Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18652 del 30/06/2021

Cassazione civile sez. I, 30/06/2021, (ud. 26/03/2021, dep. 30/06/2021), n.18652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15574/2020 proposto da:

D.T., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Gilardoni,

giusta procura speciale rilasciata con separato atto.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 47/2020,

pubblicata il 14 gennaio 2020, non notificata.

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/03/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 14 gennaio 2020, la Corte di appello di Brescia ha rigettato l’appello proposto da D.T. (alias D.T.), nato a in (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Brescia il 12 settembre 2017.

2. Il richiedente aveva riferito di avere lasciato il paese di origine perchè perseguitato da un gruppo di ribelli, non controllati dalle autorità statali, riconducibili al movimento indipendentista (OMISSIS) e, in particolare, a quella fazione che aveva rifiutato di aderire alla tregua con il Governo e agli accordi di pace che ne seguirono.

3. La Corte di appello ha ritenuto che non sussisteva un rischio di persecuzione e che la violenza contro il richiedente e il padre era stata determinata solo da motivi economici; non esisteva nemmeno un danno grave perchè i ribelli dai quali il richiedente affermava di essere stato sequestrato (identificati dal difensore nei membri del movimento (OMISSIS)) avevano cessato di combattere per l’indipendenza della Casamance e che i gruppi di ribelli trasformatisi in bande di comuni criminali non aveva alcun motivo di vendetta nei confronti del richiedente, dopo oltre sette anni dalla sua fuga, e che, in ogni caso, l’istante avrebbe potuto ottenere protezione dalle autorità; non sussistevano i presupposti della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c), alla luce delle fonti internazionali aggiornate al 2017, espressamente richiamate; quanto alla protezione umanitaria, il richiedente,pure avendo lavorato a tempo determinato, aveva cessato il rapporto di lavoro dall’aprile del 2019 e il Senegal non risultava un paese caratterizzato da una situazione generale di violazione dei diritti umani, ragion per cui il richiedente, di anni trenta e in buona salute, poteva reinserirsi nel paese d’origine, sia a livello economico, che sociale.

4. D.T. ricorre per la cassazione della sentenza con atto affidato a due motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo ed unico motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avuto riguardo alla condizione di insicurezza nella regione della Casamance e all’assenza nel paese di origine di una rete familiare di sostegno.

Si duole il ricorrente che il Collegio non aveva esaminato il documento dell’Unità Coi della Commissione nazionale diritto di asilo del 2 settembre 2017 dal quale si evinceva che uomini armati associati a varie fazioni del movimento separatista delle Forze democratiche della Casamance ((OMISSIS)) avevano continuato a rubare e vessare le popolazioni locali con occasionali schermaglie e che gli effetti collaterali della guerra civile erano stati devastanti.

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.2 In relazione alla dedotta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, va evidenziato che – alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (C-542/13; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria (Cass., 2 ottobre 2019, n. 24647).

1.3 Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass., 31 maggio 2018, n. 13858).

1.4 Anche di recente, questa Corte ha affermato il principio di diritto che segue: “Il conflitto armato interno, tale da comportare minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ricorre in situazione in cui le forze armate governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati antagonisti, o nella quale due o più gruppi armati si contendono tra loro il controllo militare di un dato territorio, purchè detto conflitto ascenda ad un grado di violenza indiscriminata talmente intenso ed imperversante da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nella regione di provenienza – tenuto conto dell’impiego di metodi e tattiche di combattimento che incrementano il rischio per i civili, o direttamente mirano ai civili, della diffusione, tra le parti in conflitto, di tali metodi o tattiche, della generalizzazione o, invece, localizzazione del combattimento, del numero di civili uccisi, feriti, sfollati a causa del combattimento – correrebbe individualmente, per la sua sola presenza su quel territorio, la minaccia contemplata dalla norma” (Cass., 2 marzo 2021, nn. 5675 e 5676).

1.5 Ciò posto, il motivo è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Senegal, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata, sul punto qui in discussione, in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che lo Stato del Senegal è una Repubblica semipresidenziale, con una tradizione consolidata di governo civile, è un paese in via di sviluppo che ha anche la maggiore stabilità politica e sociale fra quelli del continente africano e che nella zona del Casamance vige il cessate il fuoco e le autorità statali hanno avviato un processo di mediazione con i capi tradizionali.

1.6 Rileva, peraltro, la violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in osservanza del quale il ricorrente ha l’onere di operare una esposizione funzionale alla piena valutazione dei motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di Cassazione di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (Cass., 4 ottobre 2018, n. 24340).

1.7 Ciò posto, deve osservarsi che il documento dell’Unità Coi della Commissione nazionale diritto di asilo del 2 settembre 2017, indicato dal ricorrente, pure risalente al 2017, come le fonti espressamente richiamate dalla Corte territoriale, non è idoneo a riscontrare l’esistenza di conflitti tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati dai quali deriva una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, poichè gli scontri rappresentati riguardano piuttosto uomini armati che, all’esito del conflitto, hanno continuato a commettere reati comuni a danno della popolazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, avuto riguardo alle condizioni legittimanti il rilascio del permesso umanitario, avendo il Collegio ritenuto il richiedente non attendibile e non avendo operato, in violazione dell’onere di cooperazione istruttoria, un giudizio di bilanciamento tra il grado di inserimento raggiunto in Italia e la condizione di provenienza.

2.1 Il motivo è inammissibile.

2.2 Il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente; tale elemento, però, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, il quale è, perciò, onerato quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (Cass., 8 gennaio 2019, n. 231; Cass., 5 aprile 2019, n. 9651).

Infatti, la proposizione della domanda di protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio, con la conseguenza che la carenza del quadro assertivo (nella specie in ragione della sua evidente genericità) nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo, dato che, in ragione dell’indeterminatezza della condizione di vulnerabilità dell’istante, non si sarebbe saputo ove indirizzare la verifica.

2.3 Sul punto, la Corte distrettuale ha evidenziato, alla stregua delle acquisite informazioni, l’assenza di criticità nel Paese di provenienza del richiedente ed ha escluso sue situazioni di vulnerabilità soggettiva derivante da grave violazione dei diritti umani subita nel Paese di provenienza, in conformità del disposto degli artt. 2, 3 e 4 CEDU (Cass., 5 aprile 2019, n. 9651).

Ciò senza prescindere dalla circostanza che la Corte territoriale non ha riconosciuto la protezione umanitaria, come afferma il ricorrente, perchè il richiedente non era credibile, ma ha ritenuto, all’esito della valutazione comparativa disposta, con una ratio decidendi peraltro che il richiedente non ha minimamente censurato, che non sussistesse una situazione di vulnerabilità nel paese di provenienza, atteso che il Senegal, pur dovendo fare importanti progressi, si caratterizzava per una presenza attiva dello Stato e per l’assenza di una situazione di generalizzata e impunita violazione dei diritti umani.

2.4 Con ciò facendo corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte secondo cui il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358); la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079); l’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455); il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza e, tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2021

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