Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18673 del 27/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/07/2017, (ud. 27/04/2017, dep.27/07/2017),  n. 18673

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27256-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.I., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO LALLI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8235/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/11/2010 R.G.N. 5287/2006.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 6 novembre 2010 la Corte di Appello di Roma ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa città ed ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto intercorso tra Poste Italiane s.p.a. e A.I. nel periodo dal 1.2.2002 al 30.4.2002 “per esigenze tecniche organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento delle risorse sul territorio anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e o sperimentazione di nuove tecnologie prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17,18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 1 gennaio 2002” ed ha dichiarato sussistente tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 1.2.2002 rigettando invece le domande risarcitorie.

che avverso tale sentenza Poste Italiane ha proposto ricorso affidato a sei motivi. A.I. si è difeso con controricorso notificato oltre il termine previsto dall’art. 370 c.p.c., comma 1, ed ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che preliminarmente, nonostante l’inammissibilità del controricorso avviato per la notifica quando il termine era oramai decorso, va dichiarata ammissibile ed esaminata la memoria depositata dal contro ricorrente atteso che “in tema di rito camerale di legittimità di cui alla L. n. 197 del 2016, art. 1 bis che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 168 del 2016, applicabile, ai sensi del comma 2 della stessa norma, anche ai ricorsi depositati prima dell’entrata in vigore della legge di conversione per i quali non sia stata ancora fissata l’udienza o l’adunanza in camera di consiglio, alle parti costituitesi tardivamente nei corrispondenti giudizi deve essere riconosciuto il diritto di depositare memorie scritte, nel termine di cui all’art. 380-bis c.p.c., comma 1, al fine di evitare disparità di trattamento rispetto ai processi trattati in pubblica udienza ed in attuazione del principio costituzionale del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost. oltre che dell’art. 6 CEDU.” (cfr. Cass. 27/02/2017 n. 4906).

Che i primi due motivi di ricorso con i quali è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175,1375,2697,1427 e 1432 c.c. e dell’art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 oltre che la contraddittoria ed insufficiente motivazione della sentenza in relazione ad una circostanza rilevante per la decisione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 sono infondati alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che ha ripetutamente affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, essendo il solo decorso del tempo o la semplice inerzia del lavoratore, successiva alla scadenza del termine, insufficienti a ritenere sussistente la risoluzione per mutuo consenso, costituente pur sempre una manifestazione negoziale, che, seppur tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo, in conseguenza della mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto di lavoro.” (cfr. tra le tante Cass. 28/01/2014 n. 1780, 14/10/2015n. 20704 e recentemente ord. 20.4.2017 n. 10027).

che il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso sono del pari infondati atteso che, come ripetutamente affermato da questa Corte, l’apposizione di un termine ai contratti di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, e che ben possono risultare anche per relationem, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Del pari, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte è onere del datore di lavoro provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva del termine e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie dallo stesso formulate (vedi per tutte: Cass. 10 febbraio 2010, n. 2279; Cass. 11 dicembre 2012, n. 22716 e recentemente di nuovo Cass. sez. 6-L 13/03/2017 n. 6442). Spetta al giudice di merito accertare con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto. Nel caso in esame contrariamente a quanto asserito dalla società ricorrente, la Corte di merito ha correttamente applicato il suddetto principio allorquando ha accertato, con motivazione adeguata ed immune da rilievi di ordine logico-giuridico, l’illegittimità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro, avendo affermato che nella fattispecie non risultava essere stato assolto l’obbligo motivazionale di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, posto che la lettura del contratto di assunzione consentiva di rilevare che la causale in esso indicata riproduceva in modo ripetitivo la lettera della legge, nulla dicendo in ordine al nesso causale con le mansioni per il cui espletamento la lavoratrice era stata assunta. Inoltre gli accordi sindacali richiamati non erano di per sè idonei a giustificare la mancata specificazione dei motivi con inerenza alla singola assunzione e, in ogni caso, era mancata la prova sul punto di una specifica causale negoziale (cfr. in termini recentemente oltre alla già citata Cass. n. 4906 del 2017 anche tra le altre Cass. 19/03/2016 n. 5451 e già Cass.27/4/2010 n. 10033).

Che in conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese, da liquidarsi limitatamente all’attività difensiva ritualmente svolta, sono poste a carico della società soccombente nella misura indicata in dispositivo.

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 1.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre al 15% per spese forfetarie ed accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2017

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