Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1866 del 28/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2020, (ud. 18/11/2019, dep. 28/01/2020), n.1866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 487/14 R.G. proposto da:

DEC 2001 S.R.L., in persona del legale rappresentante, e

D.R.D., rappresentati e difesi, giusta procura a margine del

ricorso, dagli avv.ti Scuncio Antonio e Castrataro Giampiero, con

domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Paglione Alfio, in Roma,

Viale Angelico, n. 39;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise

n. 125/1/11 depositata in data 14 novembre 2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

Fatto

RILEVATO

Che:

Con distinti ricorsi la Dec 2001 s.r.l. e D.R.D. ricorrevano avverso gli avvisi di accertamenti, relativi agli anni d’imposta 2005 e 2006, con i quali l’Amministrazione finanziaria aveva accertato maggiori ricavi ed indebita deduzione di variazione in diminuzione e, conseguentemente, maggiore imponibile IRPEF a carico del socio per l’anno 2005.

La Commissione provinciale di Isernia, riuniti i ricorsi, li rigettava e avverso tale decisione proponevano appello la società ed il socio dinanzi alla Commissione regionale del Molise che, con la sentenza in epigrafe indicata, confermava la sentenza impugnata.

Osservava, in particolare, che l’accertamento operato era del tipo analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in quanto le riprese a tassazione erano scaturite dal riscontro dei conti intestati ai soci e dall’apposito quadro del modello unico di dichiarazione e non dall’inattendibilità delle scritture contabili; riteneva, quindi, che la presunzione di avvenuta distribuzione degli utili al socio fosse giustificata dal fatto che, trattandosi di società di capitali, il socio avrebbe potuto prelevare somme dal conto bancario della società solo a titolo di compenso per l’opera svolta dall’amministratore o per la distribuzione di utili.

Quanto alla variazione in diminuzione, la stessa società ammetteva di averla dedotta indebitamente, per cui legittima era la rettifica, da parte dell’Ufficio, delle influenze negative nella rideterminazione dell’utile indicato in bilancio.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione D.R.D., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società contribuente, affidandosi a cinque motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano che la sentenza impugnata è inficiata da insufficiente e contraddittoria motivazione, atteso che, nonostante avessero più volte evidenziato, sia in primo che in secondo grado, la necessità di una attenta valutazione delle contabili relative ai conti correnti della società e dei soci, i giudici di merito non avevano preso in considerazione quanto evidenziato.

Deducono che dal processo verbale da cui scaturiva l’intero accertamento si evinceva che l’Ufficio non aveva esaminato i conti correnti di società e soci, avendo accertato il maggior imponibile da presunti versamenti e prelevamenti ricavati esclusivamente dalla contabilità.

2. Con il secondo motivo censurano la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dei criteri di cui al D.P.R. n. 570 del 1996, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), oltre che del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 2.

Evidenziano che il D.P.R. n. 570 del 1996 prevede tassative ipotesi al verificarsi delle quali la contabilità deve considerarsi inattendibile e che nel caso di specie non sono state riscontrate nè irregolarità, nè anomalie che consentissero di dichiarare l’inattendibilità della contabilità.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, sostengono di avere fornito piena prova delle movimentazioni afferenti alla determinazione del reddito e lamentano che l’Ufficio prima e successivamente i giudici di merito hanno considerato dette somme come maggiori ricavi senza approfondire la loro reale natura, pur prevedendo il citato art. 32 che possono considerarsi ricavi esclusivamente i prelevamenti effettuati sui conti correnti bancari della società, per i quali non sono indicati “i beneficiari e i versamenti che non risultano in contabilità”.

4. Con il quarto motivo censurano la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 del T.U.I.R., assumendo che i giudici di merito nel rilevare l’assenza di partecipazioni che generano minori variazioni in diminuzione, avrebbero dovuto riconoscere l’assenza di relative variazioni in aumento così come erroneamente indicate in dichiarazione.

5. Con il quinto motivo deducono violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 45 e della L. n. 133 del 13 maggio 1999, art. 8.

La documentazione depositata dimostrava che gli importi accertati non potevano assurgere a rango di somme distribuite ai soci, trattandosi di operazioni aventi diversa natura (giroconti, pagamento di retribuzioni, pagamenti ai fornitori, rientri da anticipi non onerosi); la L. n. 133 del 1999, art. 8 riconosceva inoltre ai soci un credito d’imposta commisurato alla maggiore Ires accertata e pagata dalla società partecipata.

6. E’ necessario prendere le mosse dall’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente, perchè proposto oltre il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata, giusta la modifica dell’art. 327 c.p.c..

In tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass. n. 17060 del 5/10/2012; Cass. n. 6007 del 17/4/2012; Cass. n. 15741 del 21/6/2013; Cass. n. 19969 del 6/10/2015).

Ai fini dell’individuazione di questi giudizi è necessario fare riferimento alla data di introduzione del giudizio di merito di primo grado (si veda, tra le altre, Cass. 16/11/2017, n. 27236), dovendosi avere riguardo, a tal fine, secondo i principi generali in materia di litispendenza, al momento in cui la notifica del ricorso introduttivo del giudizio si è perfezionata, ossia alla data di ricezione dell’atto da parte dell’Ufficio e non a quello in cui la notifica è stata richiesta all’ufficiale giudiziario o il plico è stato spedito a mezzo del servizio postale (Cass. Sez. U, n. 3774 del 18/2/2014).

Nel caso di specie l’introduzione del giudizio di merito di primo grado, conclusosi con la sentenza n. 124/1/2010 depositata il 25 novembre 2010, sulla base di quanto emerge dagli atti di causa, è avvenuta mediante consegna del ricorso, da parte di D.R.D., all’Agenzia delle Entrate in data 31 dicembre 2009 e da parte della società contribuente in data 18 dicembre 2009, e, dunque, in data successiva a quella di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009.

Deve, pertanto, applicarsi il termine breve di sei mesi, introdotto con la L. n. 69 del 2009, art. 46, giusta il disposto dell’art. 58 della stessa legge, secondo cui l’entrata in vigore di tale disposizione coincide con il 4 luglio 2009, senza possibilità di efficacia retroattiva ai procedimenti già pendenti.

Ne consegue che, anche considerando, con riferimento al ricorso proposto dal socio, la sospensione, sino al 30 giugno 2012, dei termini per la proposizione del ricorso per cassazione, prevista – per le liti fiscali di valore non superiore a 20.000,00 Euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie – dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12, lett. c), conv. con modif., dalla L. n. 111 del 2011, il termine breve di sei mesi non risulta osservato, posto che la sentenza della Commissione tributaria regionale è stata pubblicata in data 14 novembre 2011, mentre il ricorso è stato proposto in data 18 novembre 2013.

7. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2020

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