Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18644 del 12/08/2010

Cassazione civile sez. I, 12/08/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 12/08/2010), n.18644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI ORTONA (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli

avvocati GIAMBUZZI NICOLA, MILIA GIULIANO, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

TECNITAL S.P.A. (prima ANGELO RUSSELLO S.P.A.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZALE PORTA PIA 121, presso l’avvocato NAVARRA GIANCARLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VACCARELLA LUCREZIA,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1067/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 22/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/04/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato G. MILIA (delega) che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato L. VACCARELLA che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del primo

motivo, accoglimento del secondo motivo con assorbimento del terzo

motivo.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – In data 12 marzo 1999, il Comune di Ortona a Mare e la s.p.a.

Impresa Angelo Russello stipularono contratto di appalto avente ad oggetto la costruzione di un parcheggio sotterraneo, da realizzarsi entro diciotto mesi dalla consegna dei lavori, avvenuta con verbale del (OMISSIS).

Subito dopo la stipula del contratto, tra le parti insorse controversia in ordine alle carenze progettuali lamentate dalla Societa’ e negate dal Comune e, in particolare, in ordine sia alla completezza del progetto esecutivo, sia a quale delle parti spettasse, secondo contratto, predisporre il progetto strutturale (calcoli della struttura in cemento armato).

A causa di tale controversia – che aveva determinato il mancato inizio dei lavori -, la Societa’, con domanda notificata il 13 – 17 dicembre 1999, adi’ il previsto collegio arbitrale, chiedendo che venisse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento del Comune, con conseguente condanna dello stesso al risarcimento dei danni. Costituendosi nel giudizio arbitrale, il Comune – sul rilievo che, in data 19 maggio 2000, era stata deliberata la rescissione del contratto d’appalto ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 340 e 341 All. F – chiese, a sua volta, che il contratto fosse dichiarato rescisso o, comunque, risolto per inadempimento della Societa’, con conseguente condanna della stessa al risarcimento dei danni.

Il Collegio arbitrale, con il lodo 27 marzo 2001, dichiaro’ la risoluzione del contratto d’appalto per inadempimento del Comune, condannando lo stesso al risarcimento dei danni, liquidati in L. 379.315.565 oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi sulla somma rivalutata.

2. – Il Comune di Ortona a Mare impugno’ tale lodo dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila che, in contradditorio con la s.p.a. Impresa Angelo Russello la quale resistette all’impugnazione, con la sentenza n. 1067/2004 del 22 dicembre 2004, respinse l’impugnazione.

In particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte ha motivato come segue.

A) Quanto al motivo d’impugnazione – con il quale il Comune aveva denunciato che il Collegio arbitrale aveva violato l’art. 112 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2908 e 1458 cod. civ., per non aver dichiarato l’inammissibilita’ della domanda di’ risoluzione, essendo stato medio tempore adottato dal Comune il provvedimento di rescissione del contratto in forza dei suoi poteri autoritativi -, i Giudici a quibus: A1) hanno affermato che ” … non sussiste il denunciato vizio di omessa, pronuncia … , posto che il collegio ha affrontato la questione, respingendola”; A2) richiamato il principio enunciato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 1217 del 2000, hanno osservato: “Orbene, al fine di stabilire se il processo arbitrale sia stato iniziato prima, o dopo, il provvedimento di rescissione occorre ricordare … che il processo si instaura con la notificazione della domanda di accesso all’arbitrato; che nel caso di specie detta notifica e’ stata eseguita in data 13 – 17/12/1999, mentre il provvedimento di rescissione e’ stato adottato in data 12/5/2000; che ai fini qui considerati e’ del tutto irrilevante il telegramma inviato dal Comune in data 8/11/1999, col quale veniva minacciata la rescissione del contratto ove la Russello non avesse iniziato immediatamente i lavori, posto che solo l’adozione del provvedimento finale (di rescissione) avrebbe posto nel nulla il contratto ed avrebbe percio’ paralizzato la domanda di risoluzione;

che, di conseguenza, il motivo di nullita’ non sussiste, alla luce della giurisprudenza anzidetta, che questa Corte condivide”.

B) Quanto al motivo di impugnazione – con il quale il Comune aveva denunciato che il Collegio arbitrale aveva erroneamente omesso di dichiarare l’inammissibilita’ della domanda di illegittimita’ e di conseguente disapplicazione del provvedimento di rescissione del contratto (quarto quesito posto agli arbitri), in ragione della sua “novita’” -, i Giudici a quibus hanno affermato che, non avendo le parti vincolato gli arbitri rituali all’osservanza della procedura ordinaria, detta domanda doveva ritenersi ammissibile sia perche’ in tal caso era da ritenersi consentito l’ampliamento del thema decidendum, sia perche’ la proposizione della stessa domanda, determinata da una domanda riconvenzionale del Comune, era da ritenersi consentita anche sulla base dell’art. 183 cod. proc. civ., comma 4.

C) Quanto al motivo di impugnazione – con il quale il Comune aveva denunciato la nullita’ del lodo, sia per il vizio di ultrapetizione, avendo il collegio arbitrale dichiarato la risoluzione del contratto per un inadempimento diverso da quello dedotto dalla Societa’ (cioe’:

per l’omessa predisposizione, da parte del Comune, di tutti gli elaborati di progetto e degli elementi necessari per poter dare immediata esecuzione al contratto, anziche’ per i denunciati impedimenti frapposti dallo stesso Comune all’esecuzione delle indagini geognostiche, ritenute invece necessarie dalla Societa’ per l’inizio dei lavori), sia per l’errata interpretazione del contratto, avendo il collegio arbitrale dichiarato d’ufficio la nullita’ di una clausola contrattuale, sostituendola con una norma di legge, e la risoluzione del contratto per inadempimento dello stesso Comune per non aver messo a disposizione dell’appaltatore il progetto esecutivo ed i calcoli del cemento armato -, i Giudici a quibus hanno affermato: C1) “Deve … ritenersi che non sussista il dedotto vizio di ultrapetizione, ma semplice e corretta interpretazione della domanda da parte degli arbitri, una volta che si consideri che la complessiva difesa svolta dalla Russello – in quanto tesa ad escludere il proprio inadempimento sul rilievo (tra gli altri) che in applicazione di una disposizione di legge inderogabile (L. n. 109 del 1994, art. 16) facesse capo alla stazione appaltante l’obbligazione di redigere attendibili calcoli del c.a. e che, comunque, esso appaltatore non era stato posto in grado di eseguirli a sua volta, essendogli stata negata la facolta’ di eseguire quelle indagini geotecniche che riteneva indispensabili – sottendeva la necessita’, per gli arbitri, di dirimere il contrasto esistente tra la clausola negoziale (art. 41 Capitolato Speciale Appalto) e la norma di legge, contrasto che quelli hanno correttamente risolto ritenendo che effettivamente la norma avesse carattere imperativo, dichiarando percio’ la nullita’ della regola pattizia e sostituendola con quella di legge”; C2) “… deve ribadirsi che le parti hanno stipulato un contratto di appalto sulla scorta di un progetto di massima, ed in quella stessa sede hanno stabilito (art. 41 C.S.A.) che il progetto esecutivo, assieme ai calcoli del c.a., avrebbe fatto carico all’appaltatore; … gli arbitri accertata la nullita’ della clausola e sostituitala con la norma inderogabile di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 16 dovendo stabilire quale dei due contraenti avesse dato causa alla risoluzione del negozio, hanno correttamente ritenuto che quella parte andasse individuata nel Comune, che non aveva esattamente adempiuto l’obbligazione (nascente da una disposizione di legge inderogabile, e percio’ automaticamente sostituita alla regola pattizia dichiarata nulla) di mettere a disposizione dell’appaltatore un progetto immediatamente esecutivo. In altri, termini, quando il contratto di appalto ha ad oggetto la realizzazione di un manufatto, la cui costruzione a regola dell’arte presuppone un progetto esecutivo, il progetto stesso entra a far parte del complessivo sinallagma negoziale, ancorche’ preesista al contratto: e la mancanza di’ quel progetto, o la sua incompletezza, oppure la presenza di difetti che rendano impossibile l’esecuzione del manufatto a regola d’arte, sono tutte inadempienze che vanno poste a carico di quello, tra i contraenti, sul quale gravava l’obbligo di eseguire il progetto”.

D) Quanto al motivo di impugnazione – con il quale il Comune aveva denunciato la nullita’ del lodo, in quanto il Collegio arbitrale, una volta ritenuta inderogabile la norma di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 16 avrebbe dovuto dichiarare la nullita’ dell’intero contratto, anziche’ la sola clausola di cui all’art. 41 del C.S.A. -, i Giudici a quibus hanno affermato: “… se l’ente pubblico – contravvenendo alla norma imperativa che gli faceva carico di redigere il progetto esecutivo ed i calcoli del c.a. gia’ prima di stipulare il contratto di appalto – col negozio ha invece posto a carico dell’appaltatore le obbligazioni anzidette, illecita e’ la condotta tenuta dall’ente e la singola clausola negoziale che si pone in contrasto con la disposizione di legge, ma tale connotazione non si trasmette all’oggetto del contratto di appalto, che e’ costituito dal realizzando manufatto e che, in se’ considerato, rimane lecito. Gli arbitri, quindi, hanno fatto corretta applicazione del principio di conservazione dei contratti (di cui l’art. 1419 c.c., comma 2, e’ espressione) ed a tal fine hanno percio’ doverosamente sostituito la clausola nulla con la norma di legge”.

E) Quanto al riconoscimento ed alla liquidazione dei danni in favore della Societa’, nonche’ alla rivalutazione monetaria delle somme a tal titolo determinate, Giudici a quibus hanno osservato che: E) una volta affermato che l’obbligo della redazione del progetto immediatamente esecutivo gravava sul Comune, le spese sostenute dalla Societa’ per le indagini geognostiche eseguite da tecnici di sua fiducia debbono essere integralmente riconosciute; E2) “In relazione alle ulteriori somme dovute (per spese generali e per utile d’impresa), occorre precisare che gli arbitri le hanno liquidate, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, sulla scorta dei criteri fissati dalla L. n. 741 del 1981, art. 14 …. Gli arbitri … hanno percio’ liquidato la somma dovuta per spese generali nella misura minima (13% dell’importo offerto) rispetto alla forbice anzidetta dal 13% al 15%, ed hanno di seguito ridotto alla meta’ la somma cosi’ ottenuta, proprio in considerazione dei rilievi oggi mossi dal Comune, e cioe’ per il fatto che i lavori non erano neppure iniziati, per cui doveva aversi riguardo alle sole spese generali inerenti la fase di partecipazione alla gara ed a quelle relative alla campagna di indagini eseguita in vista dell’impianto del cantiere. Hanno poi riconosciuto la percentuale di guadagno (10%) prevista dalla norma, ma l’hanno ragguagliata ai 4/5 del prezzo di aggiudicazione, tenendo conto della facolta’ che la L. n. 2248 deel 1865, art. 344, All. F., concede alla stazione appaltante, di ridurre il lavoro appaltato entro il c.d. “quinto d’obbligo”, senza che l’appaltatore possa sollevare eccezioni di sorta o pretendere alcunche’ per il minore guadagno conseguito. La decisione va condivisa, sul rilievo che l’an debeatur era gia’ stato accertato, non potendosi dubitare del fatto che la Russello (per effetto dell’inadempimento del Comune e della conseguente risoluzione del contratto) non aveva piu’ potuto realizzare l’opera e conseguire il relativo guadagno, per cui aveva diritto ad ottenere il pagamento delle somme che avrebbe lucrato se il contratto fosse stato eseguito, cosi’ come aveva diritto al rimborso delle spese generali sostenute per partecipare alla gara e di quelle, ulteriori, che aveva dovuto affrontare una volta rimasta aggiudicataria, per adeguare la propria organizzazione aziendale (incrementando il personale, i mezzi tecnici, le scorte ecc.) in vista dell’esecuzione del contratto; che dovendo procedere alla quantificazione delle somme dovute, gli arbitri hanno utilizzato i criteri dettati dalla L. n. 741 del 1981, art. 344 quale mero parametro di riferimento per la liquidazione del danno, e quei criteri hanno poi, di volta in volta, adattato al caso concreto, posto che, per quanto detto, hanno tenuto nella dovuta considerazione la circostanza che il rapporto s’era interrotto dopo alcuni mesi, senza che i lavori fossero neppure iniziati e che il Comune avrebbe potuto ridurre l’importo dei lavori entro il quinto d’obbligo”; E3) il risarcimento del danno “integra un credito di valore … per cui va condivisa la decisione degli arbitri che, avendo rapportato la liquidazione del danno al prezzo di aggiudicazione (e quindi ad un valore che precedeva la stessa stipula del contratto), hanno poi disposto che quella stessa somma venisse rivalutata, peraltro prevedendo che la rivalutazione decorresse da una data intermedia (tra quella di consegna del cantiere e quella della decisione medesima) sul rilievo che nella specie non si era in presenza di un evento di danno istantaneo. Allo stesso modo irrilevante e’ la data in cui la Russello avrebbe ricevuto il pagamento del prezzo del contratto …, rispetto alla data da cui deve decorrere la rivalutazione del suo credito risarcitorio … : si tratta, infatti, di crediti del tutto autonomi, e diversi per genesi, per contenuto e per causa: le sorti dell’uno, quindi, sono del tutto indifferenti rispetto al regime applicabile all’altro ed e’ percio’ fuorviante qualsiasi commistione o pretesa di’ applicare al secondo la disciplina del primo”.

3. – Avverso tale sentenza il Comune di Ortona al Mare ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura illustrati con memoria.

Resiste, con controricorso, la s.p.a. Tecnital (gia’ s.p.a. Impresa Angelo Russello).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 2908 e 1458 c.c.; omessa decisione, motivazione insufficiente e contraddittoria”), il ricorrente ricordata la genesi ed il contenuto del telegramma dell’8 novembre 1999 inviato alla Societa’, del provvedimento di rescissione del contratto d’appalto deliberato in data 12 maggio 2000 e la non accettazione del contraddittorio sul quarto quesito posto agli arbitri dalla Societa’, concernente la domanda di illegittimita’ del provvedimento di rescissione – critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2., lettera A), richiamando e riproponendo le medesime difese svolte davanti alla Corte d’Appello, e sostiene che, come era viziata la pronuncia del collegio arbitrale per la violazione delle norme di cui alla rubrica, cosi’ “Viziata per gli stessi motivi e le stesse omissioni e’ la pronuncia della Corte di appello del L’Aquila”, sottolineando al riguardo che tale sentenza “offre una motivazione carente ed illogica definendo il telegramma, oltre che una “minaccia” di rescissione, “irrilevante” poiche’ solo il provvedimento di rescissione avrebbe potuto paralizzare la domanda di risoluzione”, e che, “ancor piu’ a monte, essendo la rescissione una dichiarazione di volonta’ della p.a. di sostanziale risoluzione del contratto ed essendo tale volonta’ gia’ nota alla Russello s.p.a.

per aver ricevuto il telegramma 8.11.99, tale stato di cose rendeva di sicuro improponibile – inammissibile la domanda di risoluzione notificata al Comune di Ortona il 17.12 successivo”.

Con il secondo articolato motivo (con cui deduce: “Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 1418 e 1419 c.c., nonche’ degli artt. 1453 e 1455 c.c.; motivazione carente e contraddittoria. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., commi 1 e 2, art. 1419 c.c., comma 2, artt. 1346 e 1339 c.c.”), il ricorrente critica la sentenza I impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2., lettere da B a D), sostenendo che i Giudici a quibus: a) laddove hanno escluso che il collegio arbitrale sia incorso nel vizio di ultrapetizione dichiarando la risoluzione del contratto per una causa diversa da quella prospettata dalla Societa’, sono pervenuti a tale decisione “attraverso una lettura settoriale degli atti e documenti acquisiti»: al riguardo, rileva che in nessun atto delle difese svolte dalla Societa’ nel corso del procedimento arbitrale v’e’ il riferimento alla L. n. 109 del 1994, art. 16 e che, su tale punto, la Corte di appello, con motivazione carente e contraddittoria, “pur richiamando e facendo proprio l’ormai consolidato principio per cui qualora la domanda sia diretta a far pronunciare la risoluzione contrattuale, la deduzione di una qualsiasi causa di nullita’ o di un fatto diverso dall’inadempimento sono inammissibili, ne’ tali questioni possono essere rilevate d’ufficio stante il divieto di pronunciare ultra petita, non ne ha fatto corretta applicazione, perche’ in nessuna atto della Russello s.p.a. si lamenta la mancanza, ab origine, dei calcoli delle strutture in c.a., ne’ si chiede una pronuncia di nullita’”; b) hanno erroneamente qualificato l’art. 41 del Capitolato speciale d’appalto – secondo cui, tra l’altro “tutte le opere in cemento armato facenti parte dell’opera appaltata saranno eseguite in base ai calcoli di stabilita’, accompagnati dai disegni esecutivi, e da una relazione, che dovranno essere firmati da un ingegnere specialista e che l’appaltatore dovra’ presentare alla Direzione Lavori entro il termine che gli verra’ prescritto …” – come “clausola negoziale”, anziche’, correttamente, come parte di un “provvedimento formalmente e sostanzialmente amministrativo che va impugnato entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilita’ e la consolidazione dei suoi effetti …”, nella specie non impugnato ne’ annullato, con conseguente inapplicabilita’ dell’art. 1339 cod. civ. che si applica, invece, per la sostituzione di’ clausole contrattuali e di prezzi di beni e servizi imposti dalla legge; c) applicando erroneamente l’art. 1339 cod. civ., hanno sostituito (non gia’ una clausola contrattuale, bensi’) lo stesso oggetto del contratto, con conseguente erronea applicazione della norma che consente la dichiarazione della nullita’ parziale del contratto che, invece, invalidato nel suo stesso oggetto, avrebbe dovuto esser dichiarato totalmente nullo.

Con il terzo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1458 c.c. della L. n. 109 del 1994, art. 16 della L. n. 741 del 1981, art. 14 e di ogni principio in materia di liquidazione del danno. Motivazione insufficiente e contraddittoria”), il ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra. Svolgimento del processo, n. 2., lettera E), sostenendo che i Giudici a quibus: a) quanto al danno emergente, vi hanno erroneamente incluso sia le spese per le indagini geognostiche – indagini ritenute non conclusive dallo stesso collegio arbitrale -, sia le spese generali, perche’ prive di riscontri e, quindi, di prova; b) quanto al lucro cessante, hanno erroneamente applicato la L. n. 741 del 1981, art. 14 che riguarda invece le condizioni per la determinazione del corrispettivo dell’appalto; c) hanno erroneamente individuato il periodo cui applicare la rivalutazione monetaria, in quanto questa avrebbe dovuto invece avere decorrenza dalla domanda di risoluzione del contratto, oppure, piu’ correttamente, dalla data di scadenza contrattualmente stabilita per l’ultimazione dei lavori.

2. – Con la memoria, il ricorrente eccepisce preliminarmente l’inammissibilita’ del controricorso, in quanto non notificato entro il termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ., comma 1.

L’eccezione e’ infondata.

Il ricorso e’ stato notificato in data 6 aprile 2005, con la conseguenza che il termine per la notificazione del controricorso scadeva, ai sensi della richiamata disposizione, in data 16 maggio 2005. Ed e’ proprio in tale data che la Societa’ controricorrente ha consegnato l’atto all’ufficiale giudiziario per la notificazione al Comune ricorrente, come risulta dalla data a timbro apposto dallo stesso ufficiale giudiziario in calce al controricorso (controricorso notificato poi a mezzo del servizio postale con spedizione effettuata il 17 maggio successivo e ricevuto, come dichiara il ricorrente, il 20 maggio 2005). Tanto basta – sulla base del costante orientamento di questa Corte, per il quale, in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, il principio, derivante dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale, secondo cui la notificazione a mezzo posta deve ritenersi perfezionata, per il notificante, con la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, ha carattere generale (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 17748 del 2009) -, per ritenere tempestiva la notificazione del controricorso.

3. – Il primo motivo del ricorso e’ privo di fondamento.

Deve premettersi che, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 23900 del 2004, 23670 del 2006, 6028 e 10209 del 2007, 21035 del 2009), in sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull’impugnazione per nullita’ del lodo arbitrale, al fine di verificare se la sentenza medesima sia adeguatamente e correttamente motivata in relazione ai motivi di impugnazione del lodo, il giudice di legittimita’ non puo’ apprezzare direttamente la pronuncia arbitrale, ma puo’ esaminare soltanto la decisione emessa nel giudizio di impugnazione, con la conseguenza che il sindacato di’ legittimita’ va condotto esclusivamente mediante il riscontro della conformita’ a legge e della congruita’ della motivazione della sentenza che ha deciso sull’impugnazione del lodo.

Con il motivo in esame, il ricorrente sostiene in definitiva che – siccome il procedimento di rescissione del contratto ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 340 e 341, All. F, doveva considerarsi iniziato con la spedizione del telegramma in data 8 novembre 1999, mentre la domanda di accesso agli arbitri era stata notificata in data 13 – 17 novembre 1999, cioe’ successivamente – il collegio arbitrale prima e la Corte d’Appello poi avrebbero dovuto dichiarare inammissibile la domanda di risoluzione del contratto di appalto.

A prescindere da consistenti profili di inammissibilita’ del motivo – nella misura in cui il ricorrente, piuttosto che criticare specificamente la sentenza impugnata, ribadisce inammissibilmente le medesime critiche rivolte al lodo arbitrale, e laddove denuncia un’inesistente omissione di pronuncia sul punto da parte dei Giudici a quibus -, appare decisivo il rilievo che questi ultimi, nel qualificare la natura del telegramma dell’8 novembre e nel valutare la sua efficacia ai fini dell’inizio del procedimento di rescissione del contratto da parte del Comune di Ortona a Mare, hanno motivato la decisione in modo adeguato e, soprattutto, giuridicamente corretto.

Infatti, questa Corte, con la sentenza n. 1217 del 2000 – pronunciata in fattispecie analoga -, ha affermato il principio, secondo cui, in tema di appalti di opere pubbliche, l’appaltatore puo’ del tutto legittimamente invocare la risoluzione del contratto stipulato con l’ente committente in base alle regole generali dettate per l’inadempimento contrattuale, senza che l’eventuale provvedimento di rescissione, adottato successivamente dall’Amministrazione, sia di ostacolo all’esame (ed all’eventuale accoglimento) della domanda di risoluzione, in quanto la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie inerenti ai diritti ed agli obblighi scaturenti da un contratto di appalto di opere pubbliche non resta esclusa per il fatto che il committente si sia avvalso della facolta’ di rescindere il contratto con proprio provvedimento amministrativo ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, dell’art. 340 All. F, stante l’inidoneita’ dell’atto autoritativo ad incidere sulle suddette posizioni soggettive, inerenti ad un contratto di natura privatistica; e secondo cui, a cio’ consegue che il giudice ordinario adito ben puo’ accertare l’effettiva esistenza delle condizioni di legittimita’ della pronunciata rescissione, sia pur al limitato scopo (e nel rispetto dei limiti interni delle proprie attribuzioni giurisdizionali) della disapplicazione, in via incidentale, del provvedimento amministrativo – se contra legem – onde decidere sulla domanda di risoluzione preventivamente introdotta dall’appaltatore (cfr., ex plurimis, nello stesso senso, la sentenza delle sezioni unite n. 6992 del 2005).

Sulla base di tale principio, la Corte aquilana, dopo aver sottolineato che il provvedimento di rescissione e’ stato emesso in data 12 maggio 2000 – cioe’ successivamente alla domanda di accesso agli arbitri, notificata in data 13 – 17 novembre 1999 – ha correttamente ritenuto che, nella specie, (non gia’ il telegramma di “minaccia” di rescissione dell’8 novembre 999, cosi’ insindacabilmente qualificato, ma, soltanto il formale provvedimento di rescissione, se adottato prima della domanda di accesso agli arbitri, sarebbe stato giuridicamente idoneo a “paralizzare” la domanda di risoluzione del contratto.

4. – Anche il secondo motivo e’ privo di fondamento.

4.1. – In particolare, quanto al su sintetizzato profilo di censura sub a) – con il quale il ricorrente, ribadendo la censura formulata in sede di impugnazione del lodo arbitrale, sostiene che la Societa’ non aveva mai fatto riferimento alla violazione della L. 11 febbraio 1994, art. 16 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), quale ragione dell’inadempimento contrattuale del Comune e, quindi, della dichiarata risoluzione del contratto per colpa dello stesso, con la conseguenza che, come gia’ il collegio arbitrale, cosi’ anche i Giudici a quibus erano incorsi nel vizio di ultrapetizione -, e’ sufficiente osservare che, contrariamente a quanto dedotto dallo stesso ricorrente, la sentenza impugnata (pagg. 16 – 17) precisa che “dagli atti emerge che la Russello, gia’ con la domanda di arbitrato (pagg. 14 – 15) aveva dedotto che la L. n. 109 del 1994, art. 16 “esplicitamente prevede l’inserimento dei calcoli (del c.a.) tra quelli che corredano il progetto esecutivo”, sicche’ essi competono al progettista ed, in definitiva, alla stazione appaltante e sono percio’ “completamente estranei agli obblighi dell’impresa’”.

Sicche’, a prescindere da ogni altra considerazione sulla ammissibilita’ della censura, e’ comunque evidente l’insussistenza del denunziato vizio processuale di ultrapetizione.

4.2. – Quanto poi ai profili di censura sub b) e sub c) – che attengono alla erroneamente ritenuta nullita’ dell’art. 41 del capitolato speciale d’appalto ai sensi dell’art. 1419 c.c., comma 2, per contrarieta’ con la norma imperativa di cui al citato L. n. 109 del 1994, art. 16 ed alla conseguente sostituzione di’ detto articolo del capitolato con tale norma imperativa ai sensi dell’art. 1339 cod. civ. -, anche gli stessi sono infondati.

Al riguardo, deve osservarsi quanto segue.

A) Alla fattispecie – concernente un contratto d’appalto di opera pubblica (costruzione di parcheggio sotterraneo) stipulato in data 12 marzo 1999 -, per quanto in questa sede rileva, sono applicabili, ratione temporis, la citata L. n. 109 del 1994, artt. 16, 17 e 19 nel testo vigente alla data di conclusione: di tale contratto.

In particolare, l’art. 16, al comma 1 – nel testo sostituito dalla L. 18 novembre 1998, n. 415, art. 9, comma 25, (Modifiche alla L. 11 febbraio 1994, n. 109, e ulteriori disposizioni in materia di lavori pubblici) -, stabilisce che «La progettazione si articola, nel rispetto dei vincoli esistenti, preventivamente accertati, e dei limiti di spesa prestabiliti, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva, in modo da assicurare: a) la qualita’ dell’opera e la rispondenza alle finalita’ relative; b) la conformita’ alle norme ambientali e urbanistiche; c) il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario” e, al successivo comma 5 – nel testo modificato dalla L. n. 415 del 1998, dall’art. 9, comma 27, che “Il progetto esecutivo, redatto in conformita’ al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare ed il relativo costo previsto e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualita’, dimensione e prezzo. In particolare il progetto e’ costituito dall’insieme delle relazioni, dei calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti e degli elaborati grafici nelle scale adeguate, compresi gli eventuali particolari costruttivi, dal capitolato speciale di appalto, prestazionale o descrittivo, dal computo metrico estimativo e dall’elenco dei prezzi unitari. Esso e’ redatto sulla base degli studi e delle indagini compiuti nelle fasi precedenti e degli eventuali ulteriori studi ed indagini, di dettaglio o di verifica delle ipotesi progettuali, che risultino necessari e sulla base di rilievi planoaltimetrici, di misurazioni e picchettazioni, di rilievi della rete dei servizi del sottosuolo …”.

Il successivo art. 17 – nel testo sostituito dal D.L. 3 aprile 1995, n. 101, art. 5 sexies (Norme urgenti in materia di lavori pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 2 giugno 1995, n. 216, art. 1, comma 1 -, al comma 1, stabilisce che “I progetti preliminari, definitivi ed esecutivi sono redatti, con assoluta priorita’, dagli uffici tecnici delle amministrazioni e degli enti aggiudicatori, dagli organismi tecnici di cui i medesimi enti e amministrazioni per legge possono avvalersi ovvero attraverso collaborazioni esterne nei casi di cui al comma 5”, comma il quale, a sua volta, prevede che “La redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo o di parti di esso, nonche’ lo svolgimento di attivita’ tecnico – amministrative connesse alla progettazione, in caso di carenza in organico di personale tecnico nelle amministrazioni e negli enti aggiudicatori, accertata e certificata dal legale rappresentante dell’amministrazione, possono essere affidati a liberi professionisti, singoli, associati o raggruppati temporaneamente, ovvero a societa’ di ingegneria”.

Infine, la L. n. 109 del 1994, art. 19, comma 1, – dopo aver precisato, alla lettera a), che “I contratti d’appalto di lavori pubblici di cui alla presente legge sono contratti a titolo oneroso … , aventi per oggetto: a) la sola esecuzione dei lavori pubblici …” -, prevede, alla lett. b), nn. 1) e 2), la possibilita’ che tali contratti possano avere ad oggetto anche la “progettazione esecutiva”, ma soltanto qualora in essi “sia prevalente la componente impiantistica o tecnologica”, ovvero “riguardino lavori di manutenzione, restauro o scavi archeologici”.

Il contenuto essenziale di tali disposizioni – per quanto in questa sede rileva – e’ stato sostanzialmente riprodotto nei vigenti artt. 90, 91 e 93 del cosiddetto “codice degli appalti” di cui al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).

Da tale quadro normativo di riferimento emerge inequivocabilmente: in primo luogo, che, nei contratti di appalto di opere pubbliche, la funzione di progettazione dell’opera, in ragione della realizzazione delle finalita’ squisitamente pubblicistiche cui mira (art. 16, comma 1), e’ attribuita, in linea di principio, all’amministrazione o all’ente aggiudicatore dell’appalto (art. 17, comma 1) e, solo eccezionalmente, a soggetti a questi esterni, in presenza delle specifiche condizioni di cui al comma 5 dello stesso art. 17; in secondo luogo, che e’ regola generale quella, secondo cui l’affidamento dei lavori deve avvenire sulla base del progetto esecutivo (art. 19, comma 1, lett. a); in terzo luogo e in particolare, che i “calcoli esecutivi delle strutture”, quali elementi costitutivi del progetto esecutivo (art. 16, comma 5), competono anch’essi, sempre in linea di principio, all’amministrazione o all’ente aggiudicatore dell’appalto.

A quest’ultimo riguardo, inoltre, deve essere sottolineato che il progetto esecutivo di un’opera pubblica – inteso come quello immediatamente cantierabile, cioe’ concernente un’opera che non necessita di ulteriori specificazioni per essere realizzata, in quanto contenente la puntuale e dettagliata descrizione e rappresentazione dell’opera stessa – e’, in ragione di tali caratteristiche, determinante per individuare esattamente lo stesso oggetto dell’appalto. Del resto, tale conclusione trova corrispondenza sia nella giurisprudenza amministrativa, sia nella stessa giurisprudenza costituzionale: infatti, il Giudice delle leggi – nel dichiarare non fondata, in riferimento all’art. 117 Cost., comma 2, lett. e), la questione di legittimita’ costituzionale del su menzionato D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 93 (cosiddetto “codice degli appalti”, che riproduce sostanzialmente il richiamato L. n. 109 del 1994, art. 16, comma 5) – ha affermato che “la riconduzione dell’attivita’ di progettazione alla competenza esclusiva dello Stato opera esclusivamente per quanto attiene alla fissazione dei criteri in base ai quali tale attivita’ deve essere svolta in modo da assicurare in ogni caso la piu’ ampia competitivita’ e la libera circolazione degli operatori economici nel segmento di mercato in questione” e che “l’aspetto qualificante della predetta attivita’, prevista dall’impugnato art. 93, attiene all’articolazione della progettazione che questa Corte ha ritenuto essenziale “per assicurare, con il progetto esecutivo, l’eseguibilita’ dell’opera” e “indispensabile per rendere certi i tempi ed i costi di realizzazione” …” (sentenza n. 401 del 2007, n. 6.10. del Considerato in diritto, che richiama la precedente sentenza n. 482 del 1995, n. 5. del Considerato in diritto).

Da tutte le considerazioni che precedono consegue dunque che le norme disciplinanti l’attivita’ di progettazione nell’ambito di un contratto d’appalto di “opera pubblica, in quanto rispondenti a finalita’ squisitamente pubblicistiche, sono, in linea di principio, norme imperative ai sensi dell’art. 1418 cod. civ., comma 1 e che esse non possono conseguentemente essere derogate dai contraenti se non nei casi e nei modi previsti dalle norme medesime. In particolare, e’ certamente norma imperativa quella che attribuisce all’amministrazione o all’ente aggiudicatore dell’appalto la predisposizione del progetto esecutivo dell’opera pubblica, sulla cui base soltanto si puo’ procedere all’affidamento dei lavori.

Pertanto, alla luce delle stesse considerazioni, e’ giuridicamente corretta l’affermazione dei Giudici a quibus secondo cui, nella specie, il Comune di Ortona a Mare – non avendo esattamente adempiuto l’obbligo, nascente da norma di legge inderogabile, di mettere a disposizione dell’appaltatore il progetto esecutivo (comprensivo, in particolare, “dei calcoli esecutivi delle strutture”) , norma percio’ automaticamente sostituita, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., alla regola pattizia (art. 41 del Capitolato speciale d’appalto) dichiarata nulla – deve individuarsi come la parte responsabile della risoluzione del contratto d’appalto.

B) Quanto, poi, alla denunciata inapplicabilita’ alla fattispecie dell’art. 1339 cod. civ., e’ sufficiente osservare, in primo luogo, che il capitolato speciale d’appalto, a differenza dei capitolati generali che hanno valore ed efficacia normativi, ha invece natura contrattuale (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 2082 del 1974, 7584 del 2001, 1406 del 2003) e, in secondo luogo -conseguentemente -, che il principio dell’inserzione automatica di’ clausole di cui all’art. 1339 e’ certamente applicabile nelle ipotesi in cui si prospetti, come nella specie, la sostituzione di clausole contrattuali difformi rispetto a norme imperative di legge (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 8247 del 2004 e 1689 del 2006).

C) Quanto, infine, alla censura – per la quale, ad avviso del ricorrente, i Giudici a quibus, applicando erroneamente l’art. 1339 cod. civ., hanno sostituito (non gia’ una clausola contrattuale, bensi’) lo stesso oggetto del contratto, con conseguente erronea applicazione della norma di cui all’art. 1419 cod. civ., comma 2 che consente la dichiarazione della nullita’ parziale del contratto -, e’ del tutto evidente che la controversia insorta tra le parti aveva un oggetto estremamente limitato: cioe’ se, ferme restando tutte le altre pattuizioni convenute nel capitolato speciale d’appalto, la progettazione esecutiva concernente il calcolo delle strutture in cemento armato costituisse obbligo del Comune ovvero dell’impresa appaltatrice. Se si considera inoltre che l’art. 41 di detto capitolato speciale e’ stato sostituito di diritto dalla menzionata norma imperativa, tanto basta per affermare la correttezza giuridica dell’applicazione alla fattispecie dell’art. 1419 c.c., comma 2.

5. – Quanto al terzo motivo del ricorso, le censure con esso formulate sub a) e sub b) sono inammissibili, mentre merita accoglimento quella formulata sub e).

5.1. – L’inammissibilita’ delle censure formulate sub a) e sub b) deriva dai concorrenti rilievi che esse, per un verso, si risolvono in critiche tendenti ad ottenere una nuova valutazione di elementi probatori gia’ esaminati, ampiamente e specificamente giustificata dai Giudici a quibus sia in punto di fatto sia in punto di diritto (danno emergente da spese sostenute per l’effettuazione delle indagini tecniche e da spese generali), e, per altro verso non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, limitandosi a contestare in modo del tutto generico l’applicabilita’ alla fattispecie della L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 14 senza considerare cioe’ che i Giudici a quibus, condividendo sul punto la decisione degli arbitri, hanno specificamente affermato che il collegio arbitrale ha utilizzato i criteri dettati dalla L. n. 741 del 1981, art. 14 “quale mero parametro di riferimento per la liquidazione del danno, e quei criteri hanno poi, di volta in volta, adattato al case concreto, posto che … hanno tenuto nella dovuta considerazione la circostanza che il rapporto s’era interrotto dopo alcuni mesi, senza che i lavori fossero neppure iniziati e che il Comune avrebbe potuto ridurre l’importo dei lavori entro il “quinto d’obbligo”.

5.2. – E’, invece, fondata la censura formulata sub e) , con la quale il ricorrente denuncia che i Giudici a quibus hanno erroneamente individuato il dies a quo di decorrenza della rivalutazione monetaria da lucro cessante in una data intermedia tra quella di consegna del cantiere e quella della decisione, anziche’ dalla data contrattuale di ultimazione dei lavori, cioe’ – secondo le deduzioni dello stesso ricorrente – dalla data del 12 ottobre 2000, corrispondente a quella della scadenza dei diciotto mesi – contrattualmente previsti per la realizzazione dell’opera – successivi alla consegna dei lavori, avvenuta il 12 aprile 1999.

Infatti, se si considera che il “mancato guadagno” dell’appaltatore corrisponde all’utile netto che lo stesso avrebbe potuto ricavare dal completamento dell’opera, e’ da questo momento – corrispondente appunto, nella specie, alla data contrattualmente stabilita per la realizzazione dell’opera appaltata – che avrebbe dovuto farsi decorrere la rivalutazione monetaria sulla somma riconosciuta a titolo di lucro cessante.

6. – Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione alla censura accolta.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto in ordine alla questione della decorrenza della rivalutazione sulla somma riconosciuta a titolo di lucro cessante, la relativa causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2 in relazione all’art. 830 cod. proc. civ., comma 1.

Deve essere, pertanto, dichiarata la nullita’ del lodo pronunciato in data 27 marzo 2001, nella parte in cui fa decorrere la rivalutazione della somma liquidata a titolo di lucro cessante da una data intermedia tra quella di consegna del cantiere e quella della decisione, anziche’ dalla data contrattuale di ultimazione dei lavori, corrispondente a quella del 12 ottobre 2000.

Le spese del giudizio di merito seguono la (quasi totale) soccombenza del Comune di Ortona a Mare e vengono liquidate nel dispositivo.

7. – Sussistono giusti motivi – costituiti dalla novita’ della principale questione trattata (secondo motivo del ricorso) – per dichiarare compensate per intero tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso; accoglie il terzo in parte qua; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, annulla parzialmente il lodo 27 marzo 2001 e stabilisce che la rivalutazione monetaria sul lucro cessante, come liquidato dagli Arbitri, decorre dalla data contrattuale di ultimazione dei lavori. Condanna il Comune di Ortona a Mare al rimborso delle spese del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 19.000,00, di cui Euro 3.971,97 per diritti, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge. Compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita’.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2010

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