Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18643 del 13/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 18643 Anno 2018
Presidente: LOCATELLI GIUSEPPE
Relatore: BERNAZZANI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 4689-2011 proposto da:
DI PENTA ELISABETTA, DI PENTA GIOVANNI, elettivamente
domiciliati in ROMA C.SO VITTORIO EMANUELE II 269,
presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA, che
li rappresenta e difende giusta delega a margine;
– ricorrenti 2018
305

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente con atto di costituzione –

Data pubblicazione: 13/07/2018

avverso

la

sentenza

n.

3053/2010

della

COMM.

TRIBUTARIA CENTRALE di ROMA, depositata il 18/05/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/02/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO
BERNAZZANI;

Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
udito per i ricorrenti l’Avvocato VACCARELLA che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il resistente l’Avvocato ROCCHITTA che ha
chiesto il rigetto.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

FATTI DI CAUSA
L’Ufficio Distrettuale delle II.DD. di Roma notificava a Di Penta Pasquale avviso
di accertamento n. 5404/1981 ai fini Irpef e Dor, relativo al periodo d’imposta
1975, con il quale venivano rideterminati in capo al contribuente maggiori redditi
fondiari, di lavoro autonomo e di capitale, elevando il reddito imponibile da L.
20.718.000 a L. 801.838.026.
In particolare, i maggiori redditi fondiari, e precipuamente quelli riferibili ai

maggior reddito da lavoro autonomo veniva rideterminato dall’Ufficio sulla base
della presunzione secondo cui le varie cariche sociali ricoperte dal contribuente in
seno alle società Dipenta s.p.a., Co.Si.A.C. s.p.a. ed Impresa Edilizia Immobiliare
s.p.a. non potessero che essere a titolo oneroso; il maggior reddito di capitale
riguardava la ritenuta percezione di dividendi in relazione alle partecipazioni del
contribuente nelle società Co.Si.A.C. spa, Dipenta s.p.a., – Impresa Edile
Immobiliare s.p.a., Aresu s.p.a., Monte IXI s.p.a., Bangius s.p.a., Il Corbezzolo Azienda Silvo Pastorale s.p.a. e Banca Popolare di Novara ed era rideterminato in
parte per il mancato assoggettamento ad imposizione dei dividendi effettivamente
distribuiti, in parte per la percezione di utili extra bilancio presuntivamente accertati
dall’Ufficio.
Il ricorso presentato avverso tale avviso di accertamento veniva deciso dalla
Commissione Tributaria di I grado di Roma, con sentenza depositata in data
25.10.1989, la quale dichiarava estinto il giudizio per cessata materia del
contendere con riferimento ai maggiori redditi fondiari, posto che gli stessi erano
stati definiti dal contribuente attraverso presentazione di regolare “dichiarazione
integrativa semplice” ex art. 17 L. n. 516/82, e rigettava la pretesa impositiva
dell’Ufficio con riferimento ai maggiori redditi di lavoro autonomo e di capitale,
ritenute illegittime.
Avverso tale decisione interponeva appello l’Ufficio, il quale, dando atto
dell’intervenuta presentazione della dichiarazione integrativa semplice da parte del
contribuente, chiedeva la riforma della decisione impugnata con particolare
riguardo alle riprese concernenti i redditi da lavoro autonomo e di capitale.
La Commissione di II grado, con decisione in data 18.10.1991, premesso che il
contribuente aveva presentato una domanda di condono mediante dichiarazione
integrativa semplice indicando un nuovo imponibile di L. 24.218.000, rispetto
all’accertamento di L. 801.838.026, e che pertanto, ex art. 17 I. 516/82, la
controversia doveva proseguire per la differenza fra il reddito accertato e quello
integrato, respingeva il ricorso dell’Ufficio, confermando la decisione di primo grado.

terreni, erano rideterminati «in conseguenza dei dati rilevati presso l’U.T.E.»; il

Avverso tale decisione l’Ufficio proponeva ricorso innanzi alla Commissione
Tributaria Centrale di Roma, ribadendo la legittimità del proprio operato sia in
relazione ai maggiori redditi di lavoro autonomo che a quelli di capitale. Il
contribuente reiterava le contestazioni già formulate nei precedenti gradi di giudizio
in ordine alla mancata percezione di compensi in conseguenza delle cariche
societarie rivestite; in merito ai presunti utili extrabilancio percepiti, che l’Ufficio
non aveva mai dimostrato che gli accertamenti verso le società in questione

distribuiti. Con riferimento specifico alla Co.Si.A.C. s.p.a., rilevava, inoltre, che
l’avviso di accertamento emesso nei confronti di tale società – riguardante recuperi
a tassazione relativi all’anno di imposta precedente (1974) rispetto a quello in cui
erano stati imputati al Di Penta i presunti utili – era stato annullato dalla CT di I
grado di Palermo, con decisione n. 3454/82, depositata il 30.3.1982 e passata in
giudicato.
La Commissione Tributaria Centrale di Roma, con la impugnata decisione n.
3053 del 29.4/18.5.2010, ha accolto integralmente il ricorso, dichiarando la
validità dell’accertamento a suo tempo notificato dall’Ufficio, peraltro con
motivazione limitata esclusivamente ai maggiori redditi di capitale e senza alcun
riferimento riguardo ai redditi fondiari, di lavoro ed ai dividendi distribuiti.
Avverso tale decisione propongono ricorso, affidato a 10 motivi, Di Penta
Giovanni e Di Penta Elisabetta, quali eredi del contribuente, deceduto in data
14.7.1993.
L’A.d.E. ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione
all’udienza.
Nelle more dell’udienza, la difesa del contribuente ha depositato lettera di
sgravio in data 24.8.2012 (prot. n. 167061/12) con cui l’Ufficio ha disposto, in via
di autotutela, l’annullamento parziale dell’avviso di accertamento n. 5404/1981 con
riferimento al rilievo concernente l’imputazione della quota degli utili extrabilancio
derivanti dall’accertamento emesso nei confronti di Co.Si.A.C. s.p.a.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va preliminarmente osservato che la determinazione unilaterale dell’Ufficio,
documentata in atti, che ha disposto – in via di autotutela – lo sgravio del debito
fiscale oggetto del presente giudizio con riferimento ai maggiori redditi da capitale
derivanti dalla ritenuta distribuzione al contribuente di dividendi extrabilancio, sulla
base dell’accertamento emesso nei confronti di Co.Si.A.C. s.p.a., determina il venir
meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio, imponendo una pronuncia di
inammissibilità del ricorso in parte qua per sopravvenuta carenza di interesse.

2

avessero assunto carattere di definitività e che si trattasse di utili effettivamente

2. In tale prospettiva, va, innanzitutto, rilevato che investono esclusivamente il
profilo evidenziato, concernente la ripresa a tassazione di utili extrabilancio che
l’Ufficio ha ritenuto essere stati distribuiti da Co.Si.A.C. s.p.a., i motivi nn. 4, 5, 6, 7

ed 8, il cui contenuto essenziale, formulato nei termini che seguono, si riporta per
maggiore chiarezza espositiva.
Quarto motivo: omessa motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
o nullità del procedimento e/o della sentenza ex art. 360, comma 1, n.4 cod. proc.

precedente giudicato di annullamento dell’accertamento nei confronti della
Co.Si.A.C. s.p.a., avente efficacia pregiudiziale rispetto all’accertamento nei
confronti del socio.
Quinto motivo: violazione degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ.,
nell’ipotesi, formulata in via alternativa, in cui si ritenga che la predetta eccezione
di giudicato sia stata implicitamente esaminata e rigettata.
Sesto motivo: violazione dell’art. 295 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 3 cod. proc. civ., ovvero nullità della sentenza o del procedimento per
mancata sospensione del giudizio avente ad oggetto il rapporto giuridico dipendente
– ossia quello afferente l’accertamento nei confronti del socio – in attesa della
definizione del giudizio avente valore pregiudiziale, ex art. 360, comma 1, n. 4 cod.
proc. civ.; ciò qualora si ritenga non provata l’esistenza del predetto giudicato sul

punto.
Settimo motivo: omessa o contraddittoria motivazione ex art. 360, comma 1,
n. 5 cod. proc. civ., in ordine all’esistenza di maggiori redditi di capitale imputabili
alla società e distribuiti ai soci, sempre qualora si escluda il rapporto di
pregiudizialità fra l’accertamento verso Co.Si.A.C. s.p.a. e l’accertamento nei
confronti del Di Penta.
La specifica considerazione dell’oggetto esclusivo dei predetti motivi fa sì,
dunque, che la pronuncia di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse
sia destinata ad investire gli stessi nella loro integrità.
Ottavo motivo: violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.
in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 cod. proc. civ., in ordine all’accertamento
relativo all’esistenza di maggiori redditi di capitale imputabili alla Co.Si.A.C. s.p.a. e
distribuiti ai soci sub specie di utili extrabilancio.
La specifica considerazione dell’oggetto esclusivo dei predetti motivi fa sì,
dunque, che la pronuncia di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse
sia destinata ad investire gli stessi nella loro integrità.
3. In relazione ai restanti motivi di ricorso, deve essere affrontato l’esame del

3

b\

civ., per omesso esame della sollevata eccezione relativa all’esistenza di un

motivo n. 1, non interessato dal citato provvedimento di sgravio; quanto ai restanti
motivi nn. 2, 3, 9, 10, essi sono riferiti a tutti i redditi accertati in capo al
contribuente e non soltanto agli utili extrabilancio contestati come distribuiti da
Co.Si.A.C. s.p.a.: ne consegue che il citato provvedimento adottato dall’Ufficio in
via di autotutela determina soltanto la parziale inammissibilità di tali motivi per
sopravvenuta carenza di interesse, ossia limitatamente all’imputazione della quota
di utili extrabilancio derivanti dall’accertamento nei confronti di Co.Si.A.C. s.p.a.

procedimento e/o della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. per
violazione degli artt. 132 stesso codice, 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 del
1992, 37 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636.
Il motivo appare fondato.
Come risulta dalla esposizione in fatto che precede, il giudizio radicato avanti
alla Commissione Tributaria Centrale aveva ad oggetto la statuizione con la quale
la CT di II grado, rigettando il ricorso proposto avverso la decisione di prime cure,
aveva affermato l’illegittimità dell’accertamento

de quo nella parte relativa alla

rideterminazione del reddito da lavoro autonomo e di capitale, dichiarando altresì
che i

maggiori redditi attribuibili al contribuente erano comunque inferiori al

maggior imponibile indicato nella domanda di condono.
La sentenza della CTC ha accolto il ricorso proposto dall’Ufficio, dichiarando la
«validità dell’accertamento a suo tempo notificato dall’Ufficio», senza, peraltro,
fornire alcuna motivazione sulle ragioni poste alla base della riforma della sentenza
impugnata nella parte relativa ai maggiori redditi da lavoro autonomo, nonché a
quelli ritenuti, comunque, inferiori al maggior imponibile indicato nella domanda di
condono.
La decisione della CTC, invero, si limita ad argomentare in ordine al recupero a
tassazione di quella parte di redditi di capitale riferibili al contribuente in forza della
presunzione di distribuzione occulta di utili ai soci, senza, per converso, esplicitare
l’iter logico-argomentativo afferente i diversi ed ulteriori temi relativi alle questioni
sopra indicate. L’omissione della CTC si traduce nella mancanza di motivazione in
parte qua ovvero nella radicale inidoneità della stessa ad esprimere la

ratio

decidendi in ordine alle questioni sopra individuate, così da determinare la nullità
della sentenza per carenza assoluta di un requisito essenziale.
L’omissione della CTC si traduce nella mancanza di motivazione ovvero nella
radicale inidoneità della stessa ad esprimere la ratio decidendi, così da determinare
la nullità della sentenza per carenza assoluta di un requisito di forma essenziale.
5. Il secondo motivo dedotto dai ricorrenti, da esaminarsi nei limiti sopra

4

4. Con il primo motivo di ricorso, in particolare, il ricorrente deduce nullità del

illustrati, riguarda il vizio di omessa motivazione circa un fatto controverso e
decisivo, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in uno con quello di violazione
o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., con riferimento all’unica parte della
sentenza assistita da una motivazione in diritto, ovvero quella che conferma
l’operato dell’Ufficio riconoscendo la validità della presunzione in ordine ai maggiori
redditi di capitale (sotto forma di utili non contabilizzati) derivanti dalla
partecipazione ad alcune società («il collegio osserva che il recupero a tassazione di

costituisce corretto fondamento per la presunzione iuris tantum di distribuzione
occulta di utili ai soci, senza la necessità di ulteriori elementi di prova»).

In tale prospettiva, rilevano i ricorrenti che la CTC avrebbe omesso di motivare
sulle ragioni per cui si è ritenuto fatto certo e “noto”, e quindi idoneo a fondare la
piattaforma di partenza del ragionamento presuntivo, l’accertamento in capo alle
varie società indicate dei maggiori redditi in ipotesi distribuiti sotto forma di utili “in
nero”, mentre la stessa Commissione avrebbe dovuto più correttamente dichiarare
l’illegittimità dell’accertamento in parte qua per mancanza di prova – il cui onere è
a carico dell’Ufficio ex art. 2697 cod. civ. – della definitività degli accertamenti
pregiudiziali effettuati nei confronti delle società partecipate dal contribuente.
L’assunto dei ricorrenti non può essere condiviso.
Se, infatti, esso trova riscontro nel precedente di legittimità citato nel ricorso
(Cass. Sez. I, 14/02/1997, n. 1412, secondo cui «il giudice non può legittimamente
considerare noto un fatto contenuto in un diverso accertamento e da questo fatto
risalire a quello ignorato della esistenza di un maggior reddito, senza prima avere
verificato se l’atto in questione è divenuto definitivo per mancata impugnazione o
per rigetto del ricorso del contribuente con sentenza non più impugnabile, solo in
tal caso acquistando il contenuto dell’atto impositivo summenzionato il carattere
della certezza»), va rimarcato come la più recente giurisprudenza di questa Corte,
condivisa dal Collegio, ha chiarito che «in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi
di società di capitali a ristretta base sociale è ammissibile la presunzione di
distribuzione ai soci di utili extraconta bili ove sussista, a carico della società
medesima, un valido accertamento di utili non contabilizzati, che ricorre anche
quando esso derivi dalla quantificazione dei profitti contenuta in altra sentenza,
pronunziata nei confronti della società, non ancora passata in giudicato, sicché, in
tale evenienza la decisione nei confronti dei soci non viola l’art. 2727 cod. civ.,
incombendo sulla parte, che ne contesti il fondamento, censurare la pronuncia per
violazione dell’art. 295 cod. proc. civ. atteso il rapporto di pregiudizialità tra i
giudizi». (cfr. Cass. Sez. 6-5, 19/03/2015, n. 5581, Rv. 635494 – 01; cfr. anche

5

redditi imputati a società di capitali a ristretta partecipazione, specie se familiare,

Cass. Sez. 5, 22/04/2009, n. 9519/09, Rv. 607815 – 01).
In tal senso, va ribadito che il fatto noto che sorregge la presunzione di
distribuzione degli utili extracontabili non è costituito dalla sussistenza di questi
ultimi, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di
reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione
sociale; la sussistenza di utili extracontabili, invece, costituisce il presupposto non
della presunzione di distribuzione degli stessi tra i soci, ma dell’accertamento della

ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali. Da tale premessa
consegue, come argomentato nella decisione n. 5581/2015, che «la circostanza che

l’accertamento degli utili extracontabili di una società a ristretta base azionaria sia
contenuto in un atto impositivo non definitivo o in una sentenza non passata in
giudicato incide non sulla operatività della presunzione di distribuzione di tali utili
fra i soci, bensì sulla individuazione dell’oggetto di tale distribuzione; cosicché, in
sostanza, la causa relativa all’accertamento dei redditi non dichiarati della società
viene a trovarsi in rapporto di pregiudizialità con le cause relative all’accertamento
di maggiori redditi da partecipazione dei singoli soci o al recupero dell’ omesso
versamento delle ritenute alla fonte sui dividendi derivanti ai soci dalla distribuzione
dei suddetti utili extracontabili. Dalle osservazioni che precedono discende che la
sentenza che – pronunciandosi sull’impugnativa di un atto impositivo emesso nei
confronti dei soci per il recupero dell’IRPEF sui dividendi di una società a ristretta
base azionaria, o emesso nei confronti della stessa società per il recupero della
ritenuta alla fonte su detti dividendi – ponga a fondamento della propria decisione la
quantificazione degli utili extracontabili della società contenuta in un’altra sentenza
non ancora passata in giudicato non viola il divieto di doppia presunzione, potendo
essere eventualmente censurata, ove ciò non sia precluso dalla situazione
processuale concretamente verificatasi nel giudizio di secondo grado, per violazione
dell’articolo 295 cod. proc. civ.» .
Pertanto, nella specie non è ravvisabile il vizio di omessa motivazione sul
punto, né sussiste violazione dell’art. 2697 cod. civ., alla stregua di quanto
sinteticamente ma compiutamente argomentato, sullo specifico punto oggetto di
censura, nella sentenza impugnata.
6. Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2729
e 2389 c.2 cod. civ., ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., ovvero omessa,
insufficiente od erronea motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
Il motivo, da esaminarsi nei limiti sopra illustrati (ossia fatta salva
l’inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse in relazione alla quota di utili

6

concreta percezione di una determinata somma, da parte di ciascun socio, in

derivanti dall’accertamento Co.Si.A.C. s.p.a.) si riferisce all’accertamento: a) dei
maggiori redditi da lavoro autonomo; b) dei maggiori redditi da capitale.
6.1. Quanto al primo profilo, la doglianza è da considerarsi assorbita per effetto
dell’accoglimento del primo motivo, afferente al radicale vizio di nullità della
sentenza per carenza di motivazione sullo specifico punto.
Ritiene il Collegio, in ogni caso, opportuno evidenziare che la decisione
impugnata non indica minimamente quali siano gli elementi probatori, sub specie di

dell’accertamento: la CTC, invero, opera unicamente un riferimento alla ristretta
base azionaria delle società in esame per inferirne la distribuzione di utili non
contabilizzati; ma ciò non basta a sorreggere l’ulteriore – e diversa – presunzione
che il Di Penta avesse anche percepito compensi quale amministratore delle
predette compagini e che, in caso affermativo, gli stessi fossero emolumenti
ulteriori rispetto agli utili percepiti (cfr. l’art. 2389, comma 2, cod. civ., secondo cui
i compensi agli amministratori «possono essere costituiti in tutto o in parte da
partecipazioni agli utili»). In tale prospettiva, non può che essere ribadito il
principio secondo cui, “in materia di accertamento delle imposte sui redditi,
l’amministrazione finanziaria non può pretendere, presumendone la onerosità, di
assoggettare a tassazione il compenso dell’ amministratore di una società in
mancanza di prova contraria da parte del contribuente, non potendo la stessa
fondare tale pretesa su una presunzione, inconferente in presenza di un diritto
disponibile, quale quello dell’ amministratore al compenso da parte della società.
(Cass. Sez. 1, 11/03/1998, n. 2671, Rv. 513561 – 01; sul fatto che il diritto al
compenso professionale dell’amministratore ha natura disponibile e può essere
oggetto di una dichiarazione unilaterale di disposizione da parte del suo titolare nella specie, di rinuncia -, cfr. Cass. Sez. 1, del 13/11/2012, n. 19714, Rv. 624428
– 01).
6.2. Quanto, invece, al profilo attinente ai redditi di capitale, la motivazione
della decisione impugnata è, invece, immune dai vizi prospettati, avendo applicando
un principio di diritto consolidato in tema di presunzione di distribuzione degli utili
in caso di società a ristretta base partecipativa, secondo il quale è legittima la
presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati,
rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i
maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece,
accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal
fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con
perdite contabili. (Cass. Sez. 5, del 22/11/2017, n. 27778 Rv. 646282 – 01; Sez.

fu.\
7

presunzioni gravi, precise e concordanti, da cui risulterebbe la correttezza

5, del 18/10/2017, n. 24534 Rv. 645914 – 01).
Il motivo è, dunque, infondato sotto tale secondo profilo.
7. Quanto agli ultimi due motivi, relativi a tutti i redditi di capitale accertati
dall’Ufficio, anch’essi da esaminarsi nei limiti sopra indicati, si osserva quanto
segue.
7.1. Con il nono motivo, i ricorrenti deducono nullità del procedimento o della
sentenza ex art. 360, comma 1, n.4 cod. proc. civ. e di violazione o falsa

civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Invero, la CTC ha dichiarato «la validità dell’accertamento a suo tempo
notificato dall’ufficio» senza considerare che, come risulta in modo pacifico ed
incontestato, a seguito della presentazione di dichiarazione integrativa ex art. 17 I.
n. 516/82, il contenzioso poteva riguardare soltanto l’accertamento per la parte di
reddito compresa fra l’imponibile inizialmente accertato e quello che risultava dalla
dichiarazione integrativa (pari alla differenza fra L. 801.838.000 e L. 24.218.000).
Ciò comporta che la decisione della CTC risulta, da un lato, in contrasto con il
giudicato formatosi sul punto per effetto della mancata impugnazione, in parte qua,
della sentenza della CT di II grado, che aveva dichiarato la cessazione della materia
del contendere sino alla concorrenza dell’importo di L. 24.218.000 e, dall’altro,
affetta dal vizio di ultrapetizione, comportante nullità ai sensi del n. 4 dell’art. 360
cit., sotto il cui paradigma va ricondotta la dedotta violazione dell’art. 112 cod.
proc. civ. (sul punto, si richiama il principio espresso dalle Sezioni Unite, con la
sentenza 24.7.2013, n. 17931, Rv.627268-01, sull’ammissibilità del ricorso per
cassazione articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed
inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dall’art. 360
cod. proc. civ., pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta
indicazione numerica di una delle predette ipotesi).
7.2. L’accoglimento del precedente motivo di ricorso determina l’assorbimento
del decimo motivo, concernente violazione o falsa applicazione dell’art. 17 d.l. n.
429/82, conv. in I. n. 516/82.
8. In conclusione, devono essere dichiarati inammissibili per sopravvenuta
carenza di interesse il quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo nella loro
integralità, e, limitatamente all’imputazione delle quote di utili extrabilancio
derivanti dall’accertamento nei confronti di Co.Si.A.C. s.p.a., il secondo, terzo, nono
e decimo motivo.
Deve essere accolto il primo motivo di ricorso, in esso assorbito, nei termini di

8

applicazione degli artt. 324 cod. proc. civ., 2909 cod. civ., ovvero 112 cod. proc.

cui in motivazione, il terzo motivo; parimenti da accogliersi è il nono motivo – nella
parte concernente riprese a tassazione diverse rispetto a quella concernente le
quote di utili extrabilancio derivanti dall’accertamento Co.Si.A.C. s.p.a. -, in esso
assorbito il decimo motivo.
I restanti motivi (n. 2 nella parte concernente riprese a tassazione diverse
rispetto alle quote di utili extrabilancio derivanti dall’accertamento Co.Si.A.C. s.p.a.;
n. 3, relativamente al solo profilo attinente ai redditi di capitale non afferente agli

impugnata deve essere, conseguentemente annullata in relazione ai motivi accolti,
con rinvio alla CTR del Lazio, alla quale si demanda di provvedere anche sulle spese
del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse in
relazione al quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo e, limitatamente
all’imputazione delle quote di utili extrabilancio derivanti dall’accertamento nei
confronti di Co.Si.A.C. s.p.a., in relazione al secondo, terzo, nono e decimo motivo
motivo. Accoglie il primo motivo, in esso assorbito, nei termini di cui in
motivazione, il terzo motivo, ed accoglie nel resto il nono motivo, in esso assorbito
il decimo motivo. Rigetta nel resto i residui motivi di ricorso. Cassa, in relazione ai
motivi accolti, la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR del Lazio, cui demanda di
provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, 27 febbraio 2018
Il Consigliere estensore
Pacil Bernazzani
Il Presidente
Giuseppe Locatelli

utili Co.Si.A.C. s.p.a.) devono, per converso, essere rigettati. La sentenza della CTC

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