Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18654 del 23/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 23/09/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 23/09/2016), n.18654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 878/2010 proposto da:

D.L.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.

PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO POMPA, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 272/2008 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata l’11/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito per il controricorrente l’Avvocato MELONCELLI che si riporta

agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di sentenza passata in giudicato della commissione tributaria provinciale di Roma depositata il 27 marzo 2001, che aveva rideterminato in Lire 359.321.000 – su ricorso del contribuente D.L.G. – la plusvalenza da assoggettare a imposizione a seguito di cessione di un supermercato, il concessionario per la riscossione ha notificato il (OMISSIS) alla parte contribuente medesima cartella di pagamento per I.r.pe.f. e I.lo.r. per il (OMISSIS) oltre interessi e sanzioni, per complessivi Euro 170.395,79.

Avverso la cartella ha propcisto ricorso il contribuente innanzi alla commissione tributaria provinciale di Roma, che lo ha rigettato.

La sentenza, appellata dalla parte contribuente, è stata confermata dalla commissione tributaria regionale del Lazio in Roma, che ha dichiarato la legittimità della cartella – oltre che per questioni in materia di termini non più rilevanti in, questa sede – per non essere necessaria l’emanazione di alcun atto diverso dalla cartella stessa perchè il destinatario potesse comprendere causale, tipo di imposta, anno di riferimento e componenti della pretesa, tanto più che la sentenza cui l’ufficio dava esecuzione non aveva modificato alcunchè dell’avviso di accertamento precedentemente reso noto al contribuente, salvo l’ammontare del maggior reddito, il quale andava meramente sostituito a quello indicato nell’avviso.

Avverso questa decisione la parte contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, rispetto al quale l’agenzia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con un unico motivo di ricorso, la parte contribuente denuncia “violazione di legge con riferimento alla L. 3 agosto 1990, n. 241, art. 3, alla L. 27 luglio n. 212, art. 7, agli artt. 3 e 24 Cost.” (p. 15 del ricorso). Sostiene che dette norme prevederebbero l’obbligo in capo all’agenzia delle entrate, successivamente al passaggio in giudicato di una sentenza che abbia annullato l’avviso di accertamento quantificando una minore entità della plusvalenza imponibile, di procedere, “prima dell’iscrizione a ruolo dell’imposta, all’emanazione e notificazione al contribuente di un avviso di liquidazione della stessa” (p. 15 del ricorso) “ovvero.. (a) una diversa ed articolata esposizione delle pretese incorporate nella cartella di pagamento, che avrebbero dovuto essere illustrate secondo il modello di un avviso di liquidazione” (p. 20 del ricorso).

Poichè la commissione tributaria regionale, “di fronte …(detta) denuncia… ha preferito limitarsi ad affermare che la cartella di pagamento risultava sufficientemente ed adeguatamente motivata” (p. 20 del ricorso), essa sarebbe “incors(a) in un vizio di violazione di legge, che incorpora e assorbe in sè anche il vizio della insufficiente motivazione sul fatto della constatazione di una adeguata motivazione nel corpo della cartella di pagamento” (p. 20 del ricorso).

Con il quesito di diritto (p. 23 del ricorso) si domanda se, in applicazione delle predette norme, sussista l’obbligo dell’agenzia, ove per il passaggio in giudicato di sentenza sia modificata la base imponibile di I.r.pe.f. e I.lo.r., di procedere – in sintesi – alternativamente alla notificazione di avviso di liquidazione o a enunciare nella cartella di pagamento “un chiaro riferimento alla natura, motivi ed al calcolo della nuova pretesa tributaria, non competendo al contribuente la ricostruzione dell’operato dell’ufficio attraverso difficili, se non impossibili, operazioni interpretative di codici e numerazioni” (ibidem).

2. – Il motivo è inammissibile.

3. – Avuto presente che il ricorrente, con ogni evidenza, denuncia una violazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e senza che sia necessario esaminare se il quesito di diritto al riguardo formulato, e sopra riepilogato, sia pienamente idoneo a far comprendere la sottoposizione alla corte della domanda sul se, nella fattispecie data, si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata, deve rilevarsi che la regola auspicata dal ricorrente prevederebbe, in una fattispecie come quella descritta, l’obbligo per l’ufficio di procedere (in alternativa alla notificazione di autonomo avviso di liquidazione) a enunciare nella cartella di pagamento “un chiaro riferimento alla natura, motivi ed al calcolo della nuova pretesa tributaria”. Se ne desume, in concreto, che il ricorrente chiede affermarsi l’esigenza di applicare al caso di specie una regola di diritto che risulterebbe osservata se la cartella di pagamento fosse ritenuta adeguatamente motivata.

4. – Dalla lettura della sentenza impugnata, come risulta confermato dallo stesso ricorso, si desume peraltro che la commissione tributaria regionale (pp. 4 e 5 della sentenza) ha ritenuto che la cartella contenesse elementi sufficienti perchè il destinatario potesse comprendere “causale, il tipo di imposta, l’anno di riferimento e le componenti” della pretesa, “tanto più che la sentenza cui l’ufficio dava esecuzione non aveva modificato alcunchè dell’avviso di accertamento precedentemente reso noto al contribuente, salvo l’ammontare del maggior reddito”, il quale andava meramente sostituito a quello indicato nell’avviso.

5. – Il predetto accertamento in fatto circa l’idoneità della motivazione della cartella non è stato messo in discussione dal ricorrente, nel giudizio innanzi a questa corte, attraverso un adeguato, separato motivo di impugnazione per vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile alla presente controversia. Conseguentemente detto accertamento fattuale, reso insindacabile per mancata deduzione di motivo di ricorso sul punto, di per sè corrisponde all’applicazione in concreto della regola di diritto che il ricorrente vorrebbe, quale una di due alternative, affermata dal giudice di legittimità in base alla dedotta violazione di legge denunciata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nel senso cioè che la regola di diritto auspicata risulta osservata in quanto la cartella di pagamento è già stata ritenuta adeguatamente motivata. Ciò rende il motivo correlato alla presunta violazione di legge inammissibile, in quanto l’ammissibilità sarebbe potuta scaturire soltanto dalla contemporanea messa in discussione dell’accertamento in fatto anzidetto, come operato dalla commissione tributaria regionale.

6. – E’ appena il caso di rilevare che, con l’espressione già richiamata alla p. 20 del ricorso (secondo cui il giudice di merito sarebbe “incorso in un vizio di violazione di legge, che incorpora e assorbe in sè anche il vizio della insufficiente motivazione sul fatto della constatazione di una adeguata motivazione nel corpo della cartella di pagamento”), il ricorrente ha mostrato consapevolezza dell’esigenza di una contestuale critica sotto entrambi i profili suddetti della sentenza impugnata. Ma – come si evince – dall’espressione riportata – il ricorrente ha poi preferito, ipotizzando un non configurabile “assorbimento” di un vizio nell’altro, non dedurre una specifica doglianza in tema di vizio di motivazione; nè una doglianza siffatta, sostituendosi al ricorrente, può la corte trarre d’ufficio da detta espressione e alcune altre contenute nel corpo del motivo di ricorso destinato a illustrare il diverso vizio dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Infatti, le argomentazioni contenute nel motivo non sono separabili in maniera netta l’una dalle altre, requisito questo che, come da orientamento fermo di questa corte, condiziona l’ammissibilità del ricorso che denunzi. Con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, nel quale deve essere specificamente evidenziata la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (v. ad es., in applicazione del generale principio di cui a sez. un. n. n. 7770 del 2009, sez. 2 n. 9793 del 2013). Da altro punto di vista, poi, posto che in forza della previsione di cui all’art. 366-bis c.p.c. (appliciabile “ratione temporis” alla fattispecie, sebbene abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47), la proposizione di un motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, richiede la formulazione di un momento di riepilogo in fatto – analogo al quesito di diritto previsto per la violazione di legge – che indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo, non solo il fatto controverso riguardo al quale si assuma inidonea la motivazione, ma anche – se non soprattutto – quali siano le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione, va detto che, anche ove si voglia ipotizzare che il ricorrente abbia proceduto in maniera idonea – ciò che, come detto, non consta – alla congiunta proposizione di doglianze ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’inammissibilità discenderebbe comunque – a fronte della formulazione, per il primo vizio, del quesito di diritto – dall’assenza, per il secondo, dal momento di sintesi o riepilogo (cfr., per la necessità, in caso di proposizione congiunta di doglianze, di separati quesito e momento di sintesi, oltre che sez. un. n. 7770 del 2009 cit., specificamente ad es. sez. 3 n. 12248 del 2013).

7. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La corte rigetta il ricorso per inammissibilità del motivo; condanna la parte ricorrente alla rifusione a favore dell’agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro seimila per compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016

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