Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18648 del 08/09/2020

Cassazione civile sez. II, 08/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 08/09/2020), n.18648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19476/2019 proposto da:

E.C., elettivamente domiciliata in VIA NICOLA SALA N. 29 –

Benevento – presso l’avv. ROCCO BARBATO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avv. MASSIMILIANO CORNACCHIONE;

– ricorrente –

centro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE CASERTA, MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in PERSONA

DEL MINISTRO PRO TEMPORE, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOCHESI, 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 14/05/2019,

RG n. 11739/2018 n. cron. 4192/19;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere e Presidente Dott. FELICE MANNA.

 

Fatto

IN FATTO

E.C., cittadino (OMISSIS) nato nel (OMISSIS), adiva la Commissione territoriale di Caserta per ottenere la protezione internazionale o, in subordine, umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di essere nato e cresciuto nell'(OMISSIS), in una famiglia povera, e di aver lavorato come apprendista in un esercizio commerciale di materiale elettronico. Deduceva, quindi, che il suo datore di lavoro, dopo avergli promesso del denaro per aprire un’attività in proprio, aveva assoldato dei sicari per ucciderlo, i quali, tuttavia, a seguito delle sue suppliche, non solo l’avevano risparmiato, ma gli avevano dato anche 20.000 naira (moneta nigeriana) per allontanarsi dall’Edo State. A seguito di ciò, sosteneva, era andato a lavorare come contadino a (OMISSIS) (città del nord della Nigeria), da cui due anni dopo si era allontanato perchè stanco di lavorare senza essere pagato. Di qui l’espatrio in Italia, tramite la Libia.

La Commissione respingeva la domanda.

Avverso tale diniego il richiedente proponeva ricorso al Tribunale di Napoli, che con decreto del 14.5.2019 rigettava la domanda. Osservava il giudice di merito che l’intera vicenda narrata dal richiedente era del tutto incongrua ed inverosimile, così come non era credibile la circostanza che questi fosse andato a vivere a (OMISSIS) proprio nel 2014, epoca in cui era elevato il rischio di attentati terroristici di (OMISSIS), cui tuttavia il ricorrente non aveva fatto alcun cenno. Escludeva, altresì, che ricorressero le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria, non risultando nè raggiunta un’integrazione in Italia, nè dimostrata una grave deprivazione dei diritti umani nel Paese d’origine.

Per la cassazione di tale provvedimento il richiedente propone ricorso, affidato a sei motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 8 e art. 14, lett. c), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 27, comma 1-bis, nonchè, in rapporto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la contraddittorietà ed illogicità della motivazione circa un fatto decisivo, nonchè l’errata od omessa valutazione delle emergenze processuali. Parte ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe omesso, da un lato, di considerare le minacce di morte ricevute dal datore di lavoro, minacce rilevanti in sè in quanto è ammissibile che la persecuzione possa derivare anche da un soggetto non statuale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c) e art. 6 direttiva 2004/83/CE; e dall’altro, di esercitare la propria cooperazione istruttoria acquisendo informazioni aggiornate sulla Nigeria, ove è grave e costante la violazione dei diritti umani.

2. – Il secondo mezzo denuncia, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 132 c.p.c., dato il carattere puramente apparente della motivazione svolta in ordine alla credibilità del narrato; e contrappone al giudizio operato dal Tribunale possibili considerazioni di segno diverso.

3. – Col terzo motivo si deduce, in base dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del decreto impugnato per omessa pronuncia e per violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 9, 11 e 17, art. 11, n. 1, lett. e) della direttiva n. 2013/32/UE, relativamente alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, questa, di contenuto minore, da esaminare in subordine e solo dopo aver escluso quella, di contenuto maggiore, che nella specie non sarebbe stata esaminata.

4. – Col quarto motivo è dedotta, sempre in rapporto dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del decreto impugnato per violazione dell’art. 132 c.p.c., a cagione del carattere puramente apparente della motivazione espressa sul giudizio di non credibilità del racconto del richiedente, quanto al suo trasferimento a (OMISSIS), luogo rilevante quale zona di transito interessata dagli attentati terroristici di (OMISSIS).

5. – Il quinto mezzo allega, in base dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè la contraddittorietà della motivazione su di un fatto decisivo “e/o comunque per non avere il Collegio di prime cure tenuto in debita considerazione le dichiarazioni del richiedente e/o comunque per la mancata o errata valutazione di risultanze processuali”. Deduce parte ricorrente che la circostanza per cui il richiedente non corra alcun pericolo in una parte del Paese d’origine non può sorreggere il rigetto della domanda di protezione internazionale, poichè la facoltà alternativa del trasferimento interno, consentita dall’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, non è stata recepita dal legislatore nazionale. Lamenta, ancora, parte ricorrente, che è mancata ogni indagine sulla situazione dei luoghi di transito -(OMISSIS) e la Libia – e che il Tribunale, sebbene abbia riconosciuto che (OMISSIS) sia fortemente interessata da attacchi terroristici del gruppo di (OMISSIS), ha poi rigettato la domanda di protezione sussidiaria per la non credibilità della vicenda narrata.

6. – Il sesto motivo deduce, in rapporto dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, art. 10 Cost., art. 6, par. 4, della direttiva UE 115/08, nonchè della direttiva n. 95/11, e degli artt. 112 e 116 c.p.c., e in rapporto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa o quanto meno insufficiente motivazione circa un punto decisivo, “e/o comunque per non avere il Collegio di prime cure tenuto in debita considerazione le dichiarazioni del richiedente e/o comunque per la mancata o errata valutazione di risultanze processuali”. Sostiene parte ricorrente che il Tribunale, nel respingere la domanda di protezione umanitaria, ha mancato di esaminare l’esistenza dei requisiti previsti dal D.Lgs. n. 286 del 1998 e dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, segnatamente l’inserimento del richiedente in Italia e la situazione di abbandono e vulnerabilità di lui, sia per le persecuzioni e i maltrattamenti subiti in Libia, sia per il fatto di non avere più alcun posto ove far ritorno.

7. – Il primo, il secondo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente perchè del decreto impugnato aggrediscono, sotto profili diversi ma con sostanziali iterazioni, il giudizio d’inattendibilità della narrazione del richiedente, sono manifestamente infondati.

Detto giudizio non è idoneo a violare le prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, che regolano i c.d. indicatori di genuinità, in quanto la violazione o la falsa applicazione di legge non possono mai essere secondarie ad un erroneo apprezzamento dei fatti. Invero, quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (indirizzo costante di questa Corte Suprema: v. per tutte, n. 635/15).

Nello specifico, parte ricorrente si è limitata a sostenere che il racconto del richiedente sarebbe plausibile, perchè questi ha dichiarato che “a volte” (v. pag. 8 del ricorso) gli apprendisti vengono uccisi dai datori di lavoro nel momento in cui devono essere pagati; e che, dunque, nella specie sarebbe “ragionevole” l’atteggiamento dei sicari che, avendo sicuramente percepito un compenso per uccidere il richiedente, una volta deciso di risparmiargli la vita l’abbiano, altresì, munito di denaro per facilitargli la fuga ed evitare, così, di essere smentiti.

Ma questo è solo un diverso apprezzamento dei fatti, il quale è notoriamente insindacabile innanzi a questa Corte di legittimità, anche sotto la lente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la cui riformulazione, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U. n. 8053/14).

E nel caso in esame è tutt’altro che apparente la motivazione del provvedimento impugnato, lì dove il Tribunale ha ritenuto non plausibile che un datore di lavoro assoldi dei sicari solo per eludere l’adempimento di un’obbligazione verso un proprio apprendista, e che, per giunta, questi ultimi oltre a risparmiarlo gli avrebbero dato anche una somma (20.000 naira) per lasciare l’Edo State. Non senza rimarcare che parte ricorrente non ha citato una sola fonte qualificata che accrediterebbe la dedotta circostanza, secondo cui in Nigeria “a volte” i datori di lavoro uccidano gli apprendisti per non doverli pagare.

7.1 – Ancora, in tema di riconoscimento della protezione internazionale, l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; ne consegue che, in caso di racconto inattendibile e contraddittorio e per di più variato nel tempo, non è nulla la sentenza di merito che – come del resto affermato da Corte di Giustizia U.E., 26 luglio 2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko, e da Corte EDU, 12 novembre 2002, Dory c. Svezia – rigetti la domanda senza che il giudice abbia proceduto a nuova audizione del richiedente per colmare le lacune della narrazione e chiarire la sua posizione (v. n. 33858/19 e 16925/18).

Ed infine, avendo il Tribunale escluso in radice la credibilità dell’esposta vicenda personale del richiedente, resta assorbita ogni questione sia sull’astratta configurabilità o meno di atti persecutori provenienti non da gruppi più o meno organizzati, ma da singoli soggetti privati. Allo stesso modo assorbito anche l’esame dell’effettività del trasferimento del richiedente in altra regione della Nigeria, anche a prescindere dalla motivazione aggiuntiva svolta a tale ultimo riguardo nel provvedimento impugnato.

8. – Il terzo motivo è infondato.

Sulla base di un ragionamento paralogico, esso suppone erroneamente che il giudice debba di necessità operare distinte motivazioni di diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (intendi bene, soltanto per le ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b), sol perchè questa è succedanea a quella. Per contro, una volta esclusa l’attendibilità della narrazione del richiedente, è di evidenza solare che l’una motivazione di diniego regga l’altra. Inesigibile il contrario (pena la nullità della sentenza per irriducibile contrasto motivazionale), il giudice non è tenuto a pedanti iterazioni del medesimo apprezzamento negativo.

9. – Per le considerazioni sopra svolte, anche il quinto motivo non ha pregio.

Esclusa in loto l’attendibilità del racconto (con valutazione in fatto non sindacabile in questa sede), l’asserito trasferimento del richiedente a (OMISSIS) per sottrarsi ad un rischio di morte non è neppure scrutinabile, non potendosi esso accreditare come effetto di una premessa che il giudice di merito ha stimato inverosimile. Di conseguenza, non ha alcun rilievo la censura in esame, nè lì dove lamenta che il Tribunale non abbia considerato le fonti che indicano la città di (OMISSIS) come soggetta alle incursioni terroristiche del gruppo di (OMISSIS); nè ove prospetta come necessario il rientro del richiedente in detto centro, e non predicabile, per mancato recepimento dell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE da parte del legislatore nazionale, la facoltà di un trasferimento interno altrove.

10. – Il sesto motivo è inammissibile.

In disparte la mescolanza di profili diversi e tra loro incompatibili (dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per di più inammissibilmente estesi alla pretesa insufficienza motivazionale e all’errata valutazione delle risultanze processuali (l’una come l’altra non censurabili), la critica si esaurisce nell’apodittica affermazione che il ricorrente si sarebbe integrato nella società italiana, senza, però, che sia addotta alcuna decisiva e discussa circostanza di fatto, il cui esame il Tribunale avrebbe omesso.

Pari inammissibilità affligge il motivo, ove in esso si lamenta l’omesso esame della vulnerabilità del richiedente per i suoi trascorsi a (OMISSIS) e, poi, in Libia, prima di giungere in Italia. Intatta, per le ragioni di cui sopra, la ritenuta non credibilità del trasferimento di lui in detta città della Nigeria, va osservato, limitatamente alla dedotta esperienza libica, che in tanto la vulnerabilità del richiedente va considerata in rapporto alle violenze subite nel Paese di transito, in quanto queste siano potenzialmente idonee a ingenerare un forte grado di traumaticità (cfr. n. 13096/19). Ma, anche in tal caso, la censura risulta del tutto apodittica, non essendo nè specificato qual tipo di violenze avrebbe subito il richiedente, nè dimostrata la relativa specifica allegazione nel giudizio di merito.

Per il resto, il mezzo consta di considerazioni generali sulla natura della protezione umanitaria e della mera ripetizione, nei punti salienti, della vicenda narrata dal richiedente.

11. – In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.

12. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

13. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate e prenotande a debito. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2020

 

 

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