Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18664 del 30/06/2021

Cassazione civile sez. I, 30/06/2021, (ud. 06/05/2021, dep. 30/06/2021), n.18664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22126/2020 proposto da:

J.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CASALE STROZZI

n. 31, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato

e difeso dall’avvocato FRANCESCO TARTINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5680/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 20/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/05/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia rigettava il gravame proposto da J.S. avverso l’ordinanza del 10.7.2018, con la quale il Tribunale di Venezia aveva rigettato il ricorso interposto dall’odierno ricorrente contro il provvedimento della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che aveva respinto l’istanza di protezione, internazionale ed umanitaria, dal medesimo avanzata.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione J.S., affidandosi a cinque motivi, preceduti da una questione di legittimità costituzionale.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, il ricorrente solleva la questione di legittimità costituzionale compresi della L. n. 98 del 2013, artt. da 62 a 72, di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 69 del 2013, per contrasto con gli artt. 3,25,102,106 e 111 Cost., in relazione alla partecipazione al collegio che ha deciso l’appello di un giudice ausiliario.

La questione è manifestamente infondata, posto che a seguito delle due ordinanze di remissione n. 32032 e n. 32033, entrambe depositate il 9.12.2019, con la quale questa stessa Corte ha dubitato della conformità della normativa richiamata al dettato costituzionale, la Corte Costituzionale si è pronunciata, con sentenza n. 41 del 25 gennaio 2021, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale compresi della L. n. 98 del 2013, artt. da 62 a 72, “nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non verrà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti del D.Lgs. 13 luglio 2017, n. 116, art. 32”. La Corte Costituzionale, operando un misurato bilanciamento tra i diversi valori costituzionali, ed allo scopo di evitare pregiudizi irreparabili all’amministrazione della giustizia, ha ribadito, in motivazione, la legittimità della costituzione dei collegi delle Corti di Appello ai quali abbia partecipato non più di un giudice ausiliario. Dal che deriva la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente, poichè esattamente coincidente con quella appena scrutinata dalla Corte Costituzionale con la già richiamata sentenza n. 41 del 2021.

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 25 e 102 Cost., art. 158 c.p.c., R.D. n. 12 del 1941, art. 110, nonchè la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, perchè il collegio sarebbe stato formato in violazione del principio di immutabilità del giudice naturale precostituito per legge. In particolare, il ricorrente lamenta la presenza, nel collegio, di un giudice ausiliario e di un giudice non compreso nell’organico della Corte di Appello, bensì applicato dal Tribunale di Vicenza in forza di un apposito provvedimento organizzativo del Presidente della Corte distrettuale.

La censura è infondata, tanto quanto al primo, che quanto al secondo, profilo.

In relazione alla partecipazione al collegio di un giudice ausiliario, si osserva che, con la già richiamata sentenza n. 41 del 2021, la Corte Costituzionale, operando un attento bilanciamento degli interessi coinvolti, ivi incluso quello alla funzionalità della giustizia, ha espressamente affermato la piena legittimità dei collegi delle Corti di Appello ai quali abbia preso parte non più di un giudice ausiliario, escludendo in tal modo qualsiasi profilo di violazione del principio di precostituzione del giudice naturale.

Il profilo di censura concernente la partecipazione al collegio di un giudice applicato, proveniente da uno dei Tribunali compresi nel distretto della Corte di Appello di Venezia, è invece già stato affrontato, e ritenuto infondato, da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 6391 del 09/03/2021, non massimata).

Il Presidente della Corte veneziana ha elaborato un progetto per lo smaltimento del contenzioso in materia di protezione internazionale, che prevedeva l’applicazione di numerosi giudici del distretto per un breve lasso di tempo, ciascuno nell’ambito di collegi straordinari composti da un magistrato della sezione, da un magistrato applicato e un giudice ausiliario. Detto progetto è stato, successivamente, sottoposto al vaglio del Consiglio Superiore della Magistratura, che con la Delib. n. 1073/AS/2019 non lo ha approvato, ritenendolo da un lato contrastante con il principio della specializzazione del giudice previsto in materia di immigrazione, e dall’altro contrario al divieto di applicazione di un giudice per una sola udienza, di cui all’art. 90 della circolare del 20 giugno 2018, poichè nell’ambito del periodo previsto dal progetto (una settimana) era prevista la celebrazione di una sola udienza per ciascun collegio.

Il ricorrente assume che l’inserimento dell’impugnazione nel progetto di cui si discute avrebbe fatto sì che la causa fosse decisa attraverso un modello organizzativo non ispirato ai criteri di cui alla richiamata circolare, e comunque non coerente con il criterio di specializzazione che presiede la trattazione del contenzioso in materia di protezione internazionale.

Va tuttavia considerato che il magistrato applicato non può essere considerato una persona estranea all’ufficio e non investita della funzione esercitata, in presenza di un provvedimento di applicazione da parte del Presidente della Corte d’appello ai sensi del R.D. n. 12 del 1941, art. 110. La contestazione relativa alle modalità con cui l’applicazione è stata disposta non consente poi di ipotizzare alcuna nullità della decisione assunta con la partecipazione del magistrato applicato, poichè l’art. 156 c.p.c., prevede che la nullità di un atto per inosservanza di forma non possa essere pronunciata in assenza di una espressa comminatoria di legge. Posto che nessuna norma contempla una nullità di atti ricollegata alle modalità con cui il Presidente della Corte d’Appello si avvale del potere di disporre l’applicazione al suo ufficio di magistrati del distretto, la censura va disattesa.

Nè rileva il fatto che il progetto non sia stato, poi, approvato dal Consiglio Superiore della Magistratura, posta la sua natura esecutiva e la conseguente irretroattività della pronuncia del predetto organo di autogoverno.

Da quanto precede discende l’infondatezza, nel suo complesso, del primo motivo.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 35-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte lagunare avrebbe omesso di assumere informazioni specifiche sulla setta degli (OMISSIS) e sul suo funzionamento. Il ricorrente, infatti, aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese per timore di detta setta, nella quale egli sarebbe dovuto entrare alla morte del padre, che già ne era membro: il giudice di merito avrebbe quindi dovuto incentrare la sua disamina, in punto di fatto, sullo specifico aspetto dell’affiliazione alla ridetta confraternita.

Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia l’apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte di Appello avrebbe escluso la concedibilità della protezione internazionale senza fornire alcuna motivazione effettiva a sostegno del proprio convincimento.

Le due censure, suscettibili di trattazione congiunta, sono inammissibili. La sentenza impugnata afferma che i motivi di appello non erano idonei a confrontarsi con le specifiche osservazioni del Tribunale, che a sua volta aveva considerato generico e contraddittorio il racconto personale fornito dal richiedente. Secondo la Corte veneziana, nell’atto di appello quest’ultimo “Si limita a proporre argomenti ancor più generici, non puntuali rispetto alle specifiche situazioni di non credibilità della storia narrata. Non fa nessun riferimento alle asserzioni contestate dalla Commissione e dal Tribunale, non ne ripercorre i passaggi e prescinde da qualsiasi riferimento alla narrazione concreta, condivisibilmente ritenuta non credibile dalla Commissione territoriale e dal Tribunale” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Il ricorrente non contesta in modo adeguato tale statuizione, omettendo, in particolare, di richiamare tanto il contenuto dei motivi di appello proposti, per dimostrarne la specificità, quanto di evidenziare che i predetti si ponevano in rapporto dialettico rispetto alle contraddizioni ed ai profili di scarsa credibilità del racconto che erano stati evidenziati dal giudice di prime cure.

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta l’apparenza della motivazione e la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione al diniego della protezione umanitaria.

Con il quinto ed ultimo motivo, il ricorrente lamenta infine la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 35-bis, art. 2 Cost. ed art. 8 della Convenzione E.D.U., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente omesso di considerare il percorso di integrazione sociale e lavorativa conseguito dal ricorrente durante la permanenza in Italia, nonchè il rischio di discriminazione, e la conseguente lesione del nucleo inalienabile dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili.

Il ricorrente non ha allegato, nei motivi in esame, alcun percorso di integrazione socio-lavorativa in Italia. In particolare, non deduce nemmeno di avere un lavoro, nè di aver avviato un qualsiasi percorso di inserimento socio-lavorativo. L’assoluta genericità delle censure fa sì che esse si risolvono in una mera richiesta di riesame del convincimento del giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto di notificazione di controricorso da parte del Ministero, intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 6 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2021

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