Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18645 del 12/08/2010

Cassazione civile sez. I, 12/08/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 12/08/2010), n.18645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ZAMA DI ZANI P.I. MAURO (c.f. (OMISSIS)), in persona del

titolare pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA P. DA

PALESTRINA 19, presso l’avvocato DETTORI MASALA GIOVANNA ANGELA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato EPICOCO OBERDAN,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PUBLISERVIZI S.P.A., in persona del Presidente del C.d.A. pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI CAPRETTARI 70,

presso l’avvocato PALLOTTINO DAMIANO, rappresentata e difesa

dall’avvocato FARNETANI RICCARDO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n, 1310/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/04/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato R. FARNETANI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto con condanna

della parte soccombente al rimborso delle spese.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – In data 9 novembre 1998, la s.p.a. Publiser (poi divenuta s.p.a.

Publiservizi) concesse in appalto a Z.M., titolare dell’impresa individuale Zama – per il periodo dal 1998 al 2000 – la manutenzione delle installazioni e delle attrezzature elettriche ed elettromeccaniche presenti negli impianti Publiser situati nel territorio di tredici Comuni a cavallo tra le province di (OMISSIS).

Il contratto prevedeva l’obbligo dell’appaltatore: 1) di fornire anche il materiale necessario; 2) di assicurare il servizio di reperibilita’; 3) di curare la fornitura del materiale necessario; 4) di curare la progettazione esecutiva a mezzo di professionista abilitato, qualora per le opere commissionate questa fosse prevista ai sensi della L. 5 marzo 1990, n. 46, e del D.P.R. 6 dicembre 1991, n. 447; 5) di rilasciare certificazioni di conformita’ sia per i materiali adottati sia per le prestazioni eseguite negli interventi di cui alla L. n. 46 del 1990, art. 9.

Nel corso del rapporto, la Publiser – dopo aver contestato piu’ volte allo Z. sia ritardi nell’esecuzione delle opere, sia inadempimenti all’obbligo di eseguire i lavori secondo le regole dell’arte e l’ordinaria diligenza -, con la nota n. 13797 del 21 ottobre 1999, dichiaro’ di rescindere il contratto ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. F, art. 340 richiamato dal capitolato speciale d’appalto 1998 – 1999 e dagli artt. 9 e 15 del contratto di appalto.

2. – Lo Z. adi’ il Collegio arbitrale contrattualmente previsto e, sul rilievo che il provvedimento di rescissione del contratto era illegittimo, chiese che la Societa’ committente fosse condannata a pagargli il corrispettivo dovuto ed il risarcimento dei danni. Gi arbitri – assunte prove documentali ed orali -, con il lodo 28 dicembre 2001, dichiarata la legittimita’ dell’adottata rescissione del contratto, condanno’ la Publiservizi al pagamento allo Z. di L. 54.573.000, a titolo di corrispettivi per le opere effettivamente realizzate e delle forniture eseguite in esecuzione del contratto, nonche’ di L. 30.000.000, a titolo di penali per ritardi, e condanno’ altresi’ lo Z. al pagamento alla Publiservizi di L. 5.750.000, di cui L. 750.000 a titolo di danni e L. 5.000.000 a titolo del maggior costo di aggiudicazione dell’appalto.

3. – Lo Z. impugno’ tale lodo per nullita’ dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze che – in contraddittorio con la s.p.a.

Publiservizi che resistette all’impugnazione -, con la sentenza n. 1310 del 6 settembre 2004, rigetto’ l’impugnazione.

In particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte ha motivato come segue.

A) Quanto al primo motivo di impugnazione – con il quale lo Z. aveva dedotto la nullita’ del lodo, in quanto il collegio arbitrale non aveva ritenuto necessaria la contestazione degli inadempimenti con le forme previste dal R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 27 – i Giudici a quibus hanno affermato: A1) “… la Corte rileva… che la giurisprudenza richiamata si riferisce, in realta’, non gia’ agli atti contestativi, sibbene alla vera e propria dichiarazione di rescissione; poiche’, pero’, non si fa questione, nel presente giudizio, circa la ritualita’ dell’atto con cui la convenuta esercito’ il potere risolutorio, le massime invocate dall’attore non appaiono … pertinenti al presente caso”; A2) che e’, invece, pertinente il principio enunciato dalla sentenza della Corte di cassazione n. 972 del 1979, del quale “il Collegio arbitrale ha fatto puntuale applicazione…, rilevando che l’attuale convenuta aveva provveduto, con le innumere lettere di contestazione in atti, a rendere note all’appaltatore le proprie doglianze circa le inadempienze di questi, mettendo, cosi’, l’appaltatore stesso nelle condizioni di difendersi e di replicare: questa, era la funzione della contestazione prevista dalla legge (e, a maggior ragione, dal contratto) e a questa funzione le lettere di contestazione avevano certamente assolto; ogni altra considerazione risultava, alla luce delle norme di legge e della disciplina contrattuale, fuori luogo”.

B) Quanto al motivo di impugnazione – con il quale lo Z. aveva dedotto la nullita’ del lodo, in quanto il Collegio arbitrale aveva respinto l’eccezione di tardivita’ del provvedimento di rescissione rispetto alle contestazioni degli inadempimenti con motivazione sintetica e superficiale – i Giudici a quibus hanno affermato: “…

il Collegio arbitrale ha ritenuto che, in riferimento alla serie di inadempienze contestate, protrattesi fino al luglio 1999, non potesse imputarsi alcun ritardo alla committente in ordine all’esercizio, con atto del 21/10/1999, del potere di autotutela; tale valutazione, che, di per se’, impinge al merito della controversia vengono richiamate le sentenze della Corte di cassazione nn. 5876 e 3449 del 1984 trova la sua giustificazione in se stessa, apparendo, effettivamente, assai breve, oggettivamente, il lasso di tempo intercorrente tra la contestazione dell’ultima inadempienza (con atto del 30/7/1999…) e l’atto risolutivo, considerato anche, tra l’altro, che, nell’intervallo in questione, e’ ricompresa la pausa estiva (non vi e’, dunque, un obiettivo ritardo in ordine al quale il Collegio arbitrale dovesse motivare l’accoglimento di particolari giustificazioni addotte dal recedente; neanche la doglianza relativa al difetto di motivazione trova, pertanto, giustificazione logica)”.

C) Quanto al motivo di impugnazione – con il quale lo Z. aveva dedotto la nullita’ del lodo, in quanto il Collegio arbitrale aveva totalmente omesso di considerare, nemmeno per escluderne l’eventuale rilevanza, la condotta posta in essere dalla Publiservizi, al fine di operare una valutazione complessiva della condotta dell’appaltatore – i Giudici a quibus hanno affermato che la giurisprudenza richiamata dallo Z. “si riferisce a casi in cui non vi erano, tra le parti, reciproche attribuzioni di inadempimento”, e che “nel caso presente, invece, la condotta della committente non sarebbe, nella prospettazione attorea, di per se’ inadempiente rispetto agli obblighi contrattuali ma avrebbe costituito, semplicemente, in taluni casi, causa di giustificazione delle inadempienze attoree; si tratta, allora, di valutazioni che impingono nel merito e la Corte non puo’ che prendere attor in questa sede, che il Collegio arbitrale ha, motivatamente, ritenuto che i reiterati e gravi inadempimenti dell’appaltatore giustificassero l’atto risolutivo di cui trattasi”.

4. – Avverso tale sentenza Z.M., quale titolare della impresa individuale Zama, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura.

Resiste, con controricorso illustrato da memoria, la s.p.a.

Publiservizi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo (con cui deduce: “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al R.D. n. 350 del 1895, art. 21, art. 28 e segg.; art. 1454 c.c. e segg.; L. n. 2248 del 1865, art. 340 e segg.;

L. n. 241 del 1990 – sul punto: legittimita’ e liceita’ della rescissione del contratto”) e con il secondo motivo (con cui deduce:

“Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al R.D. n. 350 del 1895, art. 21, art. 28 e segg.; art. 1454 c.c. e segg.; L. n. 2248 del 1865, art. 340 e segg. – Legittimita’ e liceita’ della rescissione per tempestivita’ della stessa”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 3, lettere A e B) e – sul rilievo che le critiche mosse al lodo attenevano non alla dichiarazione di rescissione, bensi’ al procedimento che si conclude con tale atto – sostiene che i Giudici a quibus, anche con motivazione giuridicamente erronea, insufficiente e contraddittoria: a) hanno riferito le critiche al provvedimento di rescissione, anziche’ agli atti di contestazione degli inadempimenti, osservando al riguardo che le note inviategli dalla Publiservizi non costituivano, di per se sole, atti idonei ad integrare contestazioni di inadempimento, in quanto mancava, “a monte”, una formale dichiarazione di inizio del procedimento di rescissione di cui alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 340 All. F, e difettava inoltre, in riferimento ai singoli atti di contestazione d’inadempimento, l’assegnazione di un congruo termine a difesa; b) hanno omesso di considerare che “la valutazione degli inadempimenti dell’appaltatore ai fini della rescissione del contratto deve (e doveva) essere consequenziale anche temporalmente agli inadempimenti stessi e alla loro gravita’”, e che, nella specie, “Un provvedimento emesso a distanza di tre mesi dall’ultima contestazione, ed in assenza di reiterazioni di inadempimenti gia’ contestati (anzi in presenza di ottemperanza agli ordini impartiti), si manifesta, all’evidenza, gravemente illegittimo”, cio’ “Tanto piu’ che nella fattispecie la Zama ha operato per nove mesi, quindi i tre mesi di ritardo tra l’ultima contestazione e il provvedimento di rescissione rappresenta un terzo del tempo contrattuale”.

Con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al R.D. n. 350 del 1895, art. 21, art. 28 e segg.; art. 1454 c.c. e segg.; L. n. 2248 del 1865, art. 340 e segg. – Insussistenza dei presupposti (importanza e gravita’ dell’inadempimento) per la rescissione del contratto”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 3, lettera C), sostenendo che i Giudici a quibus, con motivazione giuridicamente erronea, insufficiente e contraddittoria, hanno omesso di compiere un’indagine globale ed unitaria circa il comportamento di ciascuna delle parti (committente ed appaltatore) e, quindi, di valutare l’influenza che esso ha avuto sul. comportamento dell’altra.

2. – Il ricorso non merita accoglimento, anche perche’ esso – deve osservarsi in via generale – e’ formulato in modo farraginoso e, per molti versi, addirittura contraddittorio, tale da non consentire neppure la compiuta comprensione delle censure che, per alcuni profili, sono inammissibili.

2.1. – I primi due motivi sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Deve premettersi che, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 23900 del 2004, 23670 del 2006, 6028, 10209 e 13511 del 2007, 21035 del 2009), in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull’impugnazione per nullita’ del lodo arbitrale, al fine di verificare se la sentenza medesima sia adeguatamente e correttamente motivata in relazione ai motivi di impugnazione del lodo, il giudice di legittimita’ non puo’ apprezzare direttamente la pronuncia arbitrale, ma puo’ esaminare soltanto la decisione emessa nel giudizio di impugnazione, con la conseguenza che il sindacato di legittimita’ va condotto esclusivamente mediante il riscontro della conformita’ a legge e della congruita’ della motivazione della sentenza che ha deciso sull’impugnazione del lodo.

Quanto al primo motivo, va preliminarmente osservato che i Giudici a quibus hanno affermato, tra l’altro, che “non si fa questione, nel presente giudizio, circa la ritualita’ dell’atto con cui la convenuta esercito’ il potere risolutorio”, cioe’ circa la mancanza di una previa formale dichiarazione di esercizio del potere di rescissione del contratto, di cui alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. F., art. 340. Poiche’ il ricorrente censura la sentenza impugnata, anche nella parte in cui e’ stata omessa la considerazione della mancanza “a monte” di una formale dichiarazione di inizio del procedimento di rescissione di cui al citato art. 340, lo stesso ricorrente avrebbe dovuto riprodurre testualmente la domanda di accesso agli arbitri, nella parte in cui deduceva detto vizio, per cosi’ dire iniziale, del procedimento di autotutela; cio’, tanto piu’ che i Giudici a quibus hanno delimitato, con la su riportata affermazione, il thema decidendum alla sola idoneita’ degli atti di contestazione degli inadempimenti, addebitati al ricorrente dalla Societa’ Publiser, a consentire l’esercizio del diritto di replica della controparte. Ne consegue l’inammissibilita’ delle censure che attengono, appunto, a detto vizio iniziale del procedimento di rescissione.

Residuano, pertanto, le critiche alla sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto pertinente il principio enunciato dalla sentenza di questa Corte n. 972 del 1979, ed ha osservato che di tale principio “il Collegio arbitrale ha fatto puntuale applicazione…, rilevando che l’attuale convenuta aveva provveduto, con le innumere lettere di contestazione in atti, a rendere note all’appaltatore le proprie doglianze circa le inadempienze di questi, mettendo, cosi’, l’appaltatore stesso nelle condizioni di difendersi e di replicare:

questa era la funzione della contestazione prevista dalla legge (e, a maggior ragione, dal contratto) e a questa funzione le lettere di contestazione avevano certamente assolto; ogni altra considerazione risultava, alla luce delle norme di legge e della disciplina contrattuale, fuori luogo”.

Posto che alla fattispecie e’ applicabile – ratione temporis – il R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 27 (Regolamento per la direzione, contabilita’ e collaudazione dei lavori dello Stato, che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici), il Collegio ritiene di condividere e di dare continuita’ al principio enunciato da questa Corte con la richiamata sentenza n. 972 del 1979, secondo cui l’esigenza di tutela dell’interesse dell’appaltatore – che sta alla base della disposizione di cui al richiamato R.D. n. 350 del 1895, art. 27 in ordine alla preventiva contestazione degli inadempimenti contrattuali ai fini dell’esercizio del potere di rescissione dell’appalto – puo’ ritenersi soddisfatta tutte le volte in cui l’appaltatore sia stato messo in condizione di conoscere gli inadempimenti contrattuali addebitatigli e di prospettare all’amministrazione le proprie deduzioni al riguardo, con la conseguenza che la comunicazione all’appaltatore della “relazione particolareggiata” contenente gli addebiti, di cui al comma 1 dello stesso art. 27, non puo’ considerarsi una formalita’ essenziale che non ammette atti equipollenti, essendo percio’ sufficiente che l’appaltatore venga informato – con qualunque mezzo idoneo a tale scopo degli addebiti mossigli dall’amministrazione committente, in modo tale da consentirgli la deduzione delle proprie contestazioni e giustificazioni prima dell’adozione del provvedimento di rescissione.

E nella specie, come dianzi rilevato, Giudici a quibus hanno accertato nel merito – con statuizione che, in quanto correttamente e congruamente motivata, si sottrae al sindacato di legittimita’ – che la Societa’ controricorrente ha inviato numerosissime lettere di contestazione di inadempimenti contrattuali al ricorrente, il quale ad esse ha puntualmente replicato, risultando in tal modo, per un verso, assicurato allo stesso il concreto esercizio del proprio diritto di replica e, per altro verso – conseguentemente -, l’idoneita’ di dette lettere di contestazione ad informare il ricorrente medesimo in ordine ai predetti inadempimenti.

Quanto al secondo motivo – con il quale il ricorrente si duole in sostanza della affermata “tempestivita’” dell’adozione del provvedimento di rescissione del contratto, nonostante il tempo trascorso rispetto sia all’ultima contestazione (effettuata tre mesi prima) sia alla complessiva durata del contratto (nove mesi) -, lo stesso e’, per un verso, infondato e, per altro verso, inammissibile:

infondato, perche’ non esiste alcuna norma che stabilisca un termine, perentorio o dilatorio rispetto alla (ultima) contestazione degli inadempimenti contrattuali, entro il quale l’amministrazione committente deve adottare il formale provvedimento di rescissione;

inammissibile, nella parte in cui censura gli accertamenti di fatto e le valutazioni di merito effettuati, perche’ i Giudici a quibus hanno supportato accertamenti e a valutazioni arbitrali con motivazione congrua e scevra da errori logico – giuridici.

2.2. – Il terzo motivo e’ inammissibile.

Con esso, il ricorrente sostiene che i Giudici a quibus, con motivazione giuridicamente erronea, insufficiente e contraddittoria, hanno omesso di compiere un’indagine globale ed unitaria circa il comportamento di ciascuna delle parti (committente ed appaltatore) e, quindi, di valutare l’influenza che esso ha avuto sul comportamento dell’altra.

La Corte fiorentina ha motivatamente condiviso il giudizio espresso al riguardo dal collegio arbitrale, sottolineando al riguardo che, nella stessa prospettazione dell’odierno ricorrente, “di per se’ inadempiente rispetto agli obblighi contrattuali”, il comportamento della Societa’ Publiser era individuato, non gia’ come concretatosi a sua volta in inadempienze agli obblighi contrattuali, ma come, “semplicemente, in taluni casi, causa di giustificazione delle inadempienze” dell’impresa appaltatrice, e concludendo che tale giudizio arbitrale integra “valutazioni che impingono nel merito”, con la conseguenza che “la Corte non puo’ che prendere atto, in questa sede, che il Collegio arbitrale ha, motivatamente ritenuto che i reiterati e gravi inadempimenti dell’appaltatore giustificassero l’atto risolutivo di cui i trattasi”.

E’ dunque, del tutto evidente che la censura mira esclusivamente ad una nuova valutazione del comportamento delle parti rispetto a quella effettuata dal collegio arbitrale, preclusa in questa sede.

3. – Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2010

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