Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18645 del 23/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 23/09/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 23/09/2016), n.18645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7929/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CALZATURIFICIO ORION SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DI PRISCILLA 4,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO COEN, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DAVIDE DRUDA giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12/2009 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 14/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO che si riporta e chiede

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato MARTIN per delega

dell’Avvocato DRUDA che si riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 12 del 14 aprile 2009, la Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dal Calzaturificio ORION s.p.a. avverso due avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., che aveva riscontrato differenze inventariali tra le scritture ausiliarie di magazzino e le giacenze fisiche negli anni di imposta (OMISSIS), ed applicando la presunzione di cui al D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, aveva contestato alla contribuente l’omessa documentazione ed annotazione di operazioni imponibili di cessione e l’omessa fatturazione di acquisti, nonchè, in relazione al solo anno di imposta (OMISSIS), l’indebita deduzione di costi risultanti da fatture emesse da società di nazionalità rumena, ritenuti non inerenti all’attività imprenditoriale.

Sosteneva il giudice di appello che la circostanza che le differenze inventariali emergessero dalle annotazioni di magazzino effettuate dalla stessa società contribuente e non da specifica attività di indagine degli accertatori, portava ad escludere che la contribuente avesse maliziosamente voluto occultare ricavi e costi non contabilizzati, avendo piuttosto confidato sulla regolarità delle operazioni contabili; che, applicando il principio di tolleranza codificato nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), emergeva l’assoluta marginalità delle differenze inventariali riscontrate dai verificatori rispetto alla produzione ed al volume di affari complessivo della società contribuente, attestandosi su percentuali del 7 per mille dei ricavi per l’anno 2001 e del 4 per mille per l’anno 2002, ulteriormente riducibili in considerazione degli scarti di lavorazione e della produzione di campioni commerciali e come tali inidonee a giustificare le riprese operate dall’Ufficio in via presuntiva; che, in relazione alle fatture emesse dalla società rumena, gravava sull’Ufficio l’onere, nella specie non assolto, di provare la non inerenza economica delle relative prestazioni.

2. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate che deduce quattro motivi, cui replica l’intimata con controricorso e memorie depositate ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, comma 2 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d). Nel premettere che l’Amministrazione finanziaria aveva rilevato e contestato alla società contribuente, con riferimento agli anni di imposta (OMISSIS), differenze inventariali sulla base delle scritture di magazzino redatte dalla medesima società, rispetto agli acquisti e alle vendite risultanti dalle scritture contabili, ha sostenuto che era incorsa in errore la CTR veneta laddove aveva ritenuto non operante la presunzione di cui al D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, sulla base dei seguenti presupposti, nessuno dei quali riconducibili alle ipotesi tassativamente previste dal citato decreto (artt. 1 e 2): a) che le differenze inventariali poste a fondamento dei rilievi dell’Ufficio emergevano dalle annotazioni di magazzino effettuate dalla stessa società contribuente e non da specifica attività di indagine degli accertatori; b) che la contribuente non aveva agito maliziosamente al fine di occultare ricavi o costi non contabilizzati, avendo piuttosto confidato sulla regolarità delle operazioni contabili; c) che nella specie le differenze inventariali accertate erano marginali ed incidevano in minima parte sul totale dei ricavi della società contribuente, così da ritenere pure applicabile il principio di tolleranza di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), pur in mancanza di qualsiasi attinenza con le ipotesi di presunzione legale operante nella fattispecie.

Ha quindi chiesto a questa Corte di dire se sia errata, per violazione delle disposizioni censurate, la sentenza della CTR che affermi la non operatività delle presunzioni di cui al d.p.r. n. 441 del 1997, in ragione dei fatti di cui alle precedenti lettere a), b) e c), non considerando che la presunzione legale di cui al citato D.P.R. n. 441 del 1997, non opera solo nei casi tassativi previsti nello stesso decreto, che nessuna delle sopra dette circostanze è riconducibile a detti casi e che infine il principio di tolleranza emergente dalla lett. d) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, non ha alcuna attinenza con le ipotesi in cui opera la presunzione legale in esame.

2. In relazione a tale quesito l’eccezione di inammissibilità perchè plurimo o multiplo, sollevata dalla controricorrente, è infondata perchè in realtà il quesito di diritto posto alla Corte è unico, richiedendosi l’affermazione che l’operatività della presunzione legale posta dal D.P.R. n. 441 del 1997, non è esclusa nè dall’applicazione del principio di tolleranza ricavabile dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, nè dalle plurime ragioni indicate dal giudice di appello, che però non pretendono la formulazione di separati quesiti per ciascuna di esse. Il quesito, formulato nei termini sopra trascritti, è quindi completo, specifico ed idoneo a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (arg. da Cass. n. 7197 del 2009; S.U. n. 21672 del 2013) ed è quindi ammissibile anche alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui il quesito può anche essere formulato per più punti purchè gli stessi consistano in più proposizioni, intimamente connesse, che, per la loro funzione unitaria, sotto il profilo logico e giuridico, risultino complessivamente idonee, pur sovrapponendosi parzialmente, a far comprendere senza equivoci la violazione denunciata ed a richiedere alla Corte di affermare un principio di diritto contrario a quello posto a base della decisione impugnata (Cass. n. 26737 del 2008).

3. Nel merito il motivo è fondato e va accolto.

3.1. Il D.P.R. n. 441 del 1997, regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto (a suo tempo regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53), all’art. 4, comma 2, prevede che le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 14, comma 1, lett. d) o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo. Come osservato da questa Corte la norma si riferisce alle cd. differenze inventariali ovvero a quelle differenze che si possono registrare nelle giacenze di magazzino tra le quantità dei beni iscritti nell’inventario annuale e quelle che si possono verificare in corso d’anno per effetto di cali fisici, errato utilizzo dei codici identificativi all’atto del carico e/o dello scarico, ammanchi, distruzioni e fatti analoghi, che l’imprenditore è autorizzato a far constare a mente del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 14, comma 1, lett. d), a voce del quale nelle scritture ausiliare di magazzino “possono inoltre essere annotati, anche alla fine del periodo d’imposta, i cali e le altre variazioni di quantità che determinano scostamenti tra le giacenze fisiche effettive e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico”. Ancorchè, dunque, le variazioni nella consistenza del magazzino in questo caso non siano da porsi in relazione a finalità di evasione dell’imposta, in quanto esse, come comunemente si afferma, si connettono ad un fenomeno del tutto fisiologico nell’andamento dell’impresa, nondimeno il legislatore non per questo ha ritenuto che non dovesse trovare applicazione la presunzione di cessione più generalmente stabilita per i beni che non si rinvengono presso i luoghi in cui l’impresa svolga la propria attività o quelli ad essi assimilati, sicchè in applicazione della norma più sopra citata anche per le differenze inventariali trova applicazione la presunzione anzidetta. E, dunque, trattandosi come questa Corte ha già avuto occasione di ribadire nel vigore del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53 – ma il principio è stato riaffermato anche con riguardo al D.P.R. n. 441 del 1997 (26477/14; 6663/14; 2845712) di “presunzioni legali relative, annoverabili tra quelle cosiddette “miste”, che consentono, cioè, la dimostrazione contraria da parte del contribuente, ma unicamente entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova ivi tassativamente prefigurati e stabiliti ad evidenti fini antielusivi” (21517/05), è onere della parte provare che la contrazione registratasi nella consistenza del magazzino non sia frutto di cessioni o acquisizione non contabilizzate, prova che, come pure ricordato, non può essere data con qualunque mezzo, ma solamente con le prove tassativamente indicate dagli artt. 1 e 2 del citato D.P.R. (13210/12) (cfr. Cass. n. 10915 del 2015, in motivazione; conf. Cass. n. 377 del 2016) e, dunque, soltanto se il contribuente dimostri che i beni non rinvenuti sono stati impiegati nella produzione, perduti o distrutti (art. 1, comma 2, lett. b) ovvero sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o altro titolo non traslativo della proprietà (lett. b) e sempre che la perdita – dovuta anche ad eventi fortuiti, accidentali e non imputabili a volontà del contribuente – sia attestata da documentazione o dichiarazione sostitutiva di notorietà, trasmessa entro trenta giorni dall’evento ad un organo della PA, ovvero la cessione gratuita o la distruzione o trasformazione dei beni sia comunicata nel breve termine di cinque giorni alla Guardia di Finanza (cfr. Cass. n. 13120 del 2012; id. n. 377 del 2016).

3.2. Neppure corretta è l’applicazione alla fattispecie del principio di tolleranza di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), u.p., che, nel prevedere che le scritture ausiliarie di magazzino non si considerano irregolari se gli errori e le omissioni sono contenuti entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel carico o nello scarico e dei costi specifici imputati nelle schede di lavorazione ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. d), del presente decreto, esclude che in tale ipotesi l’Amministrazione finanziaria possa accertare il reddito d’impresa con metodo induttivo.

Le suddette disposizioni operano su campi operativi che non si sovrappongono nè si interescano, regolando fattispecie tra loro totalmente diverse, posto che la prima (art. 39 citato) si occupa di disciplinare i casi in cui è consentita all’Amministrazione finanziaria di operare accertamenti induttivi, le altre (quelle del D.P.R. n. 441 del 1997) disciplinano invece gli effetti impositivi derivanti dalle variazioni di magazzino, che prescindono del tutto dall’entità delle medesime.

3.3. Risulta, quindi, pienamente evidente l’errore di sussunzione nel quale è incorsa la CTR laddove ha escluso l’operatività nella fattispecie della presunzione legale di cui si è detto sul rilievo che le differenze inventariali fossero marginali e risultassero da annotazioni di magazzino effettuate dalla stessa società verificata, che escludeva anche un intento fraudolento della medesima. Infatti, nè la marginalità, sotto il profilo quantitativo, contabile e fiscale (così a pag. 8 della sentenza impugnata), nè la volontarietà delle correzioni apportate dalla contribuente alla consistenza del proprio magazzino possono costituire elementi di valutazione idonei a superare la presunzione legale di cessione e di acquisto di beni senza fattura posta dal D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, atteso che la presunzione di cessione di cui al D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 3, non trova in ciò alcuna limitazione quanto al campo della sua efficacia, con la conseguenza che essa è pienamente operante nei suoi risvolti impositivi se il contribuente non si offra di superarla nei modi consentiti (cfr. Cass. n. 10915 del 2015) dal D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 2, tra i quali non è possibile annoverare gli elementi nella specie utilizzati dal giudice di appello, il quale, pertanto, in sede di rinvio (a seguito di cassazione della sentenza gravata per l’accoglimento del motivo in esame), in applicazione dei suddetti principi, dovrà accertare se la società verificata abbia superato la presunzione legale di cessione con le modalità probatorie prescritte dalle disposizioni da ultimo citate.

4. Con il secondo motivo, che si conclude con un idoneo momento di sintesi, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di omessa motivazione sulle ragioni che avrebbero indotto i giudici di merito a ritenere che l’esistenza di scarti industriali di lavorazione e produzione di campioni commerciali, non considerati negli avvisi di accertamento, costituiscano prova idonea a superare la presunzione di cessione di cui al D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, comma 2, lett. b).

5. Il motivo è fondato.

5.1. Quelle degli scarti di lavorazione e della produzione di campioni commerciali vengono dalla CTR assunte ad elementi idonei a ridurre, anche considerevolmente, la misura percentuale delle differenze inventariali contestate alla società verificata, la cui marginalità, in quanto utilizzata ai fini del superamento della presunzione legale di cui al più volte D.P.R. n. 441 del 1997, citato art. 4, costituisce un punto decisivo della causa. Il che rende ragione dell’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del motivo sollevata dalla controricorrente proprio con riferimento alla sua decisività, sul presupposto che anche eliminando la parte di motivazione censurata, non si sarebbe privato di logicità la sentenza e, di contro, “sanandola”, non si sarebbe pervenuto a diversa decisione.

5.2. Il giudice di appello omette però di dare conto in sentenza sia delle ragioni per cui gli scarti di lavorazione e la produzione di campioni commerciali possano ricondursi ad una delle ipotesi di esclusione della presunzione di cessione posta dal D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, comma 2, lett. b), sia delle ragioni per le quali dette circostanze fattuali consentano di ricondurre le accertate differenze inventariali entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel carico o nello scarico (come prevede D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), ma principalmente perchè nella specie opererebbe il principio di tolleranza rinvenibile in detto art. 39. A ciò aggiungasi che nell’esporre le ragioni poste a base del terzo mezzo di impugnazione, di cui appresso si dirà, la ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, provvede a trascrivere la parte sub specie rilevante del contenuto delle dichiarazioni rilasciate dal legale rappresentante della società contribuente agli organi verificatori, nonchè della dichiarazione sostitutiva di atto notorio dal medesimo redatto in data 27.2.2003 e consegnata alla G.d.F., in cui si afferma che le cause delle differenze inventariali rilevate andavano imputate ora a cali delle materie,… ad errori di conteggio fisico da parte degli operatori,… ad errori di digitazione nell’inserimento dei dati nel sistema contabile di gestione del magazzino, ora ad eventi fortuiti, accidentali o comunque indipendenti dalla volontà dell’azienda. L’impossibilità di cogliere in tali dichiarazioni un qualche riferimento agli scarti di lavorazione e alla produzione di campioni commerciali come ragione giustificativa delle rilevate differenze inventariali, è ulteriore motivo di non comprensibilità delle ragioni poste a base del decisum, non essendo neanche esposte le risultanze processuali da cui la CTR abbia potuto trarre la sussistenza di tali circostanze.

6. Con il terzo motivo, corredato da idoneo quesito di diritto, la difesa erariale deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 1, comma 5 e art. 2, sostenendo che la CTR era incorsa nella dedotta violazione di legge laddove aveva ritenuto che gli scarti di lavorazione e la produzione di campioni commerciali giustificassero le accertate differenze inventariali, perchè circostanze non provate con le modalità tassativamente prescritte dall’art. 2 D.P.R. citato, in quanto le stesse costituivano mere ipotesi formulate dal legale rappresentante della società in sede di dichiarazioni rese ai verificatori e nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio, peraltro resa tardivamente.

6.1. Al riguardo deve, preliminarmente, darsi atto che la controricorrente ha sollevato eccezione di inammissibilità del motivo sul presupposto che con esso viene censurata una affermazione della sentenza resa solo ad abundantiam o ad colorandum, che non costituisce nucleo fondante della statuizione. Come osservato esaminando analoga eccezione sollevata con riferimento al secondo mezzo d’impugnazione, la marginalità delle differenze inventariali, desunta anche dall’esistenza di scarti di lavorazione e di campioni commerciali ed utilizzata ai fini del superamento della presunzione legale di cui al D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, costituisce ratio decidendi idonea a sorreggere da sola della sentenza gravata, con conseguente infondatezza dell’eccezione.

7. Il motivo è invece fondato e va accolto.

7.1. A norma del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 2, comma 3, per la perdita dei beni dovuta ad eventi fortuiti, accidentali o comunque indipendenti dalla volontà del soggetto la presunzione di cessione non opera se la perdita è provata da idonea documentazione fornita da un organo della pubblica amministrazione o, in mancanza, da dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 47, resa entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento o dalla data in cui se ne ha conoscenza, dalle quali risulti il valore complessivo dei beni perduti, salvo l’obbligo di fornire, a richiesta dell’Amministrazione finanziaria, i criteri e gli elementi in base ai quali detto valore è stato determinato. Nella specie non risulta che la società abbia fornito una simile prova, la cui mera allegazione – anche ove eventualmente effettuata – è del tutto insufficiente in quanto, anche in ipotesi di distruzioni che non dipendano dalla volontà dell’imprenditore… normalmente connesse a situazioni ricorrenti come i cali naturali di prodotto o le sue normali alterazioni (diverse da quelle che vengono qui in rilievo, e cioè scarti di lavorazione e produzione di campioni commerciali) spetta sempre all’imprenditore fornire la prova di codeste situazioni secondo le regole e con tutti i mezzi di cui all’art. 2697 c.c. e segg., giacchè non si può ritenere che le stesse debbano essere apprezzate per il sol fatto della loro allegazione (Cass. n. 10927 del 2015, in motivazione). L’affermazione della CTR è quindi errata in diritto e va emendata.

8. Con il quarto ed ultimo motivo, corredato da idoneo quesito di diritto, la ricorrente deduce che la CTR era incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove aveva posto a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la non inerenza dei costi riportati nelle fatture emesse da una società rumena, ripresi a tassazione.

9. Il motivo è fondato e va accolto.

9.1. In relazione alle fatture emesse dalla società rumena Edelsa Impex s.r.l., ha affermato la CTR che l’Ufficio, cu cui grava il relativo onere (tra le più recenti, Cass. 18/1/08 n. 1023), avrebbe dovuto fornire adeguati elementi a sostegno della non inerenza economica delle prestazioni fatturate.

9.2. La ripresa a tassazione delle tredici fatture emesse dalla società rumena è stata effettuata per difetto di inerenza dei costi ivi esposti, come si desume dalla descrizione dell’oggetto della prestazione riportata sulle stesse come spese sostenute per vostro conto in Romania, cui aveva fatto seguito la loro annotazione al sottoconto imputato ad Altri Costi Romania e la mancata esibizione di documentazione idonea a giustificare la spesa (pagg. 3 e 4 del ricorso).

E’ pertanto errata la statuizione impugnata laddove pone a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la non inerenza dei costi fatturati, in ciò fuorviata la CTR dal riferimento ad un principio giurisprudenziale (affermato da Cass. n. 1023 del 2008) affermato con riguardo all’ipotesi del tutto diversa dell’inesistenza delle operazioni commerciali fatturate.

9.3. Invece, in tema di inerenza dei costi la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 21184 del 2014) ha reiteratamente tratto l’insegnamento secondo cui i costi, per essere ammessi in deduzione quali componenti negativi del reddito di impresa, debbono soddisfare i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. n. 10167 del 2012; n. 13806 del 2014; n. 1565 del 2014). In particolare si è affermato da tempo con riguardo alla previsione recata dall’art. 75 (ora art. 109), comma 5, T.U.I.R., di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, che affinchè un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa” (Cass. n. 6650 del 2006). La norma, si è precisato, formula (infatti) il cosiddetto principio di inerenza e cioè il principio della riferibilità dei costi che si intendono dedurre ai ricavi: siffatta riferibilità, però, non richiede… la connessione comprovata per ogni molecola di costo quale partita negativa della produzione, essendo sufficiente la semplice… contrapposizione economica teorica (cioè, la cosiddetta latenza probabile degli stessi), avuto riguardo alla tipologia organizzativa del soggetto, che genera quindi partite passive deducibili se i costi riguardano l’area o il comparto di attività destinati, anche in futuro, a produrre partite di reddito imponibile. L’inerenza è quindi una relazione tra due concetti – la spesa e l’impresa – che implica, un accostamento concettuale tra due circostanze per cui il costo assume rilevanza ai tini della quantificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito bensì in virtù della sua correlazione con una attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cass. n. 12168 del 2009; id.; n. 1465 del 2009; n. 4041 del 2015). Trattandosi peraltro di una componente negativa del reddito, la prova della sua esistenza ed inerenza incombe al contribuente (Cass. n. 1709 del 2007; id. n. 7701 del 2013; n. 21184 del 2014) e per provare tale ultimo requisito, non è sufficiente… che la spesa sia stata dall’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa (Cass. n. 4570 del 2001).

9.4. Non essendosi la CTR attenuta a tali principi, il motivo di ricorso in esame va accolto.

10. In estrema sintesi, all’accoglimento di tutti i motivi di ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, che riesaminerà la vicenda alla stregua dei principi sopra enunciati, provvederà, come richiesto anche dalla società contribuente nelle memorie depositate ai sensi dell’art. 378 c.p.c., a verificare la legittimità delle sanzioni amministrative applicate alla stregua dello ius superveniens di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, ed infine regolerà le spese anche del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie i motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese processuali alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016

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