Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18646 del 12/09/2011

Cassazione civile sez. III, 12/09/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 12/09/2011), n.18646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15124-2009 proposto da:

C.R. (OMISSIS), elettivamente PU

domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso contributo lo

studio dell’avvocato TAMPONI MICHELE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SELLA ANTONIO DOMENICO giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.P. (OMISSIS), T.I.

(OMISSIS), T.D. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato

ORLANDO FABIO MASSIMO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CASAROTTO GIANGIORGIO giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 156/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

SEZIONE 2^ CIVILE, emessa il 11/03/2008, depositata il 29/01/2009

R.G.N. 1534/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato TAMPONI MICHELE; udito l’Avvocato ORLANDI FABIO

MASSIMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 23/1/2009 la Corte d’Appello di Venezia respingeva il gravame interposto dal sig. C.R. nei confronti della pronunzia Trib. Verona 16/4/2003 di accoglimento della domanda di riscatto agrario, proposta dai sigg.ri T.D., P. e I., concernente appezzamenti di terreno siti in Comune di (OMISSIS) che aveva acquistato dal sig. Pe.

P..

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il C. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso i T., che hanno presentato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2^ motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 354 c.p.c., artt. 1414 e 1417 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4^ motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono sotto plurimi profili inammissibili.

Va anzitutto osservato che l’art. 366-bis c.p.c. dispone che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel caso risultano i formulati quesiti non risultano informati allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa (ovvero prospettando, del pari inidoneamente, solamente una di tali indicazioni, o comunque non tutte quelle sopra indicate, necessarie per consentire a questa Corte il controllo spettantele).

I formulati quesiti in realtà nel caso si sostanziano in espressioni evocanti le non accolte tesi difensive, (anche) prospettando corollari tratti da presupposti o postulati di fatto alle medesime corrispondenti e contrari alle conclusioni raggiunte nell’impugnata sentenza fondate sul delineato quadro probatorio, a tale stregua palesandosi privi di decisività, tali cioè da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433;

Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., 7/4/2009, n. 8463), di ben individuare le questioni affrontate e le soluzioni al riguardo adottate nella sentenza impugnata, nonchè di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), circoscrivendo la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso il motivo risulta formulato in violazione del principio di autosufficienza, atteso che i ricorrenti fanno richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., alla sentenza di primo grado, all'”atto di compra vendita”, alla “comparsa di costituzione del convenuto C.”, alle “cristalline risultanze documentali”, alla “memoria di replica in Corte d’Appello”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, comma n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il motivo con il quale si denunzia vizio di motivazione non reca invero la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati- delle “ragioni” delle doglianze, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresì carente di autosufficienza.

Va ulteriormente osservato che la prescrizione contenuta nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo la quale il ricorso per cassazione deve a pena d’inammissibilità contenere l’esposizione sommaria dei fatti di causa, non può ritenersi osservata quando il ricorrente non riproduca alcuna narrativa della vicenda processuale, nè accenni all’oggetto della pretesa, limitandosi ad allegare, mediante “spillatura”, o come nella specie a riprodurre, nel corpo del motivo di ricorso (tutti o parte degli) atti o documenti del giudizio di merito, rimettendo all’iniziativa del giudice l’individuazione della materia del contendere, in contrasto con lo scopo della disposizione, volta ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (v. Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628).

Ai fini del rispetto del principio di autosufficienza è infatti necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità, con eliminazione del “troppo e del vano”, non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito ciò che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare (v. Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un,, 17/7/2009, n. 16628).

Il ricorrente è pertanto al riguardo tenuto non già ad un’attività materiale meramente compilativa, alternando pagine con richiami ad atti processuali del giudizio di merito alla relativa allegazione o trascrizione, bensì a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quale richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema, il che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180).

Trova a tale stregua ragione il tenore dell’art. 366 c.p.c. là dove impone di redigere il ricorso per cassazione esponendo sommariamente i fatti di causa, sintetizzando cioè i medesimi con selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice, nonchè indicazione delle ragioni di critica nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c., in un’ottica di economia processuale che evidenzi i profili rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso, che altrimenti finiscono per risolversi in censure astratte e prive di supporto storico (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180).

A tale stregua la mancanza della prescritta esposizione del fatto non può essere ovviata mediante l’esame delle censure in cui si articola del ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento impugnato, nè mediante la disamina della narrativa contenuta nel controricorso o nella memoria illustrativa, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione (cfr., da ultimo, Cass. 9/6/2011, n. 12281).

Orbene, nel caso il ricorrente, da un canto, si limita a riprodurre nel corpo del motivo di ricorso atti o documenti del giudizio di merito (la sentenza della corte di merito; conclusioni precisate dalle parti i grado di appello), e, per altro verso, a fare richiamo, come detto ad atti e documenti del giudizio di merito in violazione del principio di autosufficienza.

Non può infine sottacersi che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità l’omesso esame di una domanda e la pronunzia su domanda non proposta, nel tradursi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sono deducibili con ricorso per cassazione esclusivamente quale error in procedendo ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307;

Cass., 23/5/2001, n. 7049) (nullità della sentenza e del procedimento) (v. Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369; Cass., 25/9/1996, n. 8468), e non anche come nel caso sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (e a fortiori del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (v. in particolare Cass., 4/6/2007, n. 12952; Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass., 26/1/2006, n. 1701).

E che anche in relazione alla denunzia di vizio integrante error in procedendo il principio di autosufficienza va invero osservato, dovendo specificamente indicarsi l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass., 31/1/2006, n. 2138; Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).

E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores. In procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale) ed abbia quindi il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Orbene, il ricorrente, attesa la rilevata violazione del principio di autosufficienza, non ha posto questa Corte nella condizione di compiutamente apprezzare quale fosse l’oggetto della domanda originariamente rivolta al giudice di prime cure, quale sia stata la relativa pronunzia, e quali fossero i limiti (oggettivi e soggettivi) del gravame avverso la medesima interposto.

Senza sottacersi che giusta orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato non rimane violato allorquando il giudice esamini una questione non espressamente formulata laddove questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (v. Cass., 26/10/2009, n. 22595); ovvero allorquando la domanda risulti assorbita dall’accoglimento di altra (cfr. Cass., 19/5/2006, n. 11756; Cass., 25/1/2006, n. 1380; Cass., 19/3/2004, n. 5562); ovvero, ancora, ricostruisca e qualifichi l’azione diversamente da come prospettato, attenendo tale accertamento all’obbligo di esatta applicazione della legge (v. Cass., 28/1/2000, n. 961), o pronunzi in base a ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in base a norme giuridiche diverse da quelle dalle medesime invocate (v. Cass. 30/8/1997, n. 8258), come nel caso dallo stesso ricorrente invero prospettato.

Emerge dunque evidente, alla stregua di tutto quanto sopra rilevato ed esposto, come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., in realtà sollecita, cantra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr.

Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2011

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