Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18664 del 13/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 18664 Anno 2018
Presidente: GRECO ANTONIO
Relatore: GUIDA RICCARDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24666/2012 R.G. proposto da
L –

FMB SRL, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’avv.
Stefano Zunarelli e dall’avv. Lorenzo del Federico, con domicilio eletto in
Roma, via della Scrofa n. 64, presso lo studio del primo;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore

pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in
Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– con troricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo,
sezione staccata di Pescara, n. 163/09/12, pronunciata il 18/10/2011,
depositata il 13/03/2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2018 dal
Consigliere Riccardo Guida.
RITENUTO IN FATTO
La FMB SRL, con sede legale in Cornuda (TV), ricorre, articolando sei
motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate, per la

Data pubblicazione: 13/07/2018

RG n. 24666/2012
Cons. est. Riccardo Guida

cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale
dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara (hinc: CTR) indicata in epigrafe.
La sentenza impugnata, riformando la decisione della Commissione
tributaria provinciale di Pescara, ha accolto l’appello dell’Ufficio ed ha
dichiarato legittimo il provvedimento del Centro Operativo di Pescara (hinc:
COP) dell’Agenzia delle entrate che, ai sensi dell’art. 29 d.l. n. 185 del 29

2009, aveva negato, per «esaurimento delle risorse finanziarie», il nullaosta alla fruizione del credito d’imposta previsto dall’art. 1, commi 280 e
seguenti, della legge n. 296 del 27 dicembre 2006, richiesto dalla
contribuente in relazione ai costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo
avviata prima del 29/11/2008, per un credito d’imposta pari ad euro
52.127,00 per il 2009.
La CTR ha disatteso le censure d’incostituzionalità mosse dalla
contribuente all’art. 29 cit. che ha posto alcuni limiti alla concreta fruizione,
da parte delle imprese, dei crediti d’imposta maturati per ricerca e sviluppo,
ed ha ritenuto ragionevole la scelta del legislatore, volta a fronteggiare
l’eccezionale situazione di crisi internazionale e a potenziare le misure fiscali
e finanziarie occorrenti per garantire il rispetto degli obiettivi fissati dal
programma di stabilità e di crescita; la sentenza impugnata evidenzia che il
credito d’imposta già entrato nel patrimonio dell’impresa non è stato negato
dall’art. 29 cit., ma è stato semplicemente differito nel tempo; infine, a
giudizio della CTR, non è neppure viziata, sotto i diversi profili dedotti dalla
contribuente, l’articolata procedura di ammissione delle imprese al beneficio
fiscale basata sul criterio cronologico di ricezione delle domande
telematiche.
La ricorrente ha depositato una memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo si denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 3, 41, 97, 117 della
Costituzione, e prospetta l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, commi 1, 2
e 3, d.l. n. 185/2008 (c.d. «decreto anticrisi»), che, si assume, la CTR ha
escluso sulla base dell’erronea affermazione che il legislatore non ha negato

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novembre 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 2 del 28 gennaio

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Cons. est. Riccardo Guida

il credito d’imposta, ma ne ha solo differita la fruizione agli esercizi ‘

M

successivi al 2011.
La ricorrente si duole che la CTR non abbia riconosciuto che la disciplina
della fruizione del credito d’imposta, approntata dall’art. 29 cit., si pone in
contrasto con l’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento di posizioni
identiche, a causa del meccanismo di selezione dei crediti in base al quale

osta, laddove, invece, una volta raggiunto il tetto massimo di copertura
finanziaria, ai contribuenti «perdenti» è stato negato il beneficio fiscale.
In altre parole, imprese che si trovavano nella stessa situazione sono
state trattate (irragionevolmente) in modo differenziato.
Sotto altro profilo, la società lamenta che la mancata fruizione, da parte
di alcune imprese, dei crediti d’imposta già acquisiti, integri una violazione
degli artt. 41 e 117 Cost., (rispettivamente) a presidio della libertà
d’iniziativa economica e a tutela della concorrenza, perché assume una
portata lesiva della competizione tra i diversi soggetti del mercato,
riservando il beneficio fiscale (ossia, maggiori risorse finanziarie)
esclusivamente ad alcuni attori del mondo delle imprese, a discapito di altri,
sulla base di un criterio di selezione assolutamente irrazionale.
2. Con il secondo motivo si censura la contraddittorietà e l’illogicità della
motivazione circa un fatto controverso e risolutivo per la definizione del
giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., perché i
giudici di appello, pur riconoscendo che i contribuenti che hanno effettuato
attività di ricerca e sviluppo sono titolari di un diritto soggettivo pieno e
perfetto alla fruizione del credito d’imposta, pervengono alla conclusione,
contraddittoria rispetto a tale premessa giuridica, di reputare legittimo il
diniego di nulla-osta in quanto il «decreto anticrisi» non avrebbe leso tale
diritto e avrebbe disciplinato solo le modalità del suo soddisfacimento.
3. Con il terzo motivo si fa valere la violazione e la falsa applicazione, ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 3 della legge
27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), perché, secondo
l’erronea pronuncia della CTR, non esisterebbe una preclusione di rango
costituzionale all’efficacia retroattiva delle norme tributarie, e, inoltre, lo

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solo i contribuenti «più veloci» sono stati premiati con il rilascio del nulla-

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Cons. est. Riccardo Guida

Statuto dei diritti del contribuente, quale legge ordinaria, sarebbe recessivo
dinanzi ad una legge posteriore.
4. Con il quarto motivo si deduce la violazione e la falsa applicazione, ai
sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 10, comma
2, della legge n. 212/2000 e dei principi comunitari in tema di legittimo
affidamento, e si stigmatizza l’errore di diritto della sentenza impugnata,

certezza delle situazioni soggettive (nella specie consistente nella sicurezza
della contribuente di avere acquisito, nel proprio patrimonio, un credito
d’imposta che, invece, per effetto dello ius superveniens, poi le è stato
negato), essendo inidoneo a vincolare la potestà legislativa, non inciderebbe
sulla portata applicativa delle norme giuridiche, ma conserverebbe un più
ridotto margine d’operatività rispetto ai soli comportamenti dell’Autorità
erariale e riguarderebbe, quindi, esclusivamente: «la fase di attuazione dei
tributi e… [troverebbe] applicazione solamente nel rapporto tra contribuente
e amministrazione finanziaria.».
5. Nella prospettiva, d’ordine sistematico, di un ordinato e perspicuo
esame di questo primo gruppo omogeneo di motivi (cfr. § 6), è il caso di
delineare il quadro normativo dei crediti d’imposta richiesti dalla
contribuente che, in sintesi, si connota nei seguenti termini: a) l’art. 1,
comma 280, legge n. 296/2006, successivamente abrogato, ma applicabile

ratione temporis alla fattispecie in esame, riconosceva alle imprese, per le
annualità 2007, 2008 e 2009, un credito d’imposta del 10% dei costi
sostenuti per attività di ricerca e sviluppo; b) in epoca posteriore, l’art. 29
cit., per quanto adesso rileva, ha previsto un tetto massimo per tali crediti
d’imposta (fissando i relativi stanziamenti nel bilancio dello Stato); c) si è
reso così necessario individuare, per le attività di ricerca avviate
anteriormente al 29/11/2008, una procedura di selezione delle imprese
destinate a fruire del beneficio fiscale; d) si è, quindi, stabilito che, a
decorrere dal 2009, per la fruizione del credito d’imposta, le imprese
dovessero prenotarsi inoltrando (entro 30 giorni dal provvedimento del
direttore dell’Agenzia delle entrate di approvazione del formulario), in via
telematica, un apposito formulario all’Agenzia delle entrate che avrebbe

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secondo cui il principio comunitario di tutela del legittimo affidamento nella

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esaminato le domande secondo l’ordine cronologico di arrivo e avrebbe
comunicato alle imprese un nulla-osta ai soli fini della copertura finanziaria;
e) in data 21/04/2008, il direttore dell’Agenzia delle entrate ha stabilito che
i formulari (per i progetti d’investimento in attività di ricerca e sviluppo già
avviati alla data del 28/11/2008) dovessero essere presentati, a pena di
decadenza dal contributo, dalle ore 10 del 6/05/2009 (c.d. click day), alle

2008 e 2009, di cui non era stata autorizzata la fruizione da parte
dell’Agenzia delle entrate, per esaurimento dei fondi disponibili, l’art. 2,
comma 236, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ha autorizzato un
ulteriore stanziamento di euro 200 milioni, per ciascuno dei due anni 2010 e
2011 (importo ridotto, con un successivo intervento normativo, a euro 50
milioni per il 2010), le cui modalità di utilizzo (definite dal decreto del
ministro dell’economia e delle finanze del 4 marzo 2011) consistevano nella
fruizione dei crediti nella misura massima del 20,37% dell’importo
complessivamente richiesto per gli anni 2007, 2008 e 2009, a decorrere
dalla data di pubblicazione del medesimo decreto, e dell’ulteriore 27,16% a
decorrere dal 2011.
6. Così ricostruita la complessa trama normativa dei crediti d’imposta
per attività di ricerca e sviluppo, venendo, adesso, all’esame del

thema

decidendum, i primi quattro motivi, (come accennato al § 5) da esaminare
congiuntamente perché connessi, sono infondati.
6.1. La CTR, sviluppando, in linea di massima, un accurato e coerente

iter argomentativo, esente da vizi d’ordine logico-giuridico, senza incorrere
in alcuna delle prospettate violazioni di principi, nazionali e comunitari, di
valori fondamentali, di rango costituzionale, o di norme primarie, ha
affermato, innanzitutto, la legittimità delle leggi ordinarie (anche quelle
tributarie) retroattive, a condizione che esse: «trovino adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto
con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, così da non incidere
arbitrariamente sulle posizioni sostanziali poste in essere da leggi
precedenti.» (cfr. pag. 7 della sentenza).

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ore 24 del 5/06/2009; f) per i crediti d’imposta maturati negli anni 2007,

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6.2. La decisione, inoltre, ha correttamente escluso – con motivazione’
esaustiva, non censurabile sul piano giuridico – che la procedura introdotta
dall’art. 29 cit., per la selezione delle imprese cui riconoscere i crediti
d’imposta per le attività di ricerca e sviluppo avviate prima del 29/11/2008,
abbia leso il catalogo dei principi, nazionali e comunitari, e dei valori
costituzionali richiamati dalla contribuente (principio di buona fede e

al riguardo, la pronuncia gravata ha sottolineato che il d.l. n. 185/2008 (c.d.
«decreto anticrisi») perseguiva l’obiettivo di rendere prevedibili le entrate e
le uscite dello Stato, per fare fronte alla grave crisi economica
internazionale del 2008, che aveva investito anche l’Italia, ed era conforme
al principio, sancito dall’art. 81 Cost., che preclude allo Stato di assumere
nuovi o maggiori oneri senza la necessaria copertura.
Per di più, secondo la CTR, per effetto dei successivi interventi
normativi (art. 2, comma 236, della legge n. 191/2009), la fruizione del
credito d’imposta, da parte dei contribuenti esclusi dal beneficio fiscale, non
è stata radicalmente negata, ma semplicemente differita nel tempo, agli
esercizi successivi al 2011.
7. Le valutazioni del giudice d’appello sulla legittimità costituzionale
dell’intero sistema di fruizione del beneficio fiscale hanno ricevuto un
autorevole e dirimente riconoscimento – anche nella prospettiva
dell’esclusione della fondatezza dei rilievi d’incostituzionalità formulati dalla
contribuente nel presente giudizio – grazie a due recenti pronunce della
Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 236 del 16/10/2014; Corte cost.,
sent. n. 149 del 27/06/2017) che hanno dichiarato inammissibili le questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 29 cit., sollevate dai giudici

a quibus,

per violazione del principio, tutelato dall’art. 3 Cost., dell’affidamento del
cittadino nella certezza delle situazioni giuridiche.
7.1. I giudici a quibus (cfr., in particolare, Cass., sez. sesta civile,
ordinanza 23/02/2015, n. 3576) hanno sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 29 cit., in relazione all’art. 3 Cost., formulando due
rilievi critici, vale a dire: innanzitutto, che la norma, nell’introdurre un tetto
massimo di stanziamento ed una procedura per la selezione dei crediti

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affidamento, di libertà d’iniziativa economica e di tutela della concorrenza);

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d’imposta, senza fare salvi i diritti e le aspettative delle imprese sorti in
relazione ad attività di ricerca e di sviluppo avviate prima del 29/11/2008,
avrebbe leso l’affidamento dei contribuenti che avevano intrapreso iniziative
economiche confidando nella stabilità del quadro normativo vigente; in
secondo luogo (ed anche in via subordinata), che la procedura
d’ammissione al beneficio fiscale, prevista dallo stesso articolo, basata sul

contribuenti, non irrazionale, sul piano astratto, perché espressione del
principio di antica tradizione «prior in tempore potior in iure», riguardando
una vasta platea di concorrenti e fondandosi sul momento di arrivo al
destinatario di atti trasmessi in via telematica, condurrebbe a risultati
casuali e scollegati dal merito delle ragioni di credito e dalla solerzia dei
richiedenti, in tal modo ingenerando una disparità di trattamento tra i
contribuenti, tutti titolari di crediti d’imposta.
7.2. La Consulta ha dissolto ogni ombra di dubbio sulla conformità della
norma in questione all’asse valoriale della Carta, richiamando il proprio
costante indirizzo, in base al quale il legittimo affidamento del cittadino
nella certezza delle situazioni giuridiche (tutelato dall’art. 3 Cost.) non
esclude la facoltà del legislatore di adottare disposizioni che modifichino
diritti soggettivi perfetti, in senso sfavorevole ai titolari (come, nella specie,
accade per il diritto delle imprese al beneficio fiscale), a condizione che
l’intervento normativo, retroattivo, che incide sull’affidamento dei cittadini
nella sicurezza giuridica, abbia una «causa normativa adeguata» (come un
interesse pubblico sopravvenuto; un’inderogabile esigenza) e sia rispettoso
del principio di ragionevolezza, nel senso di proporzionalità; in altre parole,
secondo la Corte: «il principio dell’affidamento è sottoposto al normale
bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali…».
7.2.1. Tenendo presente questo insegnamento, è dato rilevare che la
CTR, in forza di un’interpretazione restrittiva, ha ritenuto che il principio del
legittimo affidamento vincoli solo la pubblica amministrazione e non anche il
legislatore; il giudice delle leggi nazionale e la Corte di Giustizia dell’Unione
Europea, dal canto loro, invece, hanno riconosciuto che esso investe anche
la funzione legislativa.

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criterio cronologico della ricezione delle domande telematiche dei

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Si registra, quindi, una lieve imprecisione della sentenza impugnata
che, però, non gioca alcun ruolo nell’economia del giudizio in quanto sia la
Corte costituzionale (come sopra accennato), che la Corte di Giustizia, in
alcune pronunce, hanno ammesso che l’applicazione del principio di
affidamento possa cedere il passo dinanzi ad interventi legislativi dettati da
particolari situazioni e da determinate condizioni.

euro-unitarie, la Corte di Giustizia ha stabilito che il legittimo affidamento,
quale principio fondamentale dell’ordinamento dell’Unione, non si traduce
nell’aspettativa d’intangibilità di una normativa, specie in settori in cui è
necessario, e di conseguenza ragionevolmente prevedibile, che le norme in
vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura
economica (Corte Giust., sentenza del 23.11.1999 nella causa C-149/96).
Di conseguenza, gli operatori economici non possono fare
legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente
che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle
istituzioni comunitarie (cfr. sentenza 15 luglio 1982, causa 245/81, Edeka,
Race. 1982, pag. 2745, punto 27 della motivazione; sentenza 28 ottobre
1982, causa 52/81, Faust, Race. 1987, 3745, punto 27 della motivazione;
sentenza 17 giugno 1987, cause riunite 424 e 425/85, Frico, Race. 1979,
pag. 2755, punto 33 della motivazione). (Corte Giust., caso C-350/88).
7.3. A quanto fin qui osservato si aggiunga che la disposizione
censurata, a giudizio della Corte cost., ha una «causa normativa adeguata»
(che trova giustificazione nei principi, diritti e beni di rilievo costituzionale,
tutelati dagli artt. 2, 3, 81 Cost.), perché, per fronteggiare l’eccezionale crisi
economica del 2008 e per rilanciare l’economia, ha introdotto un tetto
massimo di stanziamento (nel bilancio dello Stato), in relazione al beneficio
fiscale creato dalla legge n. 296/2006, che non lo contemplava; in
quest’ottica, essa ha istituito, altresì, una procedura di selezione delle
imprese da ammettere al beneficio fiscale per le attività di ricerca avviate
prima del 29/11/2008.
D’altra parte, i contribuenti che, all’esito della selezione, si sono visti
negare il riconoscimento del loro credito (c.d. «perdenti»), per effetto della

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Più specificamente, con riferimento alle materie regolate da norme

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legge n. 191/2009 (che ha previsto per essi un ulteriore finanziamento di
400 milioni di euro, poi ridotto a 350 dal d.l. n. 40/2010), hanno recuperato
circa la metà dei loro crediti.
7.4. A giudizio della Corte costituzionale, la norma, esaminata al lume
delle finalità e del contesto economico che ne segnano la genesi, non lede
neppure i principi di ragionevolezza e proporzionalità, perché, a seguito dei

«perdenti», non ha subito un

vulnus assoluto, in quanto gli ulteriori

stanziamenti loro destinati hanno consentito la copertura di circa la metà
(47,53%) dei loro crediti.
7.5. Quanto alla seconda censura sollevata dai giudici a quibus – quella
relativa alla disparità di trattamento tra contribuenti tutti egualmente titolari
di crediti d’imposta, per effetto della procedura telematica di ammissione al
beneficio o, per converso, di diniego del nulla-osta -, la Corte cost. ha
concluso per l’inammissibilità della questione perché: «un suo eventuale
accoglimento […] determinerebbe un assetto normativo caratterizzato da
iniquità e irragionevolezza, poiché coloro che sono risultati vincitori nella
procedura telematica, non solo perderebbero il beneficio ottenuto, ma non
potrebbero neanche concorrere alla distribuzione del successivo
finanziamento previsto dall’art. 2, comma 236, della legge n. 91 del 2009,
finanziamento che è riservato ai “perdenti”.».
7.6. L’indirizzo ermeneutico espresso dalla Consulta in subiecta materia
fornisce una robusta, convincente e decisiva prova di resistenza della
conformità a diritto della pronuncia della CTR – nella parte che esclude che
l’art. 29 cit. sia idoneo ad arrecare alcun pregiudizio ai fondamentali valori
della libertà d’iniziativa economica e della tutela della concorrenza – perché,
chiarito che i crediti d’imposta originariamente riconosciuti andavano a
coprire il 10% dei costi delle attività di ricerca (ovvero il 40% in caso di
contratti con università ed enti pubblici di ricerca), esso pone in risalto
questo profilo essenziale: che l’ablazione retroattiva nei confronti dei
soggetti non ammessi al beneficio, in virtù della copertura di circa metà di
quei crediti, garantita dai successivi interventi normativi (di cui si è appena
detto), è stata solo del 5% circa dei costi sostenuti (20% per le attività

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successivi interventi legislativi, la posizione dei titolari dei crediti

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convenzionate con università ed enti pubblici di ricerca), sicché il venire
meno di tale posta non può avere avuto una decisiva incidenza negativa sui
bilanci delle imprese.
8. Con il quinto motivo si lamenta la violazione e la falsa applicazione,
ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 7, comma
1, della legge n. 212/2000 e dell’art. 3 della legge n. 241 del 7 agosto

motivato il provvedimento di diniego del nulla-osta in quanto contenente, in
maniera succinta, tutte le informazioni necessarie al contribuente per
difendersi compiutamente.
9. Il motivo è infondato.
9.1. Afferma la CTR che il COP, con provvedimento recante la data e
l’ora di ricezione del formulario della società contribuente (poi risultata
«perdente»), ha negato il nulla-osta alla fruizione del credito di imposta:
«per esaurimento delle risorse finanziarie»; in tal modo la società è stata
messa in grado di difendersi compiutamente, rispetto ad una procedura
imparziale nella formulazione della graduatoria, in quanto gestita da un
programma informatico, visto che l’indicazione del momento di ricezione
della domanda ha permesso al richiedente il beneficio fiscale di controllare
che non fossero state accolte istanze pervenute dopo la propria.
9.2. È necessaria la premessa, d’ordine giuridico, che questa Corte non
deve stabilire se l’Amministrazione finanziaria abbia o no adeguatamente
motivato il diniego di nulla-osta – quale quaestio facti estranea al motivo di
ricorso, nonché inammissibile nel giudizio di legittimità -, ma è chiamata
esclusivamente ad apprezzare se la sentenza impugnata, nel ritenere
sufficiente la motivazione del diniego di nulla-osta, sia conforme o no al
canone normativo secondo cui i provvedimenti dell’Amministrazione
finanziaria debbono essere motivati.
9.3. Ciò precisato, osserva il Collegio che la CTR ha rispettato tale
regula iuris allorché essa, in primo luogo, ha dato conto, in modo chiaro e
convincente, del complessivo ed esauriente sviluppo motivazionale del
provvedimento di diniego del nulla-osta, corredato della compiuta
esposizione dei presupposti di fatto della decisione; in secondo luogo, ha

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1990, perché la CTR avrebbe ritenuto, contra legem, sufficientemente

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rimarcato che la contribuente era stata posta nella condizione di contestare,
anche per via giudiziaria, quel diniego, assertivamente lesivo di un diritto di
credito già entrato nel suo patrimonio.
9.4. La censura non è fondata anche per un’altra ragione: il diniego del
nulla-osta non è espressione dell’esercizio, da parte dell’Autorità erariale, di
una potestà impositiva, ma è qualificabile come un atto vincolato, il cui

contribuente – dipende esclusivamente dall’esistenza o dal difetto della
copertura finanziaria, sicché sull’Amministrazione finanziaria non incombe
l’obbligo di motivare compiutamente la propria decisione.
9.4.1. S’intende dare continuità alla giurisprudenza secondo cui: «Solo
nei provvedimenti costituenti esercizio della potestà impositiva (o di quella
di riscossione o sanzionatoria), invero, la motivazione dell’atto – come
previsto da espresse disposizioni di legge (artt. 7 I. 212/00, 42 d.P.R.
600/73, 56 d.P.R. 633/72) – non può che essere esaustiva, essendo
l’Amministrazione, parte attiva del rapporto in qualità di creditore, tenuta ad
esplicitare le ragioni in fatto ed in diritto della pretesa azionata, anche in
vista di una possibile impugnativa giurisdizionale dell’atto da parte del
contribuente. E difatti – come dianzi detto – anche in sede giurisdizionale
l’Ufficio assume il ruolo di attore in senso formale e sostanziale, ed è tenuto
ad adempiere il relativo onere probatorio. 2.7. Per converso, nel rapporto a ruoli invertiti – che s’instaura tra Amministrazione e contribuente per
effetto della domanda di rimborso da questi proposta, alla motivazione del
provvedimento di rigetto non può attribuirsi siffatto carattere di esaustività,
giacché in tale rapporto l’Ufficio assume il ruolo passivo di colui che “resiste”
alla pretesa creditoria del contribuente, e non è – pertanto – gravato
dall’onere di motivare compiutamente le proprie ragioni.» (Cass.
18/04/2014, n. 8998).
10. Il sesto motivo, infine, attiene alla violazione e alla falsa
applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.,
dell’art. 7, comma 2, della legge n. 212/2000 e dell’art.

21-octies della

legge n. 241/1990, perché la CTR sarebbe incorsa in un errore di diritto nel
sostenere che il diniego di nulla-osta, quale atto trasmesso per via

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contenuto – di riconoscimento o di esclusione del beneficio fiscale per il

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telematica, non necessiti della menzione del responsabile del procedimento
che, nella specie, sarebbe comunque desumibile in quanto sul
provvedimento (informatico) è indicato che esso è stato emesso dal
direttore del COP.
11. Il motivo è infondato.
11.1. La CTR ha correttamente argomentato che la procedura di

elettronico», ragione per cui non esisteva un procedimento nel cui ambito il
contribuente avrebbe potuto interloquire con un funzionario della PA, sicché
era superflua l’indicazione del responsabile del procedimento (cfr. pag. 11
della sentenza).
11.2. Del resto, come ha giustamente affermato la sentenza impugnata,
il provvedimento di rilascio del nulla-osta aveva natura di atto vincolato (e
non di atto discrezionale), dipendendo esso dalla disponibilità delle risorse
finanziarie e dall’ordine cronologico di arrivo delle domande, con la
conseguente esclusione della possibilità di un suo annullamento ai sensi
dell’art.

21-octies della legge n. 241/1990, che così stabilisce: «1. È

annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o
viziato da eccesso di potere o da incompetenza. 2. Non è annullabile il
provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla
forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia
palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è
comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del
procedimento qualora l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto
del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato.» (per l’applicabilità del principio generale di cui all’art. 21-octies
cit. anche in ambito tributario, cfr. Cass. 15/02/2013, n. 3754; Cass.
5/12/2014, n. 25773; Cass. 12/01/2016, n. 332).
11.3. I giudici della CTR, conclusivamente, ricordano l’immutato
indirizzo della Cassazione che ha più volte precisato che: «L’indicazione del
responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria
non è richiesta, dall’art. 7 della I. n. 212 del 2000, a pena di nullità, in

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riconoscimento del credito d’imposta è stata gestita da un «elaboratore

RG n. 24666/2012
Cons. est. Riccardo Guida

quanto tale sanzione è stata introdotta per le cartelle di pagamento dall’art.
36, comma 4-ter, del d.l. n. 248 del 2007, conv., con modif., dalla I. n. 31
del 2008, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli
agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008.» (Cass. sez. un.
14/05/2010, n. 11722; Cass. 12/05/2017, n. 11856).
Al riguardo è il caso di evidenziare che quest’ultima norma non è

questa data (in quanto emesso il 15/06/2009), è un diniego di agevolazione
e, come tale, ha natura diversa dalla cartella di pagamento.
12. Ne consegue il rigetto del ricorso.
13.

Per la complessità della controversia e per l’assenza di un

consolidato orientamento giurisprudenziale, è congruo compensare, tra le
parti, le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
compensa, tra le parti, le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2018
DEPC’E.:71H- 0. CANCELLERIA

Il Presidente

applicabile alla fattispecie, perché l’atto impugnato, seppure posteriore a

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