Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18645 del 12/09/2011

Cassazione civile sez. III, 12/09/2011, (ud. 17/06/2011, dep. 12/09/2011), n.18645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2737-2006 proposto da:

E.G. (OMISSIS), E.V.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso lo studio

dell’avvocato LAURO MASSIMO, rappresentati e difesi dall’avvocato

LAMBIASE PASQUALE giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.M. (OMISSIS), N.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA, FASANA N 21, presso lo studio

dell’avvocato SIELO STEFANIA (STUDIO GALLO), rappresentati e difesi

dall’avvocato TORCIA GAETANO giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

N.M., + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2793/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

SEZIONE 3^ CIVILE, emessa il 29/09/2005, depositata il 06/10/2005

R.G.N. 2669/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/06/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6/10/2005 la Corte d’Appello di Napoli respingeva il gravame interposto dai sigg.ri G. e E.V., quali eredi della sig. R.C., nei confronti della pronunzia Trib. Napoli 28/2/2002 a) di accoglimento della domanda di rilascio di quartino con giardino sito in (OMISSIS) formulata dai sigg.ri A.M.P. ed altri, nonchè b) di rigetto della domanda riconvenzionale di accertamento di usucapione spiegata dall’originaria convenuta.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito gli E. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso i sigg.ri A.M.P. e N.A., a Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 300, 303 e 307 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto abbandonata l’eccezione di estinzione del processo per intempestiva riassunzione del processo.

Lamentano che “L’istanza di riassunzione del processo interrotto per la morte della convenuta E. fu depositato il 3.01.00 ed il termine di notifica fu fissato entro il 1.03.00 con ordinanza 11.01.00. Gli attori notificarono al solo E.G.. A temine scaduto, chiesero nuovo termine che ottennero con ordinanza 30.05.00 e notificarono la riassunzione all’appellante E. V. il 23.08.00 … Sennonchè, il termine perentorio dell’1.03.00 non poteva esser superato, non se ne poteva chiedere una protrazione dopo la sentenza, non lo si poteva fare senza un pregnante e documentato motivo che consentisse la rimessione in termini. E non si poteva eludere il punto con lo strumento della integrazione del contraddittorio”.

Con il 2^ motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione della L. n. 11 del 1971, art. 23, L. n. 29 del 1990, art. 9, L. n. 203 del 1982, artt. 5 e 46 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Lamentano che “la Corte sembra confondere la fattispecie al suo esame, nella quale gli attori avevano agito premettendo l’esistenza di un rapporto di affitto agrario e la morosità dell’affittuario quale causa petendi, con l’altra, nella quale gli istanti deducano il loro diritto di proprietà e la detenzione sine titulo del convenuto e questi eccepisca l’esistenza di un’affittanza agraria. Nel caso in esame, invece, il fatto costitutivo, la causa petendi, il petitum della domanda dell’istante N.A. e, poi, dei suoi aventi causa erano precisi, inequivoci, ribaditi negli atti processuali”.

Si dolgono che “dedotta l’affittanza agraria e dedotta la morosità, la controversia indiscutibilmente apparteneva all’esclusiva competenza della Sezione Specializzata Agraria”.

Con il 3^ ed il 4^ motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Si dolgono che sia stata erroneamente rigettata la sollevata eccezione d’incompetenza, spettando la cognizione della controversia alla Sezione specializzata agraria giacchè gli originari attori hanno agito in virtù di rapporto di affittanza agraria, lamentando la morosità dell’affittuario.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito e la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dagli odierni ricorrenti.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come i medesimi facciano richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”atto 23.03.83″ del “sig. N. A.”, allo “sfratto per morosità”, all'”ordinanza di rilascio”, alla “sentenza 2937/02” del “GOA”, al 2^ motivo d’appello” dei sigg.ri ” G. e E.V.”, all’atto di “riassunzione del 3.01.00″, all'”istanza di riassunzione del processo interrotto per la morte della convenuta E. … depositata il 3.01.00”, alla notifica “al solo E.G.”, all'”ordinanza 30.05.00″, alla notifica dell’atto di “riassunzione all’appellante E.V. il 23.08.00”, ai “motivi 1^ e 2^” degli appellanti, alla “diffida 21.03 – 12.04.83”, alla “citazione 31.01.86 dinanzi al tribunale di Napoli”, al “ricorso per riassunzione ex art. 303 c.p.c. del 3.01.00”, alla “costituzione in Tribunale con comparsa depositata il 27.03.86″, al 4^ motivo di appello” degli ” E.”, al verbale dell'”udienza 28.09.00″ avanti al “Tribunale”, all'”intimazione per convalida 30.05.83″, all’atto di “riassunzione in tribunale del 31.01.85”, al “5^ motivo di gravame” in appello), limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità, sicchè la mancanza anche di una sola delle suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 23/9/2009, n. 20535;

Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

A tale stregua non pongono questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso (v, Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., l/2/1995, n. 1161).

Nè vale d’altro canto farsi generico ed apodittico rinvio “ai documenti in atti”, deducendosi che la Corte i medesimi “può esaminare, stante lo specifico motivo di vizio procedurale”.

Come questa Corte ha già avuto modo di osservare, in particolare con riferimento alla denunzia di violazione ex art. 112 c.p.c., anche in caso di error in procedendo il principio di autosufficienza va invero osservato (v., da ultimo, Cass., 16/6/2011, n. 13178), dovendo specificamente indicarsi l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte nonchè in quale sede processuale risultino prodotti e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività, sicchè la mancanza anche di una sola delle suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 31/1/2006, n. 2138;

Cass., 27/1/2006, n. 1732; Cass., 4/4/2005, n. 6972; Cass., 23/1/2004, n. 1170; Cass., 16/4/2003, n. 6055).

E’ infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale), con conseguente potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta comunque quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Orbene, nel non osservare i suindicati principi i ricorrenti non pongono questa Corte nella condizione di compiutamente apprezzare la fondatezza delle doglianze, dovendo per converso rilevarsi che non risulta idoneamente censurata la ratio decidendi posta a sostegno dell’impugnata decisione secondo cui l’eccezione di estinzione del giudizio “non è stata riproposta negli atti successivi ed è stata abbandonata in sede di conclusioni, tant’è che il giudice di prime cure non l’ha esaminata in sede di decisione”, nè l’ulteriore statuizione circa la tempestività della riassunzione in considerazione anche del “termine di sospensione feriale … di 46 giorni”.

Va altresì osservato che, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, e come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la mancata riassunzione (art. 303 c.p.c.) del giudizio di primo grado, interrotto per morte di una delle parti, nei confronti di tutti gli eredi di essa, indipendentemente dalla loro successione nel rapporto sostanziale controverso o dalla scindibilità di questo, non determina l’estinzione del processo ( nè la riduzione dell’oggetto di esso per la corrispondente quota) bensì la necessità, a pena di nullità dell’intero giudizio, dell’integrazione del contraddittorio (v. Cass., 16/5/1997, n. 4360; Cass., 24/9/2002, n. 13864. Cfr.

altresì, da ultimo, Cass., 31/1/2011, n. 2207).

Deve per altro verso porsi in rilievo che non risulta invero dagli odierni ricorrenti idoneamente censurata, anche in ragione della già evidenziata violazione del principio di autosufficienza, la statuizione dell’impugnata sentenza circa l’infondatezza (oltre che l’intempestività) dell'”eccezione di incompetenza delle sezioni ordinarie del tribunale per essere invece competente la sezione agraria”, in difetto di un “vigente contratto agrario”, non risultando quest’ultimo invero nemmeno nella presente sede debitamente indicato e riportato nel ricorso.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto ricordati profili, le deduzioni degli odierni ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., i ricorrenti in realtà sollecitano, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti A. e N., seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore dei controricorrenti A. e N..

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA