Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18676 del 27/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/07/2017, (ud. 12/04/2017, dep.27/07/2017),  n. 18676

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7695/2015 R.G. proposto da:

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.P.A., in persona dei curatori p.t. Prof.

Avv. C.F. e Dott. Ca.Fr., rappresentato e

difeso dall’Avv. Domenico Trobia, con domicilio eletto in Roma, via

Montello, n. 20, presso lo studio dell’Avv. Florangela Marano;

– ricorrente –

contro

PALUANI S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t.

T.R., rappresentata e difesa dagli Avv. Stefano Mirandola e Simon

Pietro Francesco Ciotti, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Monte dei Cenci, n. 21;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Latina depositato il 3 febbraio

2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 aprile

2017 dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

RILEVATO

che i curatori del fallimento della (OMISSIS) S.p.a. hanno proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso il decreto indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Latina ha accolto l’opposizione proposta dalla Paluani S.p.a. avverso lo stato passivo del fallimento, ammettendo al passivo, in via chirografaria, un credito di Euro 84.358,64 per forniture di alimentari, oltre interessi legali fino alla data della dichiarazione di fallimento.

che la Paluani ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo i curatori del fallimento denunciano la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, artt. 1 e 2 osservando che l’importo del credito ammesso al passivo comprende, oltre alla sorta capitale, interessi riconosciuti con un decreto ingiuntivo non opponibile alla massa, in quanto non ancora divenuto definitivo alla data della dichiarazione di fallimento, e quindi da calcolarsi non già ai sensi dell’art. 4, comma 3 predetto decreto, ma in misura legale, ai sensi dell’art. 1 cit., comma 2, lett. a);

che il motivo è infondato, avendo questa Corte già affermato ripetutamente che il D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 1, comma 2, lett. a), il quale stabilisce l’inapplicabilità delle disposizioni dettate dal medesimo decreto per i debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, dev’essere interpretato nel senso che, conformemente alla regola dettata in via generale dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 55 l’esclusione del tasso d’interesse maggiorato previsto dagli artt. 4, comma 3, e 5, comma 1 (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 e dal D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192), opera soltanto a decorrere dalla data della dichiarazione di fallimento, fermo restando il diritto al riconoscimento di quelli già maturati in epoca anteriore all’accertamento dello stato d’insolvenza del debitore (cfr. Cass., Sez. 6, 8 febbraio 2017, n. 33000; 5/06/2016, n. 8979);

che la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 231 cit., art. 4 in virtù della quale gl’interessi si producono automaticamente e senza necessità di una formale costituzione in mora del debitore, trova infatti giustificazione nello statuto peculiare delle transazioni commerciali tra imprese, imposto dal diritto comunitario, e quindi non suscettibile di interpretazioni abroganti da parte del giudice interno;

che i presupposti per l’applicazione del diritto comunitario (ovverosia l’automatico addebito degli interessi moratori nei rapporti ai quali è applicabile la direttiva menzionata) ricorrono, proprio perchè operanti ex lege e senza necessità di un provvedimento giudiziale, fino a quando non intervenga la dichiarazione di fallimento dell’impresa, senza che alla stessa possa riconoscersi effetto retroattivo;

che, in mancanza di una sentenza passata in giudicato (o, come nella specie, di un provvedimento giurisdizionale di condanna divenuto definitivo) che abbia accertato il credito maturato a titolo d’interessi moratori, l’accertamento dei predetti presupposti è rimesso al giudice delegato al fallimento in sede di ammissione al passivo (o al tribunale fallimentare in sede di opposizione allo stato passivo), secondo le regole stabilite dalla legge speciale, attuativa della direttiva 2000/35/CE del 29 giugno 2000;

che, nella specie, non merita pertanto censura il decreto impugnato, nella parte in cui ha disposto l’ammissione al passivo della somma complessiva di Euro 84.358,64, comprendente l’importo dovuto a titolo di corrispettivo per forniture di alimentari eseguite in favore della società fallita, maggiorato dell’IVA (Euro 75.429,03), e gl’interessi calcolati al tasso previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 fino alla data della dichiarazione di fallimento (Euro 8.929,61);

che con il secondo motivo i curatori deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., rilevando che, nel riconoscere gl’interessi legali sia sull’importo dovuto per sorta capitale al lordo dell’IVA che su quello dovuto per interessi commerciali, il decreto impugnato ha pronunciato oltre i limiti della domanda proposta dall’opponente;

che il motivo è parzialmente fondato, in quanto, come risulta dall’atto di opposizione, trascritto in parte qua nel ricorso, la Paluani aveva chiesto l’ammissione al passivo del credito vantato a titolo di corrispettivo per le forniture eseguite, maggiorato dell’IVA, nonchè di quello per interessi sulla predetta somma fino alla data della dichiarazione di fallimento, quantificandone l’importo, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 4 in complessivi Euro 8.929,61;

che, avuto riguardo alla puntuale specificazione delle somme dovute, contenuta nella narrativa dell’atto di opposizione, risulta evidente la volontà della creditrice di ottenere il riconoscimento degl’interessi sia su quella richiesta a titolo di corrispettivo che su quella richiesta per IVA, con la conseguenza che deve attribuirsi ad un mero errore materiale la diversa indicazione riportata nelle conclusioni, in cui gl’interessi venivano richiesti sul solo importo dovuto al netto dell’IVA;

che il riconoscimento degl’interessi legali sia sulla somma dovuta per sorta capitale che su quella dovuta per interessi maturati fino alla data della dichiarazione di fallimento si traduce invece in ultrapetizione, non essendo stato richiesto dall’opponente, la quale si era limitata a sollecitare l’ammissione al passivo del solo importo complessivamente indicato a titolo d’interessi commerciali;

che il decreto impugnato va pertanto cassato, nei limiti segnati dalla censura accolta, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con l’ammissione al passivo dell’importo dovuto per sorta capitale ed interessi calcolati ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 4, comma 3, fino alla data della dichiarazione di fallimento;

che l’incertezza della questione sollevata con il primo motivo, già oggetto di contrastanti precedenti nella giurisprudenza di merito e solo di recente risolta dalla giurisprudenza di legittimità, giustifica l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

PQM

 

rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie parzialmente il secondo; cassa il decreto impugnato, in relazione alla censura accolta; decidendo nel merito, ammette al passivo la Paluani S.p.a. per l’importo di Euro 84.358,64, in via chirografaria. Compensa interamente tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2017

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