Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18675 del 12/09/2011

Cassazione civile sez. II, 12/09/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 12/09/2011), n.18675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16341-2005 proposto da:

M.V. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO SOGLIANO 70, presso lo studio

dell’avvocato BERETTA EMILIO BATTISTA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

M.M.G., M.A.;

– intimati –

sul ricorso 19275-2005 proposto da:

M.A. C.F. (OMISSIS), M.M.G.

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato DEL BUFALO LAURA,

rappresentate e difesi dall’avvocato FUMEO MASSIMO;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

M.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO

SOGLIANO 70, presso lo studio dell’avvocato BERETTA EMILIO BATTISTA,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrentie al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3286/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato Beretta Emilio Battista difensore delle ricorrenti

che si riporta agli atti;

udito l’Avv. Del Bufalo Laura con delega depositata in udienza

dell’Avv. Fumeo Massimo difensore delle resistenti che si riporta

agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato in data 20 aprile 1993, M.V. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Monza la sorella A., chiedendone la condanna alla restituzione dell’importo di L. 22.950.000, indebitamente prelevato dal conto corrente presso la Cariplo di (OMISSIS) intestato all’attore con delega alla convenuta.

Questa si costituì rilevando che su detto conto era confluito danaro dei genitori, entrambi deceduti, il cui patrimonio mobiliare era stato gestito da Venanzio, dopo che si era trasferito presso la casa di loro proprietà, senza rendere il conto, e che lo stesso non aveva provveduto a pagare le spese di degenza nella casa di riposo ove erano stati ricoverati i genitori: ciò che la aveva indotta ad effettuare prelievi dal conto corrente. Rilevò di avere interesse alla chiamata in causa della coerede M.M.G., e chiese in via riconvenzionale al Tribunale di dichiarare l’attore tenuto a rendere il conto della gestione del patrimonio mobiliare dei genitori, di disporne la divisione e di condannare il fratello al rilascio della casa già di proprietà del padre e alla corresponsione alle coeredi il pagamento della indennità per la occupazione dell’immobile.

M.M.G., costituitasi, fece proprie le domande svolte in via riconvenzionale dalla sorella A., e chiese altresì la divisione del patrimonio dei genitori.

Quindi, con atto di citazione notificato il 24 febbraio 1994, le due sorelle convennero in giudizio innanzi allo stesso Tribunale il fratello per sentir dichiarare la nullità, in quanto non di pugno del de cuius, o l’annullabilità, per incapacità di intendere e di volere del testatore, del testamento olografo apparentemente redatto dal padre in favore del figlio V., chiedendo, in subordine, la riduzione delle disposizioni testamentarie per lesione della legittima.

2. – Espletate le c.t.u., il Tribunale adito dichiarò la nullità del testamento del (OMISSIS), accertando che l’eredità andava divisa tra i tre figli, e dichiarò l’indivisibilità dell’immobile in questione, assegnandolo congiuntamente alle due sorelle, ponendo a carico delle stesse il pagamento in favore del fratello della somma di Euro 51.645,78, e condannando quest’ultimo al rilascio dell’immobile medesimo, subordinatamente a detto pagamento, ed inoltre condannò il M. al pagamento in favore delle sorelle della somma di Euro 18000,00 a titolo di indennità di occupazione, e dell’ulteriore importo di Euro 34.430,46, di cui il M. si sarebbe appropriato; condannò M.A. a restituire al fratello la somma di Euro 11852,69, respingendo ogni ulteriore domanda.

Avverso la sentenza propose appello il M., al quale resistettero A. e M.M.G., che proposero appello incidentale.

3. – Con sentenza depositata il 24 dicembre 2004, la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello incidentale, e, in parziale accoglimento di quello principale, rigettò la domanda delle sorelle di pagamento delle somme di cui l’appellante si sarebbe appropriato, pari ad Euro 34.430,46. La Corte territoriale ritenne infondate le censure rivolte alla statuizione relativa alla nullità del testamento in questione, osservando che dalla c.t.u. era emerso che all’epoca della data risultante dalla scheda testamentaria ((OMISSIS)) il padre dei tre fratelli non era più capace di intendere e di volere, essendo affetto dal morbo di Alzheimer, e che inoltre dalla perizia grafica era risultato che la stesura delle disposizioni testamentarie non era interamente riconducibile alla mano del M..

La Corte di merito giudicò, invece, fondata la critica avanzata da M.V. alla condanna al pagamento in favore delle sorelle della somma di Euro 34.430,46, basata su di una presunta appropriazione degli importi ricavati dalla vendita del certificato di deposito di circa L. 100.000.000, già intestato alla madre, ritenendo probante sul punto l’avvenuto accredito sul conto corrente Cariplo intestato al M. della somma di L. 112.131.094, in realtà frutto del disinvestimento di certificati di deposito acquistati in precedenza.

Infondato fu ritenuto l’appello nella parte relativa alla contestazione dell’assegnazione congiunta in favore delle sorelle M. dell’immobile in questione, rilevandosi che esse avevano espressamente richiesto la divisione della comunione ereditaria relativa al bene nel corso del giudizio di primo grado, e che l’assegnazione congiunta era corretta rappresentando le sorelle la quota maggiore del bene. Sulla quantificazione della indennità di occupazione del bene, censurata da entrambe le parti appellanti, il Tribunale aveva correttamente ritenuto che nella relativa valutazione si dovesse tenere conto del cattivo stato di manutenzione del bene stesso, e che, peraltro, non si potesse ridurre eccessivamente tale indennità, tenuto conto della natura e dell’entità del bene.

La Corte ritenne quindi infondato l’appello incidentale delle sorelle M., diretto ad ottenere la condanna del fratello al pagamento di una somma maggiore di quella determinata dal Tribunale per le dedotte e non provate appropriazioni operate dal M.; così come infondato fu ritenuto l’appello incidentale di M. A. in relazione alla condanna al pagamento della somma di Euro 11.852, 69 in favore del fratello Venanzio, per non essere stata provata la utilizzazione della somma per soddisfare i bisogni dei genitori.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre M.V. sulla base di quattro motivi. Resistono con controricorso M. A. e M.G., che hanno anche proposto ricorso incidentale al quale il M. resiste con controricorso, e hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Deve, preliminarmente, disporsi, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza.

2. – Con il primo motivo del ricorso principale sì deduce omessa motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia prospettato dall’appellante, consistente nella illegittima ammissione delle c.t.u. sull’autografia del testamento e sulla capacità del testatore. Nel giudizio di appello, il M. aveva dedotto quale error in procedendo la circostanza che, non avendo le sue sorelle prodotto alcun elemento a supporto della domanda di nullità o annullamento del testamento olografo del padre, il giudice di primo grado avesse disposto una c.t.u. medicolegale ed una grafologica a scopo di mera indagine esplorativa, cui egli si era opposto contestandone la legittimità e la ritualità. La Corte di merito aveva omesso di prendere in considerazione tali doglianze, rigettandole con la generica formula “ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa”, che non spiegava le ragioni poste a fondamento della decisione.

3.1. La censura è infondata.

3.2. – Premesso che la consulenza tecnica, che in genere ha funzione di fornire al giudice la valutazione dei fatti già probatoriamente acquisiti, può costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva anche in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con ricorso a determinate cognizioni tecniche (v. Cass., sentt. n. 1512 del 2003, n. 2802 del 2000), nella specie, pur non avendo la Corte di merito esplicitato il convincimento che la sua attività valutativa richiedesse l’apporto di alcune cognizioni tecniche – quali, da un lato, quelle necessarie all’accertamento dell’autenticità della scheda testamentaria, dall’altro, quelle richieste per l’apprezzamento delle condizioni psichiche del testatore all’atto della redazione del testamento – , risulta evidente come da tali accertamenti non potesse prescindersi al fine di dare una soluzione alla questione sottoposta ai giudici di primo e secondo grado: sicchè, a fronte della deduzione della non autenticità della scheda testamentaria e della incapacità di intendere e di volere del testatore, avrebbe violato la legge processuale il giudice di merito ove avesse rifiutato l’ammissione delle c.t.u. sotto il profilo del mancato assolvimento, da parte dell’istante, dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 cod. civ..

3.3. – Del resto, lo stesso tessuto motivazionale della sentenza impugnata evidenzia quale rilievo detti esami abbiano rivestito nella formazione del convincimento della Corte territoriale.

4. – Con il secondo motivo, si denuncia insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia prospettato dall’appellante, consistente nell’ingiustificato rigetto della istanza di rinnovazione o integrazione delle c.t.u. sull’autografia del testamento e sulla capacità del testatore. Quanto alla perizia grafica, con riferimento alle incertezze in ordine alla paternità delle aggiunte e rimarcature alla scheda testamentaria, il M. aveva ricordato che solo quando l’intervento del terzo elimini il carattere di stretta personalità dell’atto lo rende nullo, essendo, invece, questo valido allorchè detto intervento si risolva in una meccanica collaborazione nella formazione dell’atto. Il giudice di secondo grado aveva escluso la paternità del testamento in capo al testatore solo perchè secondo la c.t.u. l’intervento correttivo sarebbe stato attuato puntualizzando, con correzioni e ripassi di linee, lettere prive di significato ortografico, laddove il mero ripasso di linee non può alterare il contenuto e il significato del documento. Per tale ragione, sarebbe stato necessario chiamare a chiarimenti il c.t.u. Quanto alla perizia medico-legale, essa aveva affermato la incapacità di intendere e di volere del testatore solo sulla base di quanto riferito dalle sorelle M., senza che si procedesse ad accertamenti oggettivi per essere deceduto il periziando, e senza che venissero sentiti i sanitari che lo avevano avuto in cura. La contestazione di tale metodo derivava dalla considerazione che, essendo il morbo di Alzheimer una patologia caratterizzata da un decorso progressivo, sarebbe stato essenziale accertare il grado della capacità di intendere e di volere del de cuius al momento della compilazione della scheda testamentaria, tanto più che esisteva la prova che poco prima e poco dopo la redazione del testamento il testatore era capace di intendere e di volere. La sentenza di appello non aveva dato sostanzialmente risposta al M. sul punto, limitandosi a confermare sul punto la decisione di primo grado, riprendendone argomentazioni o motivazioni, così come non aveva dato risposta alla doglianza relativa alla mancanza di rigore scientifico nell’accertamento.

5.1. – La censura è immeritevole di accoglimento.

5.2. – Essa sostanzialmente impinge in valutazioni discrezionali del giudice di merito in ordine alle risultanze delle c.t.u., delle quali la sentenza impugnata, a differenza di quanto dedotto dal ricorrente, ha dato conto in modo pienamente esaustivo e convincente.

In particolare, quanto all’esito della perizia grafica, la Corte ambrosiana ha chiarito di condividere le conclusioni del c.t.u.

secondo le quali, dalle incongruenze rilevabili tra le varie parti del documento, si ricavava con certezza l’intervento di un terzo nella redazione della scheda testamentaria, che aveva completato parole, alle quali erano stati apportati ripassi e correzioni: ne discendeva inevitabilmente la esclusione della completa riconducibilità del documento al testatore.

5.3. – Quanto, poi, alla c.t.u. medico-legale sulle condizioni psichiche del de cuius, la Corte territoriale ha fornito una puntigliosa ricostruzione dell’iter logico-giuridico che la ha condotta a ritenere lo stesso incapace di intendere e di volere al momento della redazione del testamento, facendosi carico del carattere progressivo della patologia dalla quale egli era affetto, e pervenendo alla conclusione che, alla data del (OMISSIS), la malattia lo affliggeva già da anni circostanza, codesta, desunta dalla documentazione clinica prodotta – e che la consulenza tecnica aveva escluso che essa potesse, a quell’epoca, essere ancora, dopo un così lungo periodo, in quella fase iniziale in cui il declino cognitivo non determina una compromissione dell’autonomia e autosufficienza.

A fronte di una così minuziosa ricostruzione, nessuna valenza possono assumere le omissioni nella acquisizione di documenti segnalate dal ricorrente, nè il richiamo di documenti il cui testo, in dispregio del principio di autosufficienza del ricorso, non viene riportato.

6. – Con la terza censura si lamenta omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, consistente nella erronea determinazione dell’indennità di occupazione. La questione era stata oggetto di doglianza in sede di appello, ma il giudice di secondo grado aveva sostenuto che esattamente il Tribunale si era discostato dalle valutazioni del c.t.u. in considerazione del cattivo stato di manutenzione del bene, ascrivibile al M., senza prendere in esame le specifiche censure mosse alla decisione impugnata, le quali avevano riguardato la utilizzazione da parte del M. solo di parte dell’immobile, e la esistenza di un credito di L. 21.363.000 vantato nei confronti delle sorelle per spese sostenute per la riparazione del bene. Il giudice di primo grado aveva affermato che di queste ultime non vi erano prove, e che era irrilevante la occupazione parziale dell’immobile, poichè comunque era stato impedito alle coeredi di goderne. Con l’atto di impugnazione, il M. aveva sostenuto di aver provato per tabulas le spese sostenute per la manutenzione dell’immobile, ed aveva integrato tale documentazione con ulteriori documenti; ed aveva sottolineato come fosse privo di dimostrazione l’assunto secondo il quale egli avrebbe impedito alle coeredi di godere dell’abitazione dei genitori. Aveva aggiunto che il Tribunale non aveva tenuto conto delle indicazioni del c.t.u., discostandosene, al punto da riconoscere alle sorelle M. un indennizzo pari al doppio di quello stimato congruo dal tecnico. La Corte di merito, senza prendere in esame tali censure, si era limitata a richiamare la motivazione della prima sentenza, facendola propria.

7.1. – La doglianza è fondata nei termini e nei limiti che seguono.

7.2. – La Corte di merito, nel confermare il calcolo della indennità di occupazione dell’immobile di cui si tratta dovuta dall’attuale ricorrente alle sorelle, non ha tenuto conto delle spese dallo stesso sostenute – e del cui esborso egli dichiara di aver fornito la prova, enumerando i relativi documenti prodotti – per la riparazione del bene.

7.3. – Le suesposte considerazioni rendono necessario un riesame della quantificazione operata dalla Corte d’appello di Milano della indennità di cui si tratta, che, tra l’altro, si discosta significativamente dalla indicazione del c.t.u..

7.4. – Risulta, invece, priva di rilievo la circostanza della utilizzazione solo parziale dell’immobile da parte del M., cui da tempo le sorelle avevano chiesto di rilasciarlo.

8. – Con il quarto motivo si deduce contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia prospettato dall’appellante, consistente nella erroneità dell’assegnazione pro indiviso dell’immobile caduto in successione. Nel giudizio di secondo grado, il M. aveva eccepito l’illegittimità e l’inopportunità dell’assegnazione congiunta alle sue sorelle dell’immobile caduto in successione ai sensi dell’art. 720 cod. civ., osservando che la regola dettata da tale disposizione introduce solo un criterio di massima dal quale il giudice è libero di discostarsi: nella specie, le circostanze che il M. avesse contribuito economicamente e materialmente ai lavori di edificazione dell’immobile de quo, che avesse abitato l’appartamento per molti anni, sin da quando erano in vita i genitori, che avesse difficoltà nel reperire un nuovo alloggio, e che le sorelle disponessero già di un’altra abitazione, ove vivevano con le rispettive famiglie, avrebbero dovuto indurre il giudice a discostarsi dalla citata regola. La Corte di merito aveva, con motivazione contraddittoria, rigettato tali doglianze, osservando che il M. avrebbe da tempo goduto dell’immobile senza titolo, avendogli le sorelle chiesto di rilasciare il bene, laddove egli vi aveva in realtà abitato assieme ai genitori e successivamente lo aveva occupato in qualità di erede degli stessi. In definitiva, egli, in quanto coerede titolare di una quota minore ma occupante da tempo dell’immobile, avrebbe dovuto essere preferito alle sorelle come assegnatario, tenuto anche conto che la quota maggiore in capo alle sorelle era stata artificiosamente creata attraverso una istanza di assegnazione congiunta che non trovava riscontro negli interessi sostanziali delle parti istanti, che non intendevano coabitare nell’appartamento.

9.1. – La doglianza è destituita di fondamento.

9.2. – In tema di divisione ereditaria, nel caso in cui uno o più immobili non risultino comodamente divisibili, il giudice ha il potere discrezionale di derogare al criterio, indicato nell’art. 720 cod. civ., della preferenziale assegnazione al condividente titolare della quota maggiore, purchè assolva all’obbligo di fornire adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata (v. Cass., sentt. n. 11641 del 2010, n. 22857 del 2009).

Nella specie, la Corte di merito si è attenuta al criterio codicistico, donde la esclusione anche della necessità di fornire una motivazione al riguardo: motivazione di cui, peraltro, il giudice di seconde cure si è fatto carico, escludendo ogni valore, ai fini dell’assegnazione del bene al M., alla circostanza che egli vi abitasse da anni, avendogli le sorelle, titolari della quota maggiore del bene, chiesto di rilasciare l’immobile dal cui godimento erano state escluse.

10. Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo dello stesso si chiede che venga rideterminato il valore locativo dell’immobile in questione, ai fini della determinazione della somma dovuta dal M., a titolo di indennità di occupazione, alle sorelle, per essere stato operato il calcolo in base ai parametri della L. n. 392 del 1978, laddove la successione si era aperta il 22 giugno 1993, quando già vigeva la legge n. 359 del 2002.

11. Il motivo è destituito di fondamento. E’ sufficiente, al riguardo, considerare che le ricorrenti incidentali chiedono di applicare alla fattispecie una normativa non ancora esistente al tempo della apertura della successione.

12. – Con il secondo motivo, si lamenta la mancata condanna del M. alla restituzione alle sorelle di due terzi della somma di Euro 74.886,25, che le ricorrenti incidentali deducono appartenere ai genitori, ed essere in possesso del fratello.

13.1. – Il motivo è infondato.

13.2. – Al riguardo, la Corte di merito ha già correttamente motivato il rigetto della domanda, escludendo che sia stata raggiunta la prova che i genitori delle parti fossero titolari di certificati di deposito venduti dal M., che li avrebbe venduti, trattenendo il relativo importo. A fronte di tale conclusione, il motivo del ricorso incidentale si risolve in una richiesta di riesame delle valutazioni del materiale probatorio, inibito a questa Corte.

14. – Resta assorbito dal rigetto dei due motivi precedenti l’esame del terzo, con il quale le ricorrenti incidentali chiedono la condanna del M. al pagamento integrale delle spese dei gradi del giudizio, per effetto dell’accoglimento delle loro domande.

15. – In definitiva, il primo, il secondo ed il quarto motivo del ricorso principale, come il ricorso incidentale, devono essere rigettati, mentre va accolto per quanto di ragione il terzo motivo del ricorso principale. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad un diverso giudice – che si designa in altra sezione della Corte d’appello di Milano, cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio, che riesaminerà la controversia nella parte relativa alla quantificazione della indennità dovuta dal M. alle sorelle per la occupazione dell’immobile in questione, tenendo conto delle carenze motivazionali della sentenza impugnata evidenziate sub 7.2.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il primo, il secondo e il quarto motivo del ricorso principale, ne accoglie per quanto di ragione il terzo. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2011

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