Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18641 del 12/08/2010

Cassazione civile sez. I, 12/08/2010, (ud. 23/02/2010, dep. 12/08/2010), n.18641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ANIENE 14, presso l’avvocato GEROSA ROBERTO

(STUDIO SCIUME’ E ASSOCIATI), rappresentato e difeso dall’avvocato

BARRETTA MARIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

12/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/02/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che chiede che venga rigettato perchè manifestamente

infondato il ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che F.F., con ricorso del 14 febbraio 2007, ha impugnato per cassazione – deducendo un unico motivo di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Napoli depositato in data 12 gennaio 2006, con il quale la Corte d’appello, pronunciando anche sul ricorso del F. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, ha condannato il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi, ha resistito alla domanda – a corrispondere al F. la somma di Euro 1.750,00, a titolo di danno non patrimoniale;

che il Ministro della giustizia, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale, richiesto nella misura di Euro 20.700,00 per ciascuno dei ricorrenti, proposta con ricorso del 20 luglio 2005 unitamente ad B.A., A.R. e M.F., era fondata sui seguenti fatti: a) F.G. – padre e dante causa di F. – e gli altri ricorrenti, con citazione del 18 aprile 1986, avevano convenuto dinanzi al Tribunale di Salerno il Comune di questa Città e le s.r.l. Immobiliare Labor ed Edildomus per l’abbattimento di alcuni manufatti lesivi del loro diritto di proprietà; b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con la sentenza n. 1141 del 23 maggio 2000 e la Corte d’Appello di Salerno, aveva deciso l’impugnazione con la sentenza definitiva n. 31/04 del 23 gennaio 2004;

che la Corte d’Appello di Napoli, per quanto in questa sede rileva, con il suddetto decreto impugnato, ha motivato la decisione di riconoscimento del danno non patrimoniale al F. nella misura predetta, osservando, in particolare, che: mentre agli altri ricorrenti va riconosciuto l’indennizzo di Euro 12.000,00 ciascuno, “al F., non potendosi avere a riferimento il periodo del processo in cui era parte il padre, deceduto anteriormente all’entrata in vigore della Legge Pinto, va liquidata un’indennità in relazione al solo periodo in cui lo stesso è divenuto parte processuale e cioè dal 1/3/98 in poi. Quindi allo stesso non spetta nulla per il processo di 1^ grado, terminato dopo due anni dal momento in cui divenne parte, mentre gli spetta l’indennità per il periodo eccedente l’ordinaria durata del processo di 2^ grado e cioè un’indennità di Euro 1.750”;

che il Procuratore generale ha concluso, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., per la manifesta infondatezza del ricorso.

Considerato che, con l’unico motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, nonchè degli artt. 456, 462, 565 c.c. e dell’art. 110 c.p.c., in relazione all’art. 6 par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3”), il ricorrente critica il decreto impugnato, sostenendo che, quale erede di F.G., gli spetta il medesimo indennizzo liquidato alle altre parti del processo presupposte – che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati;

che, infatti, costituisce ormai diritto vivente il principio secondo cui, in tema di equa riparazione per la irragionevole durata del processo, la fonte del riconoscimento del relativo diritto non deve essere ravvisata nella sola L. n. 89 del 2001, poichè il fatto costitutivo del diritto attribuito dalla legge nazionale coincide con la violazione della norma contenuta nell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. n. 848 del 1955, condizionatamente all’accettazione della clausola opzionale recante il riconoscimento da parte degli Stati contraenti della competenza della Commissione (oggi, della Corte europea dei diritti dell’uomo), avvenuta per l’Italia il 1^ agosto 1973, con la conseguenza che il diritto all’equa riparazione spetta anche agli eredi della parte che abbia introdotto il processo prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, dovendosi a tal fine tenere conto del periodo decorrente dalla data della domanda fino a quella del decesso dell’attore originario, periodo al quale tuttavia, in caso di mancata costituzione in giudizio dell’erede, non può essere cumulato il periodo di pendenza successivo al decesso, attesa la mancanza di una parte processuale attiva, danneggiata dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, e 16284 del 2009);

che, inoltre, è stato ulteriormente precisato che, nel caso di decesso di una parte, l’erede ha diritto a conseguire, jure successionis, l’indennizzo maturato dal de cuius per l’eccessiva protrazione di un processo che lo vide parte anche prima dell’entrata in vigore della citata legge, nonchè, jure proprio, l’indennizzo dovuto in relazione all’ulteriore decorso della medesima procedura, dal momento in cui abbia assunto formalmente la qualità di parte, ovverosia si sia costituito nel giudizio, ciò in quanto, anche se la qualificazione ordinamentale negativa del processo – ossia la sua irragionevole durata – è stata già acquisita nel segmento temporale nel quale parte era il de cuius e permane anche in relazione alla valutazione della posizione del successore – il quale subentra, pertanto, in un processo oggettivamente irragionevole -, per la commisurazione dell’indennizzo da riconoscere dovrà prendersi quale parametro di.

riferimento proprio la costituzione in giudizio dell’erede, non fondandosi il sistema sanzionatorio delineato dalla Convenzione europea e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia subito danni, patrimoniali e non patrimoniali, ed in relazione ad indennizzi modulabili in base al concreto patema subito (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 2983 del 2008);

che, nella specie, l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte napoletana sta nell’affermazione contraria ai suesposti e qui ribaditi principi – secondo la quale “al F., non potendosi avere a riferimento il periodo del processo in cui era parte il padre, deceduto anteriormente all’entrata in vigore della Legge Pinto, va liquidata un’indennità in relazione al solo periodo in cui lo stesso è divenuto parte processuale e cioè dal 1/3/98 in poi”;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che, proprio in applicazione dei predetti principi, al ricorrente spetta, jure successionis, l’indennizzo per il periodo di durata irragionevole del processo presupposto di primo grado, pari a nove anni circa, risultanti dal calcolo della complessiva durata di tale processo fino al decesso del suo dante causa (dal 18 aprile 1986 al 1^ marzo 1998) e della detrazione di tre anni di durata ragionevole dello stesso processo;

che, invece, nessun indennizzo può essere riconosciuto al ricorrente, jure proprio, per il processo di primo grado, in quanto lo stesso non precisa la data della sua costituzione in giudizio nello stesso processo;

che, quanto al processo d’appello, protrattosi dal 2001 all’inizio del 2004 e, quindi, per un periodo eccedente lo standard di durata ragionevole biennale, va parimenti riconosciuto al ricorrente un equo indennizzo;

che, sulla base dei consolidati criteri di liquidazione dell’indennizzo applicati da questa Corte, si reputa equo determinare l’indennizzo per la durata irragionevole del processo di primo grado in Euro 9.000,00 e per quella del processo d’appello in Euro 1.750,00, e così complessivamente in Euro 10.750, oltre gli interessi dalla domanda di equa riparazione al salde – che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate sulla base delle tabelle A, paragrafo 4^, e B, paragrafo 1^, allegate al Decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

PQM

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della giustizia a pagare al ricorrente la somma di Euro 10.750,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 965,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2010

 

 

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