Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18658 del 30/06/2021

Cassazione civile sez. I, 30/06/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 30/06/2021), n.18658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17513/2019 proposto da:

L.J., difeso dall’avv. Anna Lombardi Baiardini, giusta

procura in atti, domiciliato presso la cancelleria della I sezione

civile della suprema Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 136/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 05/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/03/2021 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza depositata il 5 marzo 2019, ha rigettato l’appello proposto da L.J., cittadino della Nigeria Senegal, avverso l’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., con cui il Tribunale di Perugia, in data 16.4.2018, ha rigettato la sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, negato al ricorrente lo status di rifugiato sul rilievo che le sue dichiarazioni non sono state ritenute credibili (il richiedente aveva riferito di essersi allontanato dal paese d’origine a causa delle ripetute minacce ricevute dalla prima moglie del padre e dagli zii paterni per la successione del padre deceduto).

E’ stata rigettata, altresì, la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato nella regione dell’Edo State in Nigeria.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non sussistendo una specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione L.J. affidandolo a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente in giudizio ai soli fini di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Il ricorrente ha depositato le memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,8, per non avere la Corte d’Appello valutato la credibilità del richiedente sulla base dei parametri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Lamenta il ricorrente che, difformemente da quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, ha reso un racconto coerente e plausibile, compiendo ogni ragionevole sforzo per circostanziare i fatti che non si pongono in contraddizione con le informazioni generali del suo paese di origine.

2. Il motivo è inammissibile.

Va, in primo luogo, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

Nel caso di specie, nessuna censura è stata svolta dal ricorrente in ordine ad un’eventuale grave anomalia (nei termini sopra illustrati) della motivazione resa dalla Corte d’Appello di Perugia. Il richiedente ha apoditticamente rivendicato la coerenza e plausibilità del suo racconto, svolgendo sul punto mere doglianze di merito.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,7 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3 e 8.

Lamenta il ricorrente che il giudice di merito ha affermato che le aggressioni dallo stesso ricevute dai familiari non danno luogo ad una ipotesi di persecuzione in quanto provengono da privati, non essendoci ragione per ritenere che le autorità del suo paese non vogliono o non possono fornire protezione.

Tale affermazione è stata fatta senza citare alcuna fonte di informazione.

Analogamente, la Corte di merito ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata senza riportare con precisione le fonti consultate.

4. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che se è pur vero che la Corte di merito non ha indicato la fonte da cui ha tratto la conoscenza dell’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nell’Edo State della Nigeria, deve, tuttavia, darsi continuità al principio di diritto già enunciato da questa Corte, secondo cui, il richiedente deve allegare che esistono COI (Country of Origin Informations) aggiornate e attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, di indicarne gli estremi e di riassumerne (o trascriverne) il contenuto, al fine di evidenziare che, se il giudice ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso, non potendo altrimenti la Corte apprezzare l’astratta rilevanza del vizio dedotto e, conseguentemente, valutare l’interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c. (Cass. 21932/20).

Nel caso di specie, il ricorrente non solo non ha indicato il contenuto, ma neppure ha dedotto l’esistenza di qualche fonte internazionale qualificata (precisandone il nominativo) da cui emerga l’attuale esistenza di una situazione di violenza generalizzata in Nigeria.

Analogo ragionamento va svolto con riferimento alla allegata (dal ricorrente) inerzia della polizia statale ed atteggiamento di non intromissione con riferimento alle liti private, in contrasto con quanto affermato dalla Corte di merito, secondo cui il richiedente avrebbe potuto chiedere ed ottenere protezione dall’autorità statale per le minacce dei suoi parenti originate dalla controversia per la successione del padre: si tratta di mera deduzione non suffragata dall’indicazione di alcuna fonte, con conseguente impossibilità di valutare parimenti l’interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c..

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, art. 8 CEDU.

Lamenta il ricorrente che il giudice di merito non ha effettuato i necessari accertamenti officiosi in ordine alla (dallo stesso) dedotta non ingerenza delle autorità statali nelle liti, anche sanguinose, tra privati in quanto regolate a livello tribale.

Inoltre, lamenta il ricorrente l’omessa valutazione comparativa tra il contesto di vita nel paese di accoglienza, in cui ha raggiunto un considerevole livello di integrazione anche con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e quello del suo paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio in quest’ultimo possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani.

6. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, quanto alla dedotta mancata acquisizione da parte del giudice di merito (anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria) di informazioni sull’atteggiamento di non ingerenza delle autorità nigeriane nei conflitti privati, deve richiamarsi quanto già illustrato al punto precedente.

Quanto alla dedotta integrazione sociale (che avrebbe imposto una valutazione comparativa della Corte d’Appello sui contesti di vita del richiedente nel paese d’accoglienza e nel paese d’origine), il ricorrente assume di essere stato assunto in Italia a tempo indeterminato, non confrontandosi minimamente con il preciso rilievo del giudice di merito, secondo cui lo stesso richiedente si era limitato a richiamare genericamente l’avvio di un percorso di integrazione.

Nè, peraltro, il ricorrente neppure afferma che la circostanza relativa alla sua assunzione a tempo indeterminato in territorio italiano fosse stata portata all’esame del giudice di merito, di talchè le censure del richiedente si appalesano nuove e comunque di merito.

Non si liquidano le spese di lite, in ragione della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2021

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