Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18642 del 23/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 23/09/2016, (ud. 03/05/2016, dep. 23/09/2016), n.18642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13992/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

DREAMTEX SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2492/2014 della COMM. TRIB. REG. della Puglia,

depositata il 02/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI che si richiama agli

atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 2492 del 2 dicembre 2014 la Commissione tributaria regionale della Puglia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari che aveva accolto, previa riunione, i ricorsi con cui la contribuente DREAMTEX s.r.l. aveva impugnato gli avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione della G.d.F. da cui era emerso l’indebito utilizzo di un deposito fiscale gestito virtualmente, recuperava a tassazione l’IVA indebitamente detratta dalla società in relazione agli anni di imposta dal 2005 al 2009.

Il giudice di appello, dopo aver premesso che nel caso di specie andava esclusa una condotta fraudolenta della società in quanto il deposito fiscale era legittimamente gestito dalla Work System s.r.l. e dalla Santamato s.r.l., dichiarava il difetto di competenza funzionale dell’Agenzia delle entrate, ritenendo l’Agenzia delle dogane l’unico organo competente ad accertare e riscuotere l’IVA all’importazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 70.

2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorre per cassazione affidato ad un motivo, cui non replica la società contribuente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia ricorrente deduce la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 427 del 1993, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 e degli artt. 2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene la ricorrente che, essendo nella specie risultato illecito, perchè meramente virtuale, il deposito fiscale IVA e non essendovi stato accertamento dell’Agenzia delle dogane per il recupero dell’IVA all’importazione, legittimo era l’intervento dell’Agenzia delle Entrate operato non mediante il recupero dell’IVA all’importazione come tale… bensì mediante il disconoscimento delle detrazioni d’imposta contenute nelle stesse autofatture emesse dalla società contribuente e che risultavano ora irregolari, in mancanza del presupposto della sospensione di imposta. Sostiene, altresì, che una volta dimostrato presuntivamente il carattere virtuale del deposito, senza che detto accertamento potesse essere inficiato dal fatto che lo stesso fosse stato regolarmente autorizzato, diversamente da quanto ritenuto dalla CTR, che aveva violato la regola del riparto dell’onere probatorio, incombeva sulla società contribuente l’onere di provare la materiale effettuazione delle prestazioni di servizio.

Nella “sintesi” che conclude il motivo la ricorrente chiede a questa Corte di affermare il principio per cui la sussistenza di circostanze – quali il mancati ingresso materiale della merce in un deposito fiscale Iva ovvero il suo transito in esso per pochi minuti, senza che la merce stessa sia stata stoccata, nè imballata, nè custodita e senza che, inoltre, l’attività di deposito sia provata con la produzione di un contratto tra la parte contribuente e la società che gestisce il deposito Iva – rendono legittimo ex art. 2729 c.c., in mancanza di prova contraria ex art. 2697 c.c., la verifica e l’accertamento delle violazioni degli adempimenti fiscali connessi alla gestione ed utilizzo virtuale del deposito fiscale IVA da parte dell’Agenzia delle Entrate, funzionalmente competente al recupero dell’Iva indebitamente detrattate D.L. n. 331 del 1993, ex art. 50 bis, comma 5, conv. in L. n. 427 del 1993.

2. Il motivo, che ha carattere plurimo denunciandosi contestualmente la violazione delle norme sulla detraibilità dell’IVA all’importazione e quella sul riparto dell’onere probatorio, è inammissibile.

2.1. Innanzitutto perchè è privo di decisività in quanto la ricorrente non coglie una delle rationes decidendi della sentenza impugnata, idonea a sostenere autonomamente la decisione, rappresentata dall’accertata legittimità del deposito fiscale IVA e dall’assenza di qualsivoglia condotta fraudolenta o intenti evasivi.

3. Ma la censura in esame non si sottrae ad un ulteriore profilo di inammissibilità. Invero, censurando la decisione della CTR per aver violato la regola del riparto dell’onere probatorio, per non aver posto a carico della contribuente l’onere di provare la materiale effettuazione delle prestazioni di servizio, idonea a vincere gli elementi presuntivi offerti dall’Agenzia delle entrate a dimostrazione del carattere virtuale del deposito fiscale, la ricorrente mostra di dolersi non tanto di una errata applicazione delle norme civilistiche censurate col mezzo di impugnazione, quanto dell’errata valutazione da parte del giudice di merito di quelle circostanze elencate nella “sintesi” conclusiva del motivo, sopra integralmente trascritta, che, ove apprezzate dai giudici di appello, li avrebbero condotti a diversa soluzione in ordine alla natura “virtuale” del deposito che, stando all’assunto della deducente, proverebbe il comportamento elusivo della contribuente.

Essendo, quindi, evidente che la ricorrente con tale censura ha inteso proporre un vizio di motivazione, in base al principio secondo cui è causa di inammissibilità del ricorso per cassazione l’erronea sussunzione del vizio, che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, nell’una o nell’altra fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c. (Cass. n. 21165 del 2013, ma anche Cass. n. 8585 del 2012, n. 21099 del 2013 e n. 1615 del 2015), il motivo in esame anche per tale ragione va dichiarato inammissibile.

4. Non deve provvedersi sulle spese stante la mancata partecipazione al giudizio dell’intimata.

L’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 5955 del 2014 e n. 1778 del 2016).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il motivo di ricorso.

Dà atto che non sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 3 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016

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