Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18652 del 12/09/2011

Cassazione civile sez. III, 12/09/2011, (ud. 06/07/2011, dep. 12/09/2011), n.18652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17933-2009 proposto da:

PUBBLI A SPA (OMISSIS), in persona del suo legale rappresentante

p.t. Dott. C.C., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE REGINA MARGHERITA 4 6, presso lo studio dell’avvocato

FRASCAROLI RUGGERO, che la rappresenta e difende, giusto mandato in

atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA (OMISSIS), in persona del Sindaco On.le A.

G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE

21, presso lo studio dell’avvocato RAIMONDO ANGELA, che lo

rappresenta e difende giusto mandato in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1293/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/03/2009; R.G.N. 9735/2004.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato FRASCAROLI RUGGERO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1 La Publi-A S.p.A. impugna per cassazione, sulla base di due motivi, illustrati con memoria, la sentenza della Corte d’appello di Roma, depositata il 23 marzo 2009 (epoca, quindi, in cui non era entrato ancora in vigore la L. n. 69 del 2009, art. 58 che ha soppresso l’obbligo di formulazione dei quesiti), con la quale, riformando quella di primo grado, è stata la domanda, proposta dalla predetta società nei confronti del Comune di Roma per la restituzione del trenta per cento dei canoni di concessione per lo svolgimento dell’attività pubblicitaria, a seguito di delibera comunale che aveva previsto una riduzione di detto canone. Il Comune resiste con controricorso, illustrato da memoria, e deduce che il ricorso è inammissibile e, comunque, infondato.

2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. – nonchè difetto di motivazione – in relazione all’interpretazione della Delib. Consiglio Comunale Roma n. 86 del 1999, anche in combinato disposto con la Delib. n. 260 del 1997.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce omessa decisione su fatto controverso e decisivo per il giudizio – difetto di istruttoria -travisamento ed illogicità manifesta, perchè, anche a voler ritenere che la riduzione fosse subordinata alla positiva definizione del procedimento di riordino, la Corte non avrebbe considerato che gli impianti pubblicitari della società erano stati ritenuti suscettibili di rinnovo perchè risultati in possesso di titolo autorizzativo idoneo ed in regola con i pagamenti.

3. Il Collegio ha raccomandato l’adozione di una motivazione semplificata.

3.1. I motivi si rivelano entrambi inammissibili per mancanza del quesito di diritto, da formulare in relazione al primo di essi, e dei “momenti di sintesi” previsti in relazione ai vizi motivazionali dedotti nel secondo e in parte del primo motivo. Infatti, l’art. 366- bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, prevede le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso se, in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta, giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza ;

mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).

3.2. Orbene, nel caso in esame, rispetto al secondo ed a parte del primo motivo, che deducono vizi motivazionalì, non è stato formulato il momento di sintesi. che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470(08). Si deve, infatti, ribadire che è inammissibile, alla stregua della seconda parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d’inadeguatezza delle prove da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alla documentazione prodotta, alla sua provenienza e all’incidenza rispetto alla decisione (Cass. n. 4589/09).

3.3. Invece, rispetto alla prima parte del primo motivo, proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, non è stato formulato il prescritto quesito di diritto. Deve essere, al riguardo, ribadito che il quesito di diritto deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. n. 19769/08; 24339/08; 4044/09, nonchè S.U. 20360/07). Il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso non sorretto da quesito, ovvero quello corredato da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolva sostanzialmente in un’omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Cass. n. 12712/10; 7197/09; S.U. n. 26020/08).

3. Ne deriva l’inammissibilità del ricorso. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 10.200=, di cui Euro 10.000= per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2011

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