Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18640 del 08/09/2020

Cassazione civile sez. II, 08/09/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 08/09/2020), n.18640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19114/2019 proposto da:

S.E., rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZINA

SALVATORE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto n. cron. 4038/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI,

depositato il 07/05/2019;

269 udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

del 22/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso per cassazione notificato in data 20.06.2019, S.A.S. impugnava il decreto n. 2628/2019, emesso e comunicato in data 22.05.2019 dal Tribunale di Brescia, che rigettava la richiesta di protezione internazionale nelle diverse forme.

1.1. Durante l’audizione in sede amministrativa innanzi alla Commissione territoriale di Brescia, l’odierno ricorrente dichiarava di essere nato e vissuto a (OMISSIS), di essere di etnia (OMISSIS) e di aver lasciato il proprio Paese d’origine in seguito ad un agguato, occorso in data (OMISSIS), perpetrato ad opera di un gruppo rivale di etnia (OMISSIS). Nel descrivere l’accaduto, il ricorrente riferiva di essere, all’epoca dei fatti, al corrente degli scontri in essere tra le due etnie rivali e di aver subito l’aggressione in tarda serata, quando un gruppo di (OMISSIS), armati di coltelli e bastoni, provava ad irrompere nel suo negozio. Nella speranza di scongiurare l’aggressione, tentava di chiudersi all’interno del locale, venendo, tuttavia, attinto da plurimi colpi di arma da fuoco al petto ed al braccio destro. Nonostante le lesioni riportare, riusciva a sfuggire agli aggressori, riparandosi in un tombino, ove trascorreva la notte.

1.2. La domanda di protezione internazionale veniva rigetta dalla Commissione territoriale di Brescia, che riteneva la versione riferita da parte ricorrente generica ed inverosimile, risultando implausibile che il ricorrente avesse potuto trascorrere un’intera notte in un tombino dopo esser stato ferito da un’arma da fuoco. Inoltre, ad ulteriore riprova dell’infondatezza della domanda presentata, l’organo amministrativo adduceva, altresì, che l’agguato subito dal ricorrente non si inseriva in un contesto di violenza generalizzata, in considerazione del fatto che tra l’agosto del 2013 ed il novembre del 2014 – momento in cui il richiedente aveva lasciato il Paese – non si era più registrato alcun conflitto etnico a (OMISSIS).

1.3. Avverso tale provvedimento di diniego della domanda di protezione internazionale, il richiedente proponeva ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35.

2.1. Il Tribunale di Brescia, con decreto notificato in data 22.05.2019, rigettava le domande proposte, rilevando, da un lato, il difetto dei presupposti per il riconoscimento delle forme di tutela invocate e, confermando, dall’altro, l’orientamento espresso dalla Commissione territoriale circa l’inattendibilità del ricorrente.

1.4. Il principale indizio di inattendibilità andava ravvisato, secondo il Tribunale, nella discrasia esistente in relazione al giorno in cui si sarebbe verificato l’agguato: mentre il ricorrente sosteneva che l’aggressione fosse accaduta nel giugno del 2013, le fonti internazionali consultate dal Tribunale smentivano tale assunto, riferendo di violenze interetniche esclusivamente occorse in data 15, 16 e 17 luglio 2013. Oltre a tale rilevante contraddizione, ulteriori elementi avvaloravano il giudizio di non credibilità espresso dal Giudice di merito. In particolare, il Tribunale riteneva non plausibile che, a violenze già scoppiate, il richiedente si attardasse la sera nel proprio negozio e, vedendo arrivare gli aggressori, anzichè fuggire cercasse di chiudersi dentro. Allo stesso modo, risultava altamente improbabile che il richiedente, pur essendo ferito, riuscisse a sfuggire agli aggressori, i quali, avendolo colpito al petto ed al braccio destro, non dovevano trovarsi a distanza dal medesimo.

Quanto, poi, alla seconda condizione fondante il provvedimento di rigetto l’assenza dei presupposti per il riconoscimento della tutela invocata -, il Tribunale di Brescia giustificava la conclusione adottata in relazione a ciascuna delle tre forme di protezione internazionale. In particolare, con riguardo alle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), l’organo di merito evidenziava come dal presunto agguato subito dal ricorrente non si fosse verificata alcuna violenza interetnica, talchè, già prima dell’espatrio, poteva ritenersi insussistente nella zona di provenienza del ricorrente un pericolo attuale di persecuzione o di esposizione a danno grave. Quanto alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la stessa era del pari da ritenersi infondata, non ravvisandosi, da nessuna delle fonti di informazioni consultate, una situazione di violenza indiscriminata in essere nel Paese d’origine del ricorrente. Infine, la domanda avente ad oggetto il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari veniva rigettata non potendo ritenersi sussistente in Guinea una situazione di emergenza umanitaria.

2. Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso per Cassazione S.A.S. sulla base di tre motivi.

2.1. Il Ministero ha depositato un “atto di costituzione” non notificato alla controparte.

Diritto

RAGONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per essere il Giudice di merito pervenuto al giudizio di inattendibilità del ricorrente senza, tuttavia, applicare gli indicatori di genuinità soggettiva tipizzati dalla norma citata, limitandosi, di contro, a far proprie le valutazioni espresse dalla Commissione Territoriale.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Il ricorrente censura genericamente la valutazione da parte del giudice di merito in ordine alla valutazione della credibilità, senza, tuttavia, indicare in modo specifico in che cosa sia consistita la violazione di legge, alla stregua dei criteri tipizzati.

1.3. La disposizione richiamata, al comma 5, disciplina il procedimento cui l’organo giudicante è tenuto ad attenersi al fine di valutare la credibilità del ricorrente nel caso in cui lo stesso non fornisca adeguato supporto probatorio alle circostanze poste a fondamento della domanda di protezione internazionale. Tra i criteri di valutazione menzionati, la disposizione de qua contempla espressamente quello della coerenza e plausibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente – lett. c) – e quello dell’attendibilità del richiedente la protezione internazionale – lett. e).

1.4. Nell’applicare i summenzionati parametri, il Tribunale di Brescia ha, pertanto, ritenuto incoerente ed inattendibile la ricostruzione fatta da parte ricorrente stante il carattere generico ed inverosimile delle informazioni rese in relazione al presunto agguato subito, con particolare riferimento alla reazione del ricorrente al momento dell’aggressione: si era trattenuto all’interno del negozio anzichè fuggire, era riuscito a scappare nonostante le ferite riportare considerando peraltro che era caduto a terra e non si trovava ad una congrua distanza dagli aggressori – ed aveva trascorso la notte in un tombino. Facendo riferimento alle fonti internazionali, il Tribunale accertava, inoltre, le contraddizioni emerse in relazione ad un altro aspetto, non di secondaria importanza della vicenda, relativo al giorno in cui si sarebbe perfezionato l’atto delittuoso: mentre il ricorrente sosteneva che l’aggressione fosse accaduta nel giugno del 2013, le fonti internazionali consultate dal Tribunale riferivano di violenze interetniche esclusivamente occorse in data 15, 16 e 17 luglio 2013.

1.5. Alla luce di quanto esposto, risulta, quindi, che il Giudice di merito abbia fatto corretta applicazione degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, valorizzando, a tal fine, i criteri espressamente contemplati dell’inattendibilità del ricorrente e dell’incoerenza delle dichiarazioni dallo stesso rese, attraverso un apprezzamento che si sottrae al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5″ (Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, n. 21142).

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per avere il Giudice di merito violato il dovere di cooperazione istruttoria sullo stesso gravante, rigettando la richiesta di protezione sussidiaria ai sensi della lett. c) della disposizione citata, senza, tuttavia, condurre un’indagine specifica circa la zona di provenienza del ricorrente, allegando reports ritenuti inattendibili perchè fondati su notizie risalenti nel tempo.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Va osservato che, in materia di protezione internazionale, il principio dispositivo proprio del giudizio civile subisce un temperamento mediante l’espressa previsione di un c.d. dovere di cooperazione istruttoria gravante sull’organo giudicante, titolare di un ruolo attivo ed integrativo nell’istruzione della domanda, finalizzato a verificare la sussistenza delle condizioni atti a fondare il riconoscimento della protezione internazionale invocata.

2.1. L’attivazione di tale dovere di cooperazione è, tuttavia, subordinato, come chiaramente desumibile dalla lettera di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 – secondo cui il richiedente la protezione internazionale è tenuto a presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari” – al preventivo espletamento, da parte del richiedente la protezione internazionale, di un onere di allegazione, consistente in un’attività di reperimento di ogni elemento utile allo scrutinio della domanda di protezione internazionale.

2.2. Solo se, all’esito di tale attività di allegazione, risulti che il ricorrente abbia riferito circostanze precise, complete, credibili e non generiche, manifestando, in tal modo, una chiara volontà di collaborazione nell’esame della domanda, scatta il dovere di cooperazione istruttoria gravante sull’autorità giudiziaria.

2.3. Come affermato da questa Corte, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cassazione civile sez. I, 21/10/2019, n. 26728)

2.4. Nella specie, non solo il ricorrente non ha esperito il benchè minimo tentativo di allegare in maniera coerente e completa i fatti costitutivi del diritto azionato, ma ha, altresì, contestato l’attività istruttoria scrupolosamente espletata dall’organo giudicante, ritenendola insufficiente e inattendibile perchè fondata su notizie risalenti nel tempo.

2.5. La corte di merito ha fatto puntuale riferimento a numerosi reports, tra cui quelli datati 2017/2018 di Amnesty International, dell’Organizzazione Freedom House, del Departement of State degli Stati Uniti, ecc., che testimoniavano l’inesistenza di una situazione di conflitto generalizzato nella zona di provenienza del ricorrente, nè vengono indicate altre COI più recenti o aggiornate (Cassazione civile sez. I, 11/11/2019, n. 29056).

3.Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in riferimento alla forma residuale di protezione per motivi umanitari, per aver il Giudice di merito rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, senza, tuttavia, effettuare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. Come noto, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale.

3.3. L’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 – 01) alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione.

3.4. Ebbene, il Giudice territoriale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha puntualmente valutato entrambe le condizioni menzionate. In particolare, ha accertato che il ricorrente non aveva alcun problema di salute o patologie che lo rendevano vulnerabile, non svolgeva attività lavorativa stabile in Italia, nè aveva alcun legame ad eccezione della struttura di accoglienza. Quanto al paese di provenienza, escludeva la sussistenza di un’emergenza sanitaria e la violazione di diritti umani fondamentali, ovvero di “seri motivi” di carattere umanitario, il cui accertamento è presupposto indefettibile per il riconoscimento della misura citata (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/01/2020, n. 625; Cass. civ., Sez. 6 – 1, n. 25075 del 2017).

3.5. Alla luce di quanto esposto, deve quindi ritenersi inammissibile il motivo formulato da parte ricorrente, in quanto, la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali, è stata effettuata dal Tribunale che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2020

 

 

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