2006 gli attori avevano alienato alla Domus un appartamento di loro proprietà per il prezzo di Euro 300.000,00, di cui erano pagati solo Euro 200.000,00;

che in pari data le medesime parti avevano stipulato un contratto preliminare a mezzo del quale gli attori si obbligavano ad acquistare l’immobile venduto al medesimo prezzo;

che al contratto preliminare accedeva un contratto di locazione in base al quale i promittenti acquirenti, in relazione all’immobile già di loro proprietà, avevano acquistato la qualifica di conduttori e si obbligavano a corrispondere al locatore la somma di Euro 350,00 mensile a partire dal 28 febbraio 2006;

che la complessiva stipulazione si spiegava in ragione delle seguenti vicende:

– la Domus era stata fornitrice della Color Service s.r.l., della quale l’ A. era stato socio e presidente del CdA ed a favore della quale l’ Al. aveva rilasciata fideiussione bancaria;

– la Domus aveva ceduto la propria azienda al Colorificio Overac s.r.l., società composta dagli stessi soci della Domus;

– la Color Service era caduta in stato di grave crisi finanziaria;

– quindi, su proposta dalla Domus, interessata ad espandersi nel mercato di Livorno attraverso la Colorificio Overac, fu costituita la Delta Color s.r.l. e si lasciò che il Tribunale di Livorno dichiarasse il fallimento della Color Service;

che grazie a tale operazione la Colorificio Overac otteneva il pagamento della fornitura eseguita alla Delta Color, mediante retrocessione, sul prezzo di vendita, della somma di Euro 100.000,00;

che l’ A., sempre nel febbraio 2006, restituiva i restanti Euro 100.000,00 in contanti a F.P. e L.M., soci comproprietari al 50% della Colorificio Overac;

che il 13 febbraio 2006 era stato concluso fra le parti un ulteriore contratto denominato deposito fiduciario, volto a regolare i rapporti con riguardo ai restanti Euro 100.000,00, prevedendosi la prestazione di una fideiussione da parte della Domus a favore della Delta Color di pari importo;

che, per il caso che il fideiussore fosse stato liberato, Domus si era assunta l’obbligo di pagare, per conto dei venditori e su loro richiesta la somma di Euro 135.000,00, costituente l’originario debito bancario della Color Service garantito con fideiussione degli attori e in relazione al quale era stata trascritta domanda giudiziale per revocazione di fondo patrimoniale.

Tanto premesso gli attori chiedevano accertarsi e dichiararsi la nullità ex art. 2744 c.c. del contratto di compravendita, poichè l’operazione complessivamente delineata integrava una ipotesi di patto commissorio vietato, rappresentando l’immobile la garanzia che aveva indotto la Domus alla concessione di linee di credito per l’importo di Euro 100.000,00, che avrebbero dovuto essere restituiti in cinque anni, corrispondendosi medio tempore interessi convenzionali a partire dal 28 febbraio 2006 pari a Euro 4.200,00 annuali.

Si costituiva la convenuta e chiedeva il rigetto della domanda.

Evidenziava che risultava dalla medesima esposizione operata nella citazione che gli attori non erano stati costretti a vendere alla Domus per estinguere una obbligazione verso quest’ultima, ma avevano venduto con la reale volontà di vendere al fine di ottenere denaro fresco per consentire il decollo della loro società Delta Color s.r.l., che era stata costituita dalla imprenditrice Al.Am. di fatto coadiuvata nell’attività imprenditoriale dal marito A.A..

Il tribunale rigettava la domanda, argomentando che la vendita non era stata contratta per garantire una obbligazione dei venditori nei confronti dell’acquirente, ma per ottenere un finanziamento.

La Corte d’appello di Firenze confermava la sentenza.

Essa identificava le condizioni perchè si configurasse violazione dell’art. 2744 c.c. nei seguenti termini:

a) l’esistenza di una posizione debitoria dell’ A. e dell’ Al. sorta precedentemente o contestualmente all’atto di compravendita;

b) il carattere solo apparentemente immediato del trasferimento, essendo il reale fine perseguito dai contraenti quello di attribuire il bene solo in caso di inadempimento, secondo l’ipotesi paradigmatica del contratto di vendita con il patto di riscatto nella quale il patto sia subordinato all’adempimento del venditore.

Secondo la corte tali presupposti nel caso in esame facevano difetto, in assenza della prova di un rapporto obbligatorio che legasse il venditore alla società acquirente.

Si trattava in effetti di una operazione di finanziamento destinata a consentire lo sviluppo della neo costituita Delta Color.

La corte poneva in luce come non ci fosse nel preliminare alcuna clausola che subordinasse il trasferimento della proprietà dalla Domus all’avvenuta estinzione del debito da parte del venditore promittente acquirente. Anzi era prevista una penale di Euro 150.000,00 nel caso di mancata conclusione dell’atto di compravendita entro il 28 febbraio 2011.

Per la cassazione della sentenza A.A. e Al.Am. proponevano ricorso, affidato a un unico motivo.

La. Domus ha resistito con controricorso.

La causa è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza della Sesta sezione civile.

La controricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2744 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Il ricorrente rimprovera alla corte di non essersi attenuta al principio secondo cui va ravvisata la nullità del patto commissorio, e la conseguente nullità del contratto, anche rispetto a negozi fra loro collegati, qualora dagli stessi scaturisca un assetto di interessi attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene al creditore che dia luogo non tanto ad una funzione di scambio, quanto ad uno scopo di garanzia, a prescindere sia dalla natura traslativa o obbligatoria del contratto, sia del momento temporale di verificazione dell’effetto traslativo.

Invero, nel caso in esame, la concatenazione degli atti negoziali posti in essere dalle parti evidenziava che il trasferimento era stato voluto con il fine di garantire il pagamento del debito tramite la preventiva cessione del bene in proprietà.

Infatti Domus aveva consentito ai ricorrenti di fruire di un finanziamento, precostituendosi la garanzia provvisoria costituita della proprietà dell’immobile dei debitori.

Occorreva poi considerare che la Overac, composta dagli stessi soci della Domus, aveva avviato un rapporto di fornitura con la Delta Color, maturando quindi verso questa un credito per il corrispondente importo, estinto grazie al finanziamento ottenuto dietro prestazione della garanzia costituita dalla proprietà dell’immobile. Infatti la Delta Color aveva retrocesso, al fine del pagamento della fornitura, alla medesima Overac l’importo di Euro 100.000,00, costituente parte del prezzo corrisposto dalla F.L. Domus per la vendita dell’immobile.

Si rappresenta che il bene era rimasto nella disponibilità dei ricorrenti, che corrispondevano sotto forma di canone l’interesse convenzionale sulla somma di Euro 100.000,00.

Si rappresenta ancora che la Domus si era insinuata al passivo della Color service s.r.l. per l’importo di Euro 28.468,49.

2. Il ricorso è fondato.

Secondo la formula in passato correntemente richiamata il criterio discretivo tra vendita fiduciaria a scopo di garanzia e vendita dissimulante un mutuo con patto commissorio deve individuarsi nel fatto che nella prima la proprietà si trasferisce immediatamente ed effettivamente al venditore, i quale può assumere l’impegno, derivante da accordo interno con efficacia obbligatoria di ritrasferire il bene al venditore se questi estinguerà il debito garantito nel termine previsto, mentre nella seconda le parti, pur dichiarando formalmente di volere comprare e vendere, concordano in concreto che il creditore-compratore diventerà proprietario soltanto se il debitore non estinguerà il debito nel termine stabilito, così ponendo in essere una vendita sotto condizione sospensiva (Cass. n. 3843/1983).

Tale tesi è stata poi superata dalla evoluzione giurisprudenziale successiva, che riconosce la illiceità del patto commissorio a prescindere dal momento del trasferimento. L’orientamento oramai consolidato reputa infatti radicalmente nullo il patto commissorio anche nelle alienazioni fiduciarie in cui si conviene che il bene rimane definitivamente nella disponibilità del creditore a seguito di inadempimento della obbligazione garantita.

Ogni qual volta la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, stipulata fra il debitore ed il creditore, risponda all’intento delle parti di costituire una garanzia, con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore solo in caso di inadempienza del debitore, il contratti è nullo anche quando implichi un trasferimento effettivo della proprietà (con condizione risolutiva), atteso che, pur non integrando direttamente il patto commissorio, previsto e vietato dall’art. 2744 c.c., configura un mezzo per eludere tale norma imperativa, e, quindi, esprime una causa illecita, che rende applicabile all’intero contratto la sanzione dell’art. 1344 c.c., che rende applicabile la sanzione dell’art. 1344 c.c. (Cass. n. 4514/2018; n. 8957/29014; n. 16953/2008; n. 9900/2001; n. 1567/1996; n. 2126/1991).

Insomma, pure se sia previsto il trasferimento effettivo del bene, ciò non toglie che la vendita, se stipulata per una causa di garanzia, è ugualmente nulla, perchè con riferimento al divieto del patto commissorio qualunque negozio, anche se astrattamente lecito è colpito da nullità, perchè in frode alla legge, quando le parti abbiano voluto conseguire i risultati proibiti dall’art. 2744 c.c. (Cass. n. 7890/1994).

In questo caso il trasferimento del denaro, da parte del compratore, non costituisce pagamento del prezzo, ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serve solo per costituire una garanzia capace di evolversi a seconda che il debitore adempia e non adempia l’obbligo di restituire le somme ricevute (Cass. n. 2725/2007).

3. La corte di merito non si è attenuta a tali principi.

In primo luogo, al fine di escludere la violazione del divieto, ha fatto leva sulla immediatezza del trasferimento laddove tale elemento non è decisivo al fine verificare la liceità della stipulazione.

E’ stato ampiamente chiarito che tale elemento, di per sè, non esclude la violazione del patto ove risulti che comune intenzione dei contraenti sia stata quella di attuare una garanzia reale in funzione di un mutuo, con l’irrevocabilità del trasferimento soltanto all’atto dell’inadempimento del mutuatario venditore.

Se l’alienazione è fatta a scopo di garanzia la simulazione non riguarda il passaggio di proprietà, ma la causa del contratto, che non è quella di scambio tipica della vendita.

La corte ha riconosciuto che la vendita perseguiva l’interesse dei venditori di finanziare lo sviluppo di una loro società senza che vi fosse prova della esistenza di un rapporto obbligatoria fra le parti contrattuali. A ciò ha aggiunto che nel preliminare non ci era alcuna previsione che subordinasse il riacquisto dell’immobile all’estinzione del debito.

In questi termini la corte non ha considerato che la finalità di finanziamento sottesa all’operazione non esclude, di per sè, che questa possa mascherare una violazione del divieto, qualora risulti che l’alienazione è stata voluta in funzione di garanzia di un credito (preesistente o contestualmente creato) dell’alienatario nei confronti dell’alienante.

E’ emblematica in questo senso la giurisprudenza della corte in materia lease back.

Il riconoscimento della liceità di tale contratto, in quanto persegue il meritevole interesse dell’imprenditore di procurarsi un capitale liquido vendendo i beni aziendali senza perderne il possesso e con la possibilità riaverne la proprietà a seguito della restituzione del capitale ricevuto, non esclude che come la vendita con patto di riscatto possa prestarsi a mascherare un’alienazione che non è in funzione di scambio ma in funzione di garanzia e che incorre nel divieto del patto commissorio quando la mancata restituzione comporta per il garante la perdita del bene senza che il bene venga conteggiato secondo il suo valore attuale (Cass. n. 1273/2005; 1625/2015).

Ulteriori indici dell’errore interpretativo in cui è incorsa la corte d’appello si colgono in quella parte della sentenza là dove si pone in luce, da un lato, che non vi era prova della preesistenza di un debito fra le parti, dall’altro che non esisteva un’apposita previsione del patto di retrovendita che subordinasse l’obbligo del venditore alla restituzione del capitale.

A tali rilievi è facile replicare che: a) ove risulti che la vendita fu voluta in funzione di garanzia, la stipulazione è illecita anche se coeva al sorgere del credito, che è erogato al venditore sotto forma di pagamento del prezzo (fermo restando che la vendita in garanzia può essere stipulata in relazione ad un debito precedentemente sorto che venga prorogato: Cass. n. 7882/1994); b) che non occorre che la estinzione del debito sia posta come condizione del riacquisto, perchè la restituzione, al pari dell’erogazione del finanziamento, avviene sotto forma di pagamento del prezzo.

Infine, quanto all’ulteriore rilievo che il finanziamento era destinato non ai venditori, ma alla società da questi costituita, la corte non ha tenuto conto che il divieto del patto commissorio riguarda qualsiasi negozio attraverso il quale le parti intendono realizzare il risultato vietato dalla legge: e perciò nullo anche il trasferimento del bene al creditore da parte di un terzo (Cass. n. 8624/1998): “poichè il collegamento tra negozi è configurabile anche quando siano stipulati tra soggetti diversi purchè legati da un nesso teleologico e dal comune intento delle parti di perseguire oltre all’effetto tipico di ognuno di essi anche un ulteriore risultato concreto derivante dal collegamento, di modo che i negozi si pongono in rapporto di reciproca dipendenza e le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro, è nullo il patto di vendita con patto di riscatto stipulato tra il mutuatario e un soggetto diverso dal mutuante allo scopo di costituire una garanzia dell’adempimento del primo nei confronti del creditore, in quanto, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall’art. 2744 c.c., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa” (Cass. n. 7740/1999; n. 18655/2004; n. 22903/2018).

In conclusione la corte di merito, nel compiere l’indagine sulla causa del contratto, è stata ispirata da una errata ricostruzione della fattispecie astratta, il che giustifica l’accoglimento del ricorso, correttamente articolato quale violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La sentenza va pertanto cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, che provvederà a nuovo esame attenendosi ai principi di cui sopra e regolerà le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 22 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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