Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1866 del 21/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 21/01/2022, (ud. 24/11/2021, dep. 21/01/2022), n.1866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5550-2020 proposto da:

H.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA PETRACCI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BARI, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1802/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 29/08/2019 R.G.N. 2548/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di Appello di Bari, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello proposto da H.M., originario del Pakistan, avverso la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. la Corte ha ritenuto “estremamente generico” quanto narrato dal richiedente protezione, che aveva “posto a fondamento della decisione di lasciare il Pakistan il timore di essere ucciso da alcuni ricercati che lo avevano già attaccato per essersi attivato per farli arrestare”, negando sia lo status di rifugiato che la protezione sussidiaria, anche perché “i fatti narrati risalgono all’anno 2009”; avuto poi specifico riguardo al permesso di soggiorno per motivi umanitari, la Corte ha ritenuto non “dimostrato il radicamento e l’integrazione del richiedente all’interno della comunità italiana”, “né emergono situazioni di particolare vulnerabilità legate ad un rientro del predetto nel paese di origine”;

3. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento impugnato il soccombente con 5 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. col primo motivo si denuncia la mancanza ovvero la mera apparenza della motivazione impugnata, oltre che la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e art. 7, criticando la Corte territoriale circa la valutazione apodittica del racconto del richiedente protezione, senza che fossero attivati i doveri di cooperazione istruttoria, neanche verificando i documenti prodotti dalla difesa, in sostanziale assenza di ogni argomentazione; con il secondo mezzo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b) e art. 14, oltre che l’omesso esame di fatti decisivi, per avere la Corte adita trascurato la reale situazione del Punjab pakistano, paese di provenienza del richiedente, senza condurre “alcuna attività istruttoria”; con il terzo motivo si denuncia ancora la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b), oltre che l’omesso esame di fatti decisivi, in quanto la Corte, senza una effettiva motivazione, non avrebbe considerato i tre attentati subiti da H.M., nel corso dei quali avrebbero perso la vita, al suo posto, il fratello e il cugino, né tanto meno i documenti prodotti a supporto del racconto; il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 6 e art. 14, lett. b), per la violazione dei doveri di cooperazione istruttoria, anche in ordine alla capacità delle autorità pakistane di offrire adeguata protezione all’istante; con l’ultimo mezzo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, oltre che l’assenza di motivazione, “in ordine alla ritenuta insussistenza dei requisiti per l’autorizzazione al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari”, senza adeguata comparazione tra l’integrazione del richiedente protezione, comprovata dall’apprendimento della lingua italiana e dai contratti di lavoro ottenuti nel corso della permanenza in Italia, ed il pericolo che il rientro in Pakistan possa ledere diritti fondamentali di H.M.;

2. il Collegio giudica i motivi fondati nei sensi espressi dalla motivazione che segue;

in tema di valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, il giudice di merito svolge un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria (tra le altre: Cass. n. 32670 del 2019), per cui ha errato la Corte territoriale a non effettuare i dovuti accertamenti istruttori, senza neanche fare mostra di aver valutato i documenti posti dall’interessato a sostegno del suo racconto; in particolare, il giudizio sulla valutazione di credibilità dell’interessato può essere espresso solo all’esito dell’acquisizione di pertinenti informazioni sul suo paese di origine e delle sue condizioni personali (Cass. n. 6738 del 2021) e la questione rileva sotto il profilo della violazione di legge e non come omesso esame di fatto decisivo, e cioè come violazione delle regole procedimentali poste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per inosservanza del dovere di cooperazione istruttoria; questa Corte ha più volte affermato che la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi di quanto narrato dal richiedente, ma secondo la griglia predeterminata di criteri offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (v. Cass. 26921 del 2017; Cass. n. 8282 del 2013; Cass. n. 24064 del 2013; Cass. n. 16202 del 2012);

quanto poi alla valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente, essa deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte (ex plurimis, Cass. n. 17069 del 2018, Cass. n. 3016 del 2019, Cass. n. 13897 del 2019); in particolare, ai fini della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il giudice è tenuto anche d’ufficio a verificare utilizzando fonti attendibili per scrutinare le “COI” (Country of origin information) – se nel Paese di origine sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente (Cass. n. 19716 del 2018); dovere di fondare la decisione su COI aggiornate e precise che sussiste, peraltro, anche in presenza di una narrazione del richiedente non credibile e contraddittoria, posto che l’ipotesi di danno grave di cui alla lett. c), trovando fondamento in una situazione di violenza indiscriminata e diffusa di grave intensità, non richiede la prova di alcuna personalizzazione del rischio (Cass. n. 10286 del 2020; Cass. n. 8819 del 2020; Cass. n. 5324 del 2021); mentre, nella specie, la motivazione della sentenza impugnata è totalmente priva di qualsivoglia riferimento alle fonti informative eventualmente assunte dalla Corte barese;

infine, i giudici d’appello hanno omesso di effettuare il giudizio comparativo così come prescritto in materia di protezione umanitaria dalle Sezioni unite di questa Corte che, innanzitutto (sent. n. 29459 del 2019), hanno condiviso l’orientamento che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il ‘grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (indirizzo inaugurato da Cass. n. 4455 del 2018, seguita, tra varie, da Cass. n. 11110 del 2019 e da Cass. n. 12082 del 2019); successivamente le stesse Sezioni unite (sent. n. 24413 del 2021) hanno precisato che, ai fini di detta valutazione comparativa, occorre attribuire alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; qualora poi si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un “vulnus” al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno;

3. conclusivamente il ricorso deve essere accolto nei limiti di quanto esposto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo anche sulle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2022

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