Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1867 del 21/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 21/01/2022, (ud. 12/11/2021, dep. 21/01/2022), n.1867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14161-2021 proposto da:

CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Parioli 180, presso lo studio dell’avvocato GIANMICHELE FADDA,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

I.M.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

Roma, VIA MARIA ADELAIDE 12, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO ANNARUMMA, che la rappresenta e difende unitamente a se

stessa;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Parioli 180, presso lo studio dell’avvocato GIANMICHELE FADDA,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 27305/2020 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 30/11/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

BERTUZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ha proposto ricorso, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., per la revocazione della ordinanza della Corte di Cassazione n. 27305 depositata il 30.11.2020;

I.M.C. ha notificato controricorso e ricorso incidentale.

la causa decisa tra le parti aveva ad oggetto la domanda dell’avv. I. di pagamento dei compensi per la rappresentanza ed assistenza della Congregazione in due procedimenti civili riuniti dinanzi alla Corte di appello di Roma, promossi dalla Congregazione contro il comune di Roma per la determinazione delle indennità di occupazione ed espropriazione di immobili, a cui era seguita una transazione;

all’esito del giudizio la Corte di appello, con ordinanza n. 1624 del 2016, ritenuta la non utilizzabilità come prova del documento di quietanza prodotto dalla Congregazione, avente ad oggetto il versamento all’avv. I. dell’importo di Euro 300.000,00, atteso il disconoscimento della sua sottoscrizione, liquidava in favore del professionista il compenso in misura inferiore a quello richiesto, reputando applicabile lo scaglione tariffario corrispondente all’importo determinato dalle parti nell’atto transattivo e che nulla spettasse al legale per le attività correlate alla conciliazione, non essendo stato tale accordo formalizzato in sede processuale;

proposto ricorso per la cassazione della suddetta decisione dall’avv. I. in via principale e dalla Congregazione in via incidentale, con ordinanza n. 27305 del 30.11.2020, qui impugnata, questa Corte accoglieva i primi due motivi del ricorso principale, rigettava il terzo motivo del ricorso incidentale proposto dalla Congregazione, dichiarava assorbiti gli altri motivi (il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso principale e il primo, il secondo ed il quarto motivo di quello incidentale) e rinviava la causa per la decisione ad altra sezione della Corte di appello di Roma;

in particolare, questa Corte accoglieva il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, rilevando che il giudice a quo aveva errato nel liquidare il compenso sulla base dello scaglione tariffario corrispondente all’importo della transazione, atteso che la liquidazione degli onorari dell’avvocato, nel caso di transazione di una causa introdotta con domanda di valore determinato, deve prendere in considerazione il valore della domanda, considerata al momento iniziale della lite, e che, con riguardo al compenso richiesto per l’atto transattivo, non era rilevante che esso si fosse formalizzato fuori dal processo, atteso che i compensi legali richiesti con la procedura di cui alla L. n. 794 del 1942, artt. 28-30, possono essere invocati anche per le prestazioni giudiziali poste in essere in funzione strumentale o complementare all’attività propriamente processuale; rigettava invece il terzo motivo del ricorso incidentale, che, aveva denunziato il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo all’atto di quietanza di Euro 300.00,00, rilevando che tale documento era stato esaminato dalla Corte di appello, ma ritenuto inutilizzabile come prova per effetto del tempestivo disconoscimento della sottoscrizione da parte dell’avv. I., senza che la Congregazione avesse poi chiesto la relativa verifica giudiziale;

sulla base di quattro motivi, la Congregazione denunzia che l’ordinanza impugnata è incorsa in altrettanti errori di fatto, ai sensi dell’art. 394 c.p.c., n. 4, che ne hanno condizionato la decisione, consistititi:

1) nel non avere esaminato attentamente l’atto di transazione, con cui le parti avevano abbandonato la lite, la connessione e complementarietà tra attività stragiudiziale e giudiziale svolta dalla legale e la circostanza che il professionista aveva dichiarato di essere stata debitamente remunerato per l’attività stragiudiziale, non esaminando ed intendendo esattamente l’impostazione difensiva della Congregazione;

2) per avere la Corte omesso del tutto di considerare che il professionista aveva dichiarato nel ricorso introduttivo di essere stata debitamente remunerato per l’attività stragiudiziale e quindi di esaminare la questione se, a fronte del precedente pagamento, residuava un suo diritto di credito, posto che attività giudiziale e attività stragiudiziale non possono cumularsi in caso di connessione o complementarietà tra l’una e l’altra;

3) per avere omesso di considerare che il disconoscimento della scrittura privata di quietanza del pagamento di Euro 300.000,00 era avvenuto tardivamente da parte dell’avv. I., atteso che in un altro identico giudizio intercorso tra le medesime parti (n. 6377/2014 R.G. dinanzi al Tribunale di Roma), concluso con decisione passata in giudicato, la Congregazione aveva prodotto la suddetta ricevuta e che in esso non era mai stata contestata;

4) per avere omesso di considerare che nell’atto di conferimento del mandato professionale era stabilito che i compensi spettanti al professionista “verranno regolati secondo minimi delle tariffe professionali in uso al Comune di Roma”; il controricorrente I. ha spiegato ricorso incidentale, chiedendo la condanna della Congregazione al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

per giurisprudenza costante di questa Corte l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, la denunzia di un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato (Cass. n. 6405 del 2018: Cass. n. 442 del 2018; Cass. n. 22171 del 2010) e che ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento, da parte della Corte, di un motivo di ricorso – qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sé insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. (Cass. n. 14937 del 2017; Cass. n. 5221 del 2009);

alla luce di tale orientamento il ricorso per revocazione non appare idoneo a superare il preliminare vaglio di ammissibilità, atteso che le censure sollevate non denunziano errori aventi natura revocatoria;

in particolare, con riferimento alle censure sub 1) e 2), l’ordinanza impugnata si è limitata a dichiarare, nel rispondere al secondo motivo del ricorso principale dell’avv. I., che la decisione della Corte di appello era errata per avere escluso il compenso professionale per l’attività sfociata nell’atto di transazione per il solo fatto che tale accordo non si era concretizzato in una conciliazione in sede giudiziale, formulando al riguardo il principio di diritto che i compensi legali richiesti con la procedura di cui alla L. n. 794 del 1942, artt. 28-30, possono essere invocati anche per le prestazioni giudiziali poste in essere in funzione strumentale o complementare all’attività propriamente processuale;

la decisione della Corte si è pertanto spiegata interamente sul terreno del diritto, con rinvio della causa ad altro giudice per la sua decisione sulla base del principio di diritto enunciato, senza operare o fondarsi sul altro presupposto di fatto se non l’esistenza dell’atto di transazione;

la doglianza secondo cui la Corte non avrebbe considerato la connessione e complementarietà esistenti tra attività stragiudiziale e giudiziale svolta dalla legale e che la controparte aveva dichiarato di essere stata debitamente remunerata per l’attività stragiudiziale involge profili che, anche se sollevati davanti a questa Corte, essa non avrebbe comunque potuto esaminare, trattandosi evidentemente di apprezzamenti di merito, richiedenti valutazioni di fatto, che il giudice di legittimità non può svolgere;

la censura sub 3) è inammissibile perché non denunzia un errore di fatto ma un asserito errore di diritto, che per di più appare formulato la prima volta in questa sede, atteso che la parte, nel terzo motivo del proprio ricorso incidentale, denunziando vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, si era lamentata che la Corte di appello non avesse considerato la quietanza, senza denunziare anche la violazione dell’art. 215 c.p.c., comma 1 n. 2), in tema di tempestività ed efficacia del disconoscimento di scrittura privata, con l’effetto che la pronuncia di infondatezza del motivo si è correttamente limitata ad evidenziare che il documento suddetto non era stato preso in considerazione dalla Corte di appello proprio in ragione del suo intervenuto disconoscimento, rigettando per tale ragione la censura; in ogni caso l’errato apprezzamento da parte della Corte di un motivo di ricorso non integra un vizio revocatorio;

inammissibile appare altresì il quarto motivo, che investe l’entità del compenso richiesto dall’avv. I., atteso che l’errore denunziato attiene all’omesso rilievo di una circostanza, l’asserita esistenza di un accordo per l’applicazione dei minimi tariffari, che non ha integrato alcun presupposto logico della pronuncia di questa Corte, che ha dichiarato assorbiti i motivi del ricorso principale ed incidentale che investivano la determinazione in concreto del quantum, rimettendo il relativo accertamento al giudice del rinvio;

il ricorso incidentale proposto dal controricorrente I. va dichiarato inammissibile, non avanzando tale atto alcuna denunzia avverso la ordinanza impugnata, mentre la domanda in esso contenuta, di condanna della Congregazione ex art. 96 c.p.c. va disattesa, non ravvisandosi nella condotta della ricorrente principale gli estremi della mala fede o della colpa grave;

il ricorso per revocazione e quello incidentale vanno pertanto dichiarati inammissibili, con conseguente condanna della Congregazione, la cui soccombenza è del tutto prevalente, al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente, come liquidate in dispositivo;

deve darsi atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione ed il ricorso incidentale.

Condanna la ricorrente Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli al pagamento delle spese del giudizio in favore della controparte, che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2022

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