Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18655 del 30/06/2021

Cassazione civile sez. I, 30/06/2021, (ud. 26/03/2021, dep. 30/06/2021), n.18655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17160/2019 r.g. proposto da:

M.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Paolo

Righini, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Parma,

Via Petrarca n. 20.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna, depositata in

data 28.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/3/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da M.A., cittadino del Bangladesh, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 17.3.2017 dal Tribunale di Bologna, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.

La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato il (OMISSIS); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perchè, dopo un incidente stradale nel quale, quale autista di un camion, aveva investito un netturbino, aveva abbandonato per paura il camion incustodito sulla strada e quest’ultimo era stato derubato della merce nello stesso contenuta, determinando così la persecuzione da parte del suo datore di lavoro che ora pretendeva il ristoro dei danni subiti.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile, lacunoso e inverosimile anche nell’indicazione del datore di lavoro del ricorrente, come membro del parlamento, ed anche perchè non ricorrevano i presupposti applicativi per lo status di rifugiato, nè era emersa la circostanza dell’apertura di procedimenti penali a carico del ricorrente; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Bangladesh, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che l’integrazione sociale non rileva di per sè ai fini del rilascio del relativo permesso di soggiorno, occorrendo invece un serio pericolo di lesione dei diritti fondamentali in caso di rientro nel paese di provenienza.

2. La sentenza, pubblicata il 28.11.2018, è stata impugnata da M.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 5, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

1.2 Il motivo, per come articolato, è inammissibile.

1.2.1 Si censura in primo luogo la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente.

Sul punto è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente e del giudizio di complessiva attendibilità di quest’ultimo, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

1.2.2 Nel resto la doglianza si compone solo di generiche contestazioni in ordine alle modalità di conduzione dell’istruttoria giudiziale (ritenuta improntata a metodi “inquisitori”) e della richiesta di riesame del contenuto di documenti di cui non si indica neanche la rilevanza e decisività ai fini dello scrutinio della ricorrenza dei presupposti applicativi dell’invocata protezione internazionale (v. patente di guida).

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Evidenzia il ricorrente la mancata acquisizioni di COI in relazione a pericoli individualizzanti quali le donazioni forzose di organi ovvero detenzioni ingiustificate ovvero ancora il pericolo di cadere in una condizione di schiavitù per debiti.

2.1 La censura è anch’essa inammissibile.

2.1.1 Rileva il Collegio che, come chiarito da Cass. n. 16295/2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. nn. 21668/2015 e 5224/2013). Principio analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. nn. 17850/2018 e 32028/2018. Ed invero, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295/2018; Cass. n. 7333/2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

Nella specie, la Corte di appello ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità della richiedente (cfr., amplius, fol. 4-5 della sentenza impugnata) sulla base di plurimi e convergenti elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Si tratta, all’evidenza, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

3.1 Anche il motivo in esame non supera il vaglio di inammissibilità.

Il ricorrente espone nel motivo in esame censure genericamente formulate e non autosufficienti, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, non avendo neanche indicato in quale atto difensivo del giudizio di merito avesse allegato quelle circostanze ritenute rilevanti per il giudizio di integrazione sociale del richiedente asilo, così rendendo le censure oggi proposte inammissibili per la novità nella loro proposizione, e ciò anche in relazione ai documenti qui allegati e di cui si deve dichiarare l’inammissibilità perchè prodotti per la prima volta in questo giudizio di legittimità, al di fuori dei limiti di cui all’art. 372 c.p.c..

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2021

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