Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18674 del 12/09/2011

Cassazione civile sez. II, 12/09/2011, (ud. 24/01/2011, dep. 12/09/2011), n.18674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14818-2005 proposto da:

M.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliatA in

ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato

CONTALDI MARIO, che lA rappresenta e difende unitamente agli avvocati

LABORAGINE RUGGERO, LONGHIN ROBERTO;

– ricorrente –

contro

M.A. (OMISSIS);

– intimata –

sul ricorso 18121-2005 proposto da:

M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MACCAGNO

CRISTIANA e DETTATEI Simonetta;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

M.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 430/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 14/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

udito l’Avvocato Contaldi Mario difensore del ricorrente che si

riporta agli atti;

udito l’Avv. Romanelli Guido difensore del resistente che si riporta

agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

l’assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – M.E. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Aosta il fratello V., chiedendo la declaratoria di falsità del testamento in data (OMISSIS), attribuito all’altro fratello E., deceduto il (OMISSIS), e l’apertura della successione legittima dello stesso. Il convenuto si costituì in giudizio, assumendo di non essere legittimato passivamente per aver rinunciato all’eredità.

La eccezione fu rigettata e la causa fu riunita ad altra radicata a seguito della proposizione di domanda analoga svolta dall’attrice nei confronti di M.A., figlia di V..

Venne disposta una prima perizia grafologica, nei confronti della quale l’attrice depositò note critiche del consulente di parte, quindi una rinnnovazione della stessa, con nomina del dott. Ag., cui venne affidato lo stesso quesito già formulato per il precedente c.t.u., con incarico di rispondere alle osservazioni svolte dal consulente di parte alle conclusioni cui era pervenuta la prima.

Nel frattempo M.V. era deceduto, lasciando come sua unica erede la figlia A., già parte in causa.

Successivamente, il c.t.u. fu nuovamente chiamato a chiarimenti.

L’attrice propose quindi istanza di ricusazione dello stesso, che fu rigettata con provvedimento depositato il 28 marzo 2002. La domanda dell’attrice fu rigettata.

2. – Avverso la sentenza del Tribunale di Aosta propose appello M.E.. Si costituì in giudizio M.A., che allo svolgimento del processo come esposto dal giudice di primo grado aggiunse che nell’ottobre del 1999, nella pendenza del giudizio di primo grado, M.E. aveva presentato denuncia querela nei confronti del dott. S., primo c.t.u. nominato dal Tribunale, del dott. Ag., secondo c.t.u. nominato in sostituzione del primo, e del dott. B., c.t.p. della convenuta appellata, prospettando una consapevole e preordinata falsificazione della perizia svolta nella causa civile in punto di accertamento della genuinità della scheda testamentaria di M.E.: il procedimento penale era stato poi archiviato il 18 ottobre 2001, a seguito del riconoscimento, ad opera del c.t.u., dell’autenticità della scheda testamentaria e della correttezza delle consulenze degli indagati.

3. – La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 14 marzo 2005, dichiarò inammissibile il gravame proposto da M.E., per violazione del disposto dell’art. 342 cod. proc. civ., in quanto esso riproponeva come argomenti di censura della sentenza, sia in ordine alla istanza di rinnovazione della consulenza tecnica, sia nel merito, le stesse considerazioni che avevano formato oggetto delle relazioni tecniche di parte e degli scritti difensivi, in particolare dell’ultima comparsa conclusionale, precedenti la redazione della sentenza, senza considerare minimamente il contenuto e le motivazioni della stessa. Esaminando, poi, l’appello incidentale di M.A. in ordine alle spese del primo grado del giudizio, compensate in considerazione della peculiarità e della particolare complessità della questione trattata, la Corte territoriale lo accolse parzialmente, ponendo a carico di E. nella misura del settantacinque per cento e di A. nella restante parte le spese di c.t.u. relative all’incarico affidato al dott. Ag., a carico di ciascuna delle parti, ognuna per il cinquanta per cento, le spese di consulenza tecnica relative all’incarico svolto dal dott. S., e a carico di E. nella misura del cinquanta per cento le spese processuali sostenute da A. nel primo grado, compensate per la parte restante, e integralmente le spese processuali sostenute da A. nel giudizio di secondo grado.

Osservò al riguardo la Corte di merito che, pur nella complessità della causa, le domande dell’attrice erano state totalmente disattese, e che, peraltro, la rinnovazione della prima consulenza tecnica era stata causata dalle doglianze di E., ritenute fondate dal giudice istruttore.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre M.E. sulla base di tre motivi, illustrati anche da successiva memoria.

Resiste con controricorso M.A., che ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato, ed ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Deve, preliminarmente, procedersi, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., alla riunione del ricorso principale e di quello incidentale, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza.

2. – Va esaminata, quindi, la eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della procura, sollevata dalla controricorrente sulla base del rilievo che questa sarebbe stata connotata da espressioni generiche, quale il riferimento ad un “procedimento …

in ogni sua fase e grado”, ed avrebbe conferito ai difensori poteri più ampi di quelli spendibili in sede di legittimità, e in ogni caso incompatibili con tale fase, quali quello di conciliare, transigere e chiamare terzi in giudizio.

3.1. – La eccezione non merita accoglimento.

3.2. – Posto che la procura risulta, nella specie, apposta a margine del ricorso, è sufficiente, per escludere la fondatezza del rilievo, richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità alla stregua del quale la procura al – difensore apposta a margine o in calce al ricorso per cassazione deve considerarsi conferita, salva diversa manifestazione di volontà, per il giudizio di cassazione, in quanto, costituendo corpo unico con l’atto cui inerisce, essa esprime necessariamente il suo riferimento a questo e garantisce il requisito della specialità, essendo irrilevante la mancanza di uno specifico riferimento al giudizio di legittimità (v. Cass., S.U., sent. n. 22119 del 2004 e succ. conf.), così come il richiamo nella formula di conferimento anche al giudizio di merito (v. Cass., sent. n. 5481 del 2006) e – deve aggiungersi – ai poteri dei difensori spendibili solo in tale giudizio.

4. – Il Collegio deve, poi, ancora in via preliminare, pronunciarsi sull’ammissibilità della richiesta della ricorrente di acquisizione della sentenza che sarebbe stata emessa ex art. 444 cod. proc. pen. nel procedimento penale a carico del c.t.u. Ag. per falsità della relazione contestata dalla stessa ricorrente nel corso del presente giudizio.

5.1. – La richiesta risulta inammissibile.

5.2. – La disposizione contenuta nell’art. 372 c.p.c., comma 1 vieta di produrre in Cassazione atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi di giudizio che non siano attinenti alla nullità della sentenza impugnata ed all’ammissibilità del ricorso e del controricorso.

Nella specie, la produzione della pronuncia di applicazione della pena su richiesta – che, peraltro, non ha, nel giudizio civile, l’efficacia di una sentenza di condanna – non sarebbe ricompresa in alcuna delle dette ipotesi, e, pertanto, l’acquisizione dell’atto non sarebbe ammissibile ai sensi del citato art. 372 c.p.c., comma 1.

6. – Con il primo motivo del ricorso principale, si lamenta violazione degli artt. 192, 196 e 63 c.p.c., art. 51 c.p.c., u.c., nonchè insufficienza ed illogicità della motivazione con riferimento al “principio di sollecitazione rinnovatoria”, ed omesso esame di un punto decisivo della controversia. Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata, nel rilevare che la istanza di ricusazione non era stata formalmente riproposta in appello, ma richiamata solo come spunto per giustificare la richiesta di rinnovazione della consulenza, non si era fatta carico di tale richiesta, omettendo ogni motivazione sulla questione, che era stata devoluta al giudice di secondo grado sulla scorta dell’ordinanza 4 luglio 2000, con la quale, nonostante la ritenuta tardività della ricusazione, il g.i., premesso che il compimento delle operazioni peritali e l’avvenuto deposito della relazione non elidono la possibilità per il giudice di compiere la valutazione di cui all’art. 63 c.p.c., commi 1 e 2, aveva ritenuto opportuno sentire il c.t.u. Ag., attesa la gravità e la natura dei fatti posti a fondamento dell’istanza, inquadrabili nell’art. 51 c.p.c., u.c. richiamato dall’art. 63 c.p.c., comma 2. In definitiva, avendo qualificato la istanza di ricusazione tardiva come “istanza sollecitatoria” dei poteri d’ufficio riconosciuti dall’art. 196 cod. proc. civ., l’appellante, attuale ricorrente, non la aveva più formalmente riproposta, peraltro denunciando in sede di gravame come la riserva valutativa di cui alla citata ordinanza non avesse trovato riscontro, e pertanto riprospettandola al giudice di secondo grado. La sentenza non si era pronunciata sulla questione, e non aveva dato conto della ragione per la quale non si era ritenuto degno di valutazione l’approfondimento che l’ordinanza 4 luglio 2000 aveva giudicato opportuno, e non era stata disposta la rinnovazione dell’accertamento peritale, incorrendosi nella violazione dell’art. 196 cod. proc. civ., chiave di volta per la lettura dell’art. 192 c.p.c., comma 2 quando le situazioni che legittimano il ricorso alla ricusazione emergano dopo la scadenza del termine decadenziale.

7.1. – La doglianza è infondata.

7.2. – La Corte di merito, nel rilevare che l’appellante, attuale ricorrente, non aveva reiterato con il gravame l’istanza di ricusazione del c.t.u. Ag., ma sostanzialmente aveva inteso offrire, attraverso le motivazioni addotte, uno spunto per giustificare una rinnovazione della c.t.u. ad opera del giudice di secondo grado, ha fatto buon governo del suo potere discrezionale al riguardo, motivatamente ritenendo che non sussistessero le ragioni per tale rinnovazione.

Il giudice di secondo grado, dopo aver fornito una articolata ricostruzione dell’impianto complessivo dell’atto introduttivo dell’appello, entrando altresì nel dettaglio delle affermazioni dell’appellante – attuale ricorrente – , ha sottolineato come essa non avesse svolto argomentazioni idonee a giustificare una rinnovazione della c.t.u., in presenza dell’analitica disamina, contenuta nella decisione di primo grado, della relazione tecnica del dott. Ag., e si è soffermato, tra l’altro, sulla carente contestazione delle considerazioni svolte nell’ordinanza di rigetto della istanza di ricusazione del predetto Ag. in data 28 marzo 2002.

7.3. – Nè, del resto, risultano formulati con i motivi di appello specifici rilievi, e nemmeno sollecitata una più approfondita indagine tecnica, ciò che avrebbe imposto al giudice di secondo grado di motivare la sua scelta negativa: sicchè, in definitiva, il mancato esercizio del potere discrezionale di disporre la rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio non risulta, nella specie, censurabile nella presente sede (v. Cass., sentt. n. 6261 del 1999, n. 4577 del 1998).

8. – Con la seconda censura, si lamenta violazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ., nonchè illogicità ed insufficienza della motivazione. Avrebbe errato la Corte di merito nel dichiarare inammissibile l’appello proposto da M.E. per violazione del disposto dell’art. 342 cod. proc. civ. sotto il profilo che esso avrebbe riproposto come argomenti di censura alla sentenza le stesse considerazioni che avevano formato oggetto delle relazioni tecniche di parte e degli scritti difensivi, senza considerare il contenuto e le motivazioni esposte a sostegno della decisione impugnata. In tal modo il giudice di secondo grado avrebbe interpretato in senso restrittivo e formalistico la citata disposizione, senza considerare che, ai fini dell’assolvimento dell’onere di specificazione dei motivi di gravame dalla stessa imposto, è sufficiente una chiara enunciazione delle ragioni della doglianza, tale da consentire di identificare con esattezza le questioni che si intendono sottoporre al riesame del giudice di appello. Il ricorrente sottolinea al riguardo di aver censurato la sentenza di primo grado per avere utilizzato la prima consulenza, di cui poi il g.i aveva disposto la rinnovazione a seguito delle osservazioni svolte dal c.t.p.; per non essersi soffermata criticamente sulla risposta, ritenuta sostanzialmente mancata, da parte del c.t.u. Ag. ai chiarimenti richiestigli con l’ordinanza 28 febbraio 2000; e di avere contestato la metodologia di indagine delle due consulenze.

9.1. – La censura coglie nel segno.

9.2. – Nel giudizio di appello – che non è un novum iudicium – la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono. Ne consegue che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i lìmiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass., sentt. n. 8771 del 2010, n. 9244 del 2007).

9.3. – Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la indicazione dei motivi di appello richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ. e, nel rito del lavoro, dall’art. 434 cod. proc. civ., non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame sia delle ragioni della doglianza, all’interno della quale i motivi di gravame, dovendo essere idonei a contrastare la motivazione della sentenza impugnata, avranno la necessità di essere più o meno articolati, a seconda della maggiore o minore specificità nel caso concreto di quella motivazione.

9.4. – Con riguardo, più specificamente, alla denuncia di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado degli elementi probatori acquisiti o delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, questa Corte ha affermato che è sufficiente, al fine dell’ammissibilità dell’appello, la enunciazione dei punti sui quali si chiede al giudice di secondo grado il riesame delle risultanze istruttorie, per la formulazione di un suo autonomo giudizio, non essendo richiesto, come nella diversa ipotesi del ricorso per cassazione, che l’impugnazione medesima contenga una puntuale analisi critica delle valutazioni e delle conclusioni del giudice che ha emesso la sentenza impugnata ovvero l’espressa indicazione delle questioni decisive non esaminate o non correttamente esaminate (Cass., sent. n. 16190 del 2004).

9.5. – Nella specie, l’onere di cui si tratta risulta adempiuto, contrariamente a quanto opinato dalla Corte di merito: è sufficiente, per convincersene, considerare che il giudice di secondo grado ha ritenuto violato il disposto dell’art. 342 cod. proc. civ. per essere state riproposte come censure le osservazioni contenute nelle relazioni tecniche di parte e negli scritti difensivi, laddove, a fronte del recepimento da parte del primo giudice delle risultanze della c.t.u., valutato dall’attrice come acritico, i motivi di censura non potevano che riprodurre quelle osservazioni cui non era stato dato seguito, senza che ciò recasse vulnus all’art. 342 cod. proc. civ..

10. – Resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale l’esame del terzo motivo, avente ad oggetto la violazione degli artt. 91 e 10 cod. proc. civ., nonchè della L. 13 giugno 1942, artt. 24 e 29 e del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, artt. 4, 5 e 6 nonchè violazione dell’art. 75 disp. att. cod. proc. civ. in relazione agli artt. 352 e 190 cod. proc. civ., e violazione ed erronea applicazione delle norme e principi sulla determinazione degli onorari, illogicità e contraddittorietà della motivazione.

11. Passando all’esame del ricorso incidentale, prospettato in via subordinata, con esso si ripropongono le argomentazioni – fondate sulla univocità e coerenza degli accertamenti peritali espletati – relative alla infondatezza delle doglianze svolte dall’attuale ricorrente nei confronti della sentenza di primo grado; e si chiede – in caso di accoglimento della censura sulla pronuncia di inammissibilità dell’appello, se non la conferma della sentenza impugnata, una sua riforma in punto di motivazione del rigetto dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ..

12. Il ricorso è inammissibile, poichè il risultato cui mira la ricorrente incidentale, parte vittoriosa (se non, parzialmente, con riferimento alla statuizione sulle spese, in relazione alla quale il suo appello incidentale era stato solo parzialmente accolto, e che peraltro non viene censurata con il ricorso incidentale), nel giudizio di merito, può essere raggiunto, come dalla stessa riconosciuto, con il mutamento di motivazione: sicchè viene meno l’esigenza della proposizione del ricorso incidentale per cassazione, ancorchè condizionato, non ricorrendo in tal caso l’ipotesi di una soccombenza teorica suscettibile di tramutarsi in soccombenza pratica con l’accoglimento del ricorso principale (cfr., sul punto, Cass., sent. n. 14970 del 2007).

13. – In definitiva, deve essere rigettato il primo motivo del ricorso principale, e deve esserne accolto il secondo motivo, assorbito il terzo. Il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata ad un diverso giudice – che viene designato in altra sezione della Corte d’appello di Torino, cui viene demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio, che riesaminerà la controversia escludendo la inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio per le ragioni esposte sub 7.2-7.5.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo, assorbito il terzo. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 24 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2011

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