Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1865 del 21/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 21/01/2022, (ud. 24/11/2021, dep. 21/01/2022), n.1865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Luca – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5548-2020 proposto da:

O.N., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANNA ROSA ODDONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE presso la PREFETTURA

DI VERONA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui

Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 5585/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 11/12/2019 R.G.N. 862/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello proposto da O.N., cittadino nigeriano, avverso la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. la Corte territoriale, per quanto specificamente interessa in questa sede, ha negato credibilità al racconto del richiedente protezione; sulla base di talune fonti internazionali specificamente individuate, ha poi escluso che per la regione di provenienza dell’istante sussistessero le condizioni per riconoscere la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); ha infine negato la protezione umanitaria non avendo l’istante neanche allegato “di avere acquisito un certo grado di integrazione sociale nel nostro paese”;

3. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento impugnato il soccombente con 3 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia: “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, lamentando che la Corte di merito avrebbe disconosciuto la “evidente e incontrovertibile vulnerabilità dell’attuale ricorrente”;

con il secondo motivo ancora si denuncia: “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in ordine al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;

il terzo mezzo deduce: “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, criticando la sentenza impugnata per aver negato la protezione umanitaria;

2. tutti i motivi, per come sono stati formulati, risultano inammissibili;

innanzitutto, nella parte in cui invocano il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oltre a riferirsi ad una formulazione non più vigente, non rispettano gli enunciati posti da Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014 e Cass. n. 8054 del 2014, che onerano il ricorrente di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, nonché la sua “decisività”;

quanto, poi, alle prospettate violazioni o false applicazione di legge, le censure sono del tutto prive della necessaria specificità, senza un adeguato riferimento alla storia personale del richiedente e senza l’osservanza del fondamentale principio secondo cui l’motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non articoli specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa, avendo il ricorrente l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del giudizio di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione di identificare la critica mossa ad una parte ben specificata della decisione espressa (v., tra molte, Cass. n. 2959 del 2020; conf. Cass. n. 1479 del 2018); pertanto, se nel ricorso per cassazione si sostiene l’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, si deve chiarire a pena di inammissibilità l’errore di diritto imputato al riguardo alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia (Cass. SS.UU. 21672 del 2013); in caso contrario, la censura – pur formalmente formulata come vizio di violazione di norme legge – nella sostanza si traduce in una inammissibile denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, effettuata nell’esercizio di un apprezzamento non censurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione, peraltro nei ristretti limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come detto, non rispettato;

ogni ulteriore doglianza attiene a valutazioni di merito e come tale sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 11863 del 2018; Cass. n. 29404 del 2017; Cass. n. 16056 del 2016);

3. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato complessivamente inammissibile; nulla per le spese in difetto di attività difensiva del Ministero intimato;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2022

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