Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18657 del 08/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 08/09/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 08/09/2020), n.18657

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15813/2014 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA

DIONIGI 43, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PUGLISI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARTINO MELCHIONDA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI,

EMANUELA CAPANNOLO e MAURO RICCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1671/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 06/12/2013, R.G.N. 1098/2012.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza di primo grado nel resto confermata, ha respinto la domanda di C.S. intesa al conseguimento dell’assegno mensile di assistenza e dichiarato irripetibili le spese del giudizio di secondo grado;

2. per la cassazione della decisione propone ricorso C.S. sulla base di cinque motivi; l’INPS resiste con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo parte ricorrente, deducendo nullità della sentenza per violazione degli artt. 99,112 e 113 c.p.c., censura la decisione di secondo grado per omessa pronunzia sulla eccezione pregiudiziale formulata da esso C. nella memoria di costituzione in appello, eccezione intesa a far valere la decadenza di controparte dalla impugnativa della sentenza di primo grado in punto di carenza del requisito sanitario; tale eccezione era fondata sulla condotta dell’INPS il quale, non presente nel corso dell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio di primo grado e nel corso della udienza successiva a tale espletamento, non aveva nominato proprio consulente di parte nè impugnato o eccepito alcunchè in ordine alla relazione peritale di primo grado che aveva accertato la sussistenza del requisito sanitario (74%) per il conseguimento della prestazione in controversia;

2. con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2 e dell’art. 195 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere omesso di rilevare la decadenza nella quale era incorso l’Istituto previdenziale per non avere impugnato la relazione peritale di primo grado nei termini prescritti dall’art. 195 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 69 del 2009; sostiene che la nuova formulazione della norma richiamata prefigura un meccanismo alla stregua del quale alla parte è fatto onere di far valere eventuali critiche all’elaborato peritale mediante osservazioni da presentare al consulente tecnico d’ufficio nel prescritto termine antecedente al deposito in cancelleria della relazione di consulenza;

3. con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 195 c.p.c., censura la sentenza impugnata laddove questa aveva dato atto che il consulente tecnico d’ufficio aveva “esaminato le considerazioni critiche espresse dall’Appellato ad esito della inviata bozza di relazione…”; evidenzia che la relazione depositata dall’ausiliare non conteneva anche la versione iniziale dell’elaborato inviato alle parti ai sensi dell’art. 195 c.p.c., versione la quale non era qualificabile come “bozza” ma come relazione peritale vera e propria;

4. con il quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 92 disp. att. c.p.c., censura la sentenza impugnata per non avere il consulente tecnico d’ufficio, a fronte dei gravi vizi di nullità della relazione peritale – vizi costituiti dalla omessa indicazione del nome del periziato e dal riferimento, invece, a nominativi di terzi estranei al giudizio, dalla omessa indicazione delle patologie riscontrate e di qualsivoglia dato anamnestico, dall’erroneo riferimento ad una prestazione – indennità di accompagnamento mai oggetto di richiesta – tempestivamente evidenziati nelle osservazioni ex art. 195 c.p.c., omesso di segnalarli e rimettersi al giudice, come prescritto dall’art. 92 disp. att. c.p.c.;

5. con il quinto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 193 e 101 c.p.c., censura la sentenza impugnata sul rilievo che le norme sulla responsabilità del consulente tecnico d’ufficio avrebbero dovuto indurre il giudice di appello ad accertare e dichiarare la colpa grave dell’ausiliare e disporre il rinnovo della indagine peritale. Deduce che il consulente tecnico d’ufficio aveva posto in essere una serie di comportamenti in violazione del giuramento prestato e delle regole di lealtà e correttezza, con violazione del contraddittorio; da tanto conseguiva la nullità della relazione peritale affetta da vizi di natura sia formale che sostanziale;

6. il primo motivo di ricorso è infondato in quanto la Corte di merito, nel disporre il rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio di primo grado, ha dimostrato di respingere implicitamente le deduzioni dell’odierno ricorrente in tema di decadenza dell’istituto previdenziale dalla possibilità di far valere in sede di impugnazione il difetto del requisito sanitario per l’accesso alla provvidenza in controversia;

6.1. per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise – sia pure con una pronuncia implicita della loro irrilevanza o di infondatezza – in quanto superate e travolte, anche se non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di altra questione, il cui solo esame comporti e presupponga, come necessario antecedente logico-giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza; peraltro, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (Cass. 04/10/2011, n. 20311; Cass. 28/03/2014, n. 7406; Cass. 19/05/2006, n. 11844; Cass. 24/06/2005, n. 13649);

7. il secondo motivo di ricorso è infondato;

7.1. la giurisprudenza di legittimità, nel regime anteriore alla modifica dell’art. 195 c.p.c., comma 3, introdotta della L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 5, non ha mai dubitato che alcuna preclusione in appello potesse derivare dalla mancata formulazione, in prime cure, di critiche alla relazione del consulente tecnico d’ufficio le cui conclusioni fossero state recepite in sentenza, fermo restando l’obbligo di impugnare con motivi specifici la pronuncia, per la parte in cui la stessa si rapportava, in positivo o in negativo, alla relazione dell’ausiliare (Cass. 22/03/2004 n. 5696; Cass. 06/11/2003, n. 16684; Cass. 23/02/1998, n. 1920);

7.2. ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riguardo alla disciplina attualmente vigente, quale risultante dalla riformulazione del disposto dell’art. 195 c.p.c., comma 3 – disciplina applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame – la quale ha procedimentalizzato le attività del consulente d’ufficio e delle parti in relazione all’espletamento dell’incarico peritale prevedendo all’udienza nella quale il consulente tecnico d’ufficio è chiamato per accettare l’incarico e prestare giuramento che il giudice provveda con ordinanza a fissare tre termini, oltre alla data dell’udienza successiva al deposito della relazione redatta dal consulente d’ufficio stesso: 1) un primo termine entro il quale l’esperto è tenuto ad inviare la relazione alle parti; 2) un secondo termine entro il quale le parti dovranno provvedere a trasmettere al consulente le proprie osservazioni; 3) un terzo e ulteriore termine, comunque “anteriore alla successiva udienza”, entro il quale il consulente dovrà depositare in cancelleria la relazione, completa delle osservazioni delle parti e con relative brevi repliche ad opera dello stesso esperto. La ratio ispiratrice della riforma è stata riconosciuta sia nella esigenza di rendere più razionale e ordinato lo svolgimento delle attività processuali in vista della riduzione dei tempi di espletamento della procedura di consulenza, sia nel potenziamento dei poteri di contraddittorio attribuiti alle parti che per il tramite di propri consulenti possono interloquire con l’ausiliare del giudice attraverso la formulazione di osservazioni alla relazione peritale agli stessi inviata, alle quali l’esperto dovrà fornire apposita risposta scritta. Ai sensi dell’art. 195 c.p.c., comma 3, u.p., il consulente provvederà a depositare in cancelleria “la relazione, le osservazioni delle parti, e una sintetica valutazione sulle stesse”;

7.3. come già osservato da questa Corte, con affermazione specificamente riferita al procedimento di accertamento tecnico preventivo ex art. 445 bis c.p.c., ma estensibile, per identità di ratio, anche all’ipotesi di consulenza tecnica d’ufficio disposta ed espletata nell’ordinario giudizio di cognizione, il secondo termine previsto dall’art. 195 c.p.c., comma 3, così come modificato dalla L. n. 69 del 2009, svolge, ed esaurisce, la sua funzione nel sub-procedimento che si conclude con il deposito della relazione dell’ausiliare, sicchè, in difetto di esplicita previsione in tal senso, la mancata prospettazione al consulente tecnico di ufficio di rilievi critici non preclude alla parte di arricchire e meglio specificare le relative contestazioni difensive nel prosieguo del procedimento (Cass. 07/06/2018, n. 14880; Cass. 31/10/2019, n. 28114, in motivazione).

Da tanto deriva, assorbita ogni considerazione attinente alla verifica della contumacia dell’INPS in prime cure, secondo quanto rappresentato dall’istituto previdenziale, che l’assenza di osservazioni critiche alla relazione peritale inviata dall’ausiliare, non era in sè preclusiva alla formulazione di critiche all’accertamento del consulente d’ufficio nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in sede di gravame, laddove tale accertamento fosse stato posto a base, come avvenuto, della decisione di primo grado;

8. il terzo motivo di ricorso è inammissibile. La sentenza di appello ha dato atto che il consulente tecnico d’ufficio nominato in secondo grado aveva esaminato le considerazioni critiche dell’appellato ritenendole, in sintesi, inidonee a inficiare la valutazione medico legale (di insussistenza del requisito sanitario), sostenuta dagli esiti della visita cardiologica e dal certificato spirometrico. Ha ritenuto che “tali essendo le obiettive risultanze patologiche emergenti dagli esami strumentali ospedalieri valutati da un Professionista, vincolato da un giuramento ed equidistante dalle parti = e valutata la satisfattività delle motivazioni di rigetto delle considerazioni critiche sollevate dall’assicurato antea deposito dell’elaborato d’ufficio”, le conclusioni dell’ausiliare erano da condividere (sentenza, pag. 4). Le censure articolate non sono idonee alla valida censura della decisione per la dirimente considerazione che, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, risulta del tutto omessa la trascrizione degli atti evocati a fondamento del motivo, vale a dire la relazione inviata dal consulente tecnico di ufficio, le conseguenti osservazioni delle parti, la relazione depositata in cancelleria e gli eventuali relativi allegati, adempimento indispensabile a dimostrare, sulla base del solo esame del ricorso per cassazione (Cass. 13/11/2018, n. 29093; Cass. 19/08/2015, n. 16900; Cass. 11/01/2016, n. 195; Cass. 12/12/2014, n. 26174; Cass. 24/10/2014, n. 22607), la dedotta inosservanza da parte dell’ausiliare del giudice degli obblighi prescritti dall’art. 195 c.p.c.;

9. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto non verte sulla interpretazione e sulla portata applicativa dell’art. 92 disp. att. c.p.c.. Le censure articolate non sono, infatti, incentrate sulla correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, nè sulla sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, nè tanto meno individuano le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata da assumere motivatamente in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, come prescritto per la valida deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 28/02/2012, n. 3010; Cass. 28/11/2007, n. 24756; Cass. 31/05/2006, n. 12984). Parte ricorrente, sulla base di asserite anomalie verificatesi in relazione all’espletamento dell’incarico peritale, lamenta, infatti, che il consulente avrebbe mancato di informarne il giudice, come prescritto dalla norma della quale si denunzia violazione, doglianza peraltro intrinsecamente inidonea ad inficiare ex se l’accertamento alla base del decisum;

10. il quinto motivo è inammissibile. La sentenza impugnata ha dato implicitamente atto della correttezza del procedimento seguito dal consulente tecnico d’ufficio in relazione al deposito della relazione peritale ed alla avvenuta confutazione delle osservazioni critiche delle parti (v. sentenza, pag. 4) di talchè, per validamente incrinare tale ricostruzione, facendo emergere le violazioni ascritte all’ausiliare, occorreva, in conformità del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la trascrizione o riassunto del contenuto degli atti e delle risultanze da dove tali violazioni risultavano; parte ricorrente si è sottratta a tale onere e tale modalità di articolazione del motivo ne determina la inidoneità alla valida censura della decisione, secondo le considerazioni già espresse sub paragrafo 8.1. (e giurisprudenza ivi richiamata);

11. le spese di lite sono regolate secondo soccombenza;

12. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1-bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2020

 

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