Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18637 del 27/07/2017


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 18637 Anno 2017
Presidente: AM BROSIO ANNAMARIA
Relatore: MARULLI MARCO

SENTENZA
sul ricorso 28609/2015 proposto da:

Banca Credito Popolare S.c.p.a., in persona del suo legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domieiliata in Roma,
Via XX Settembre n.3,

presso l’avvocato R_appazzo Antonio,

rappresentata e difesa dall’avvocato Rocco Nicola, giusta procura
a margine del ricorso;
-ricorrente contro

Frulio Vera, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tacito n.41,

Corte di Casazione – copia non ufficiale

Data pubblicazione: 27/07/2017

presso l’avvocato Patti Salvatore Lucio, che la rappresenta e
difende, giusta procura a margine del controricorso;

avverso la sentenza n. 4192/2015 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI, depositata il 28/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
16/03/2017 dal cons. MARULLI MARCO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
CAPASSO LUCIO che ha concluso per l’improcedibilita’ del ricorso,
in subordine il rigetto;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato Giuseppe Rappazzo, delega, che
ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato Salvatore Lucio Patti, che
ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA
1.1. Con atto di citazione notificato il 20.9.1999, Vera Frulio
conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Torre Annunziata la
Banca di Credito Popolare s.c.a r.I. e, sul rilievo che nel corso della
rapina avvenuta nell’ottobre del 1994 ignoti, raggiunto il caveau in
cui erano allocate le cassette di sicurezza, avevano trafugato il
contenuto costituito da gioielli e valuta della cassetta in uso ad
essa attrice, chiedeva, in ciò ravvisando i presupposti di una
responsabilità

della

banca,

la

condanna

della

medesima

risarcimento del conseguente danno stimato nella somma di

al
lire

981.000.000.
1.2. Rigettata la domanda dall’adito Tribunale, la vicenda era fatta
oggetto di rinnovato esame avanti alla Corte d’Appello di Napoli
che, accogliendo il gravame della Frulio, riformava la kontrapfa
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-controricorrente –

decisione di primo grado e condannava la banca, esperito al
riguardo il giuramento estimatorio dell’appellante, al risarcimento
del danno nella misura richiesta, maggiorandolo degli accessori di
Nell’occasione il giudice territoriale – dato previamente atto del
giudicato interno formatosi riguardo alla sancita nullità da parte del
primo giudice delle clausole limitative della responsabilità previste
dal contratto, non avendo detta statuizione infatti formato oggetto
di appello dalla banca neppure in via condizionata – ha ritenuto di
censurare, nel solco della prova liberatoria richiesta dall’art. 1839
cod. civ., l’assunto risultante dalla decisione impugnata nella
considerazione che «il

giudizio circa

le misure di

predisposte dalla banca non va formulato

sicurezza

ex ante, ma proprio ex

post e non avuto riguardo all’astratta idoneità dei sistemi di

controllo, ma, nello specifico, a come questi abbiano in concreto
operato,

essendo

l’istituto

tenuto

a

garantire

il

risultato

dell’integrità della cassetta». Riesaminando perciò in dettaglio le
risultanze istruttorie acquisite nel corso del processo ed evidenziati
i profili di colpa in capo all’ente creditizio («i sistemi di allarme al
momento dell’irruzione erano disattivati»; «la porta blindata del
caveau [ … ] era sistematicamente lasciata aperta»; «era stato
possibile agire esternamente sulla porta secondaria in maniera del
tutto indisturbata»; «operare addirittura dall’interno dell’istituto»,
ecc.),

nel

contempo

reputando

non

conducenti

le

modalità

dell’evento («con evidenza in idonee a giustificare il fortuito»), il
giudicante ha concluso per ritenere «provata la responsabilità
dell’istituto bancario» ed
l’ammontare

del

danno

ha
in

quindi
via

proceduto a quantificare

presuntiva

sulla

base

della

«dettagliata denuncia delle cose che si trovavano all’interno della

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legge e delle spese di lite.

cassetta» sporta dalla parte nell’immediatezza del fatto, delle
«deposizioni testimoniali raccolte» e, non ultimo, sulla base degli
esiti del deferito giuramento estimatorio.
soccombente sulla base di sette motivi, ai quali resiste con
controricorso e memoria ex art. 378 cod. proc. civ. la parte
intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso – alla cui disamina, nel suo
complesso, se non fanno pregiudizialmente scudo le sollevate
eccezioni in ordine alla formulazione dei motivi di diritto, alla
mancata esposizione dei fatti di causa e al
della

autosufficienza,

la

prima,

perché

difetto del requisito
le

censure

risultano

intelligibili, la seconda, perché l’eccezione è infondata (cfr. pagg. 24 del ricorso), la terza, perché l’eccezione è del tutto generica,
risulta viceversa preclusiva la pure eccepita lacunosità dei motivi
denuncianti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la loro
illustrazione è con riguardo all’omissione lamentata priva di ogni
esplicitazione

argomentativa

la

banca

ricorrente

addebita

all’impugnata decisione la violazione e falsa applicazione per gli
effetti dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. degli artt. 1229,
1218, 1322 e 1372 cod. civ. con riguardo alla clausola limitativa
della responsabilità, censurandosi le conclusioni che il giudice
d’appello aveva tratto dal rilevare il giudicato interno formatosi sul
punto, vuoi perché nella specie «il Tribunale aveva correttamente
ritenuto insussistente l’ipotesi di colpa grave o dolo della ricorrente,
così allontanandosi anche per tale profilo dall’art. 1229 cod. civ.»
vuoi perché «la banca aveva implicitamente impugnato a~che tale

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1.3. Avverso detta decisione ricorre ora a questa Corte la banca

capo della sentenza del Tribunale».
1.2. Parimenti con il terzo motivo di ricorso la banca ricorrente
deduce per gli effetti dell’art. 360, comma l, n. 3, cod. proc. civ. la
cod.

civ.,

risultando invero viziata l’affermazione del giudice

d’appello secondo cui la banca non avrebbe fornito nella specie la
prova del caso fortuito, giacché, a fronte degli obblighi assunti con
la conclusione del contratto relativo alla cassetta di sicurezza e alla
luce delle risultanze istruttorie emerse in corso di causa, segnalanti
in particolare l’efferatezza del fatto criminoso, il decidente avrebbe
dovuto

trarre

«l’inevitabile

conseguenza

dell’assenza

di

responsabilità della banca» in quanto «le indicate circostanze erano
idonee a rappresentare il fatto eccezionale integrante il caso
fortuito non prevedibile».
1.3.

Entrambi

motivi

che

possono

essere

esaminati

congiuntamente in quanto intesi ad escludere la responsabilità della
banca per difetto di colpa grave – si sottraggono al proposto
scrutinio di legittimità e vanno perciò disattesi.
1.4. Secondo il modello di responsabilità delineato dall’art. 1839
cod. civ. la banca, che presta il servizio di cassette di sicurezza
risponde dell’obbligazione di custodia ed idoneità dei locali e di
integrità delle cassette assunto con la conclusione del contratto nei
soli limiti in cui l’inadempimento della predetta obbligazione non sia
imputabile al caso fortuito. Posto che per costante giurisprudenza
di questa Corte non costituisce – sotto il profilo casistica suggerito
dalla fattispecie –

caso fortuito il furto, «in quanto è evento

prevedibile in considerazione della natura della prestazione dedotta
in contratto» (Cass. Sez. I, 27/12/2011, n. 28835), l’accertamento
della responsabilità della banca in caso di inadempimento va

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violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1839, 1218 e 2697

condotto

alla

stregua

dagli

ordinari

canoni

di

giudizio

che

presiedono a11•accertamento della responsabilità contrattuale, di
modo che, applicandosi l•art. 1218 cod. civ. – che «è norma
in forza della quale la regola della presunzione della responsabilità
non trova motivo di essere derogata» (Cass., Sez. III, 22/12/2011,
n.

grava

28314)

sulla

banca

«l•onere

!•inadempimento dell’obbligazione di custodia

dimostrare

che

è ascrivibile ad

impossibilità della prestazione ad essa non imputabile, non essendo
sufficiente ad escludere la colpa la prova generica della sua
diligenza» (Cass., Sez. I, 27/12/2011, n. 28835). Su questo
terreno

si

innesta

peraltro,

come

la

prassi

insegna

ormai

abitualmente, la normale previsione, in sede di predisposizione
delle condizioni di contratto regolanti il servizio, di una clausola
limitativa della responsabilità della banca nel caso in cui il valore
delle cose immesse dal cliente nella cassetta di sicurezza ecceda un
determinato limite. E• questa una norma pattizia che ricade,
secondo quanto più volte ribadito da questa Corte (Cass., Sez. III,

30/09/2009, n. 20948), sotto il vigore dell•art. 1229, comma l,
cod. civ., secondo cui «è nullo qualsiasi patto che escluda o limiti
preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa
grave». Ciò preclude alla banca di valersi della predetta limitazione
di

responsabilità

laddove

!•inadempimento dell’obbligazione di

custodia sorta a suo carico sia dovuta a dolo o a colpa grave, ma
non le impedisce di farsene scudo nell.ipotesi in cui, anche nel caso
di furto, !•inadempimento sia cagionato da colpa lieve, fermo che
anche in tale ipotesi, quando non sia invocabile il fortuito più
generalmente

liberatorio,

!•accertamento

della

responsabilità

gravante sulla banca segue le vie ordinarie e si renqe quindi

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generale del regime processuale della responsabilità contrattuale,

applicabile l’art. 1218 cod. civ. ovvero anche in tal caso «la
questione della distribuzione dell’onere della prova non trova
ragione di essere prospettata in termini diversi rispetto alla
regola

l’inadempimento

delle

obbligazioni

contrattuali» (Cass., Sez. I, 5/04/2005, n. 7081), con l’ovvio
corollario che è pur sempre onere della banca, che voglia opporre
la clausola di esonero, nei limiti in cui ne residua l’apponibilità fuori
dai

casi

di

dolo

o colpa

grave,

provare

che

nella

specie

l’inadempimento ad essa imputato sia dovuto solo a colpa lieve.
1.5.1. Ciò detto, viene naturale osservare nel solco di quanto
appena premesso circa le obiezioni che la ricorrente muove alla
sentenza impugnata, per aver ritenuto dirimente il giudicato
formatosi in ordine alla nullità della clausola limitativa della
responsabilità e per aver escluso la ricorrenza quale fattispecie
liberatoria del caso fortuito, che nell’uno e nell’altro caso la
questione posta attiene fondamentalmente ad un problema di
valutazione della prove. Non è per vero disagevole, seguendo per
un momento il filo delle considerazioni critiche sviluppate dalla
ricorrente, ritenere, in relazione alla prima lagnanza, che il giudice
d’appello, quand’anche avesse correttamente ravvisato l’esistenza
del

giudicato,

avrebbe

dovuto

tuttavia

valutare

la

pretesa

dell’appellata alla stregua del metro giuridico della colpa lieve, onde
nello scrutinare le risultanze probatorie scaturite dall’istruttoria
processuale non avrebbe potuto esimersi dal considerare apponibile
la clausola di esonero, le dette risultanze probatorie portando
invero a concludere che l’inadempimento della banca fosse nella
specie imputabile a colpa lieve; così come in relazione alla seconda,
dove la critica al ragionamento probatorio compiuto dal giudice
d’appello si fa più diretta, che il richiamo alle circostanze di ;fatto

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che

disciplina

emerse nel corso del processo, se debitamente delibate, avrebbe
dovuto condurre il decidente a declinare la richiesta declaratoria di
responsabilità dell’ente creditizio essendo provato che il fatto era
1.5.2. Ora, anche senza rammentare che sotto questo versante
l’accertamento richiesto al giudice di merito deve esercitarsi in
maniera coerente rispetto alla funzione tipica del contratto, che
consiste nel mettere a disposizione una complessa struttura
materiale, tecnica ed organizzativa idonea a realizzare condizioni di
sicurezza che al cliente sono ordinariamente precluse nella sua
sfera privata ed in ogni caso che all’esito di questo procedimento
non è sufficiente ad escludere la colpa della banca «la prova
generica della sua diligenza» (Cass., Sez. I, 27/11/2011, n.
28835),

il

giudizio

conclusivamente

espresso

nella

sentenza

impugnata allorché, accertando e dichiarando la responsabilità
della banca, ha escluso sia che l’evento lamentato dall’appellata
fosse fortuito sia, vieppiù, che la colpa della banca fosse lieve e che
fosse perciò invocabile sul piano del tantudem risarcitorio la
clausola di esonero, insiste segnatamente sugli aspetti fattuali della
vicenda ed ha ad oggetto – come la Corte partenopea si dà cura di
lumeggiare richiamandosi diffusamente alle risultanze del processo
– un ampio ventaglio di circostanze incidenti sugli aspetti spaziotemporali dell’evento e sui profili della condotta che nei limiti delle
censure qui sollevate non sono suscettibili di rimeditazione da parte
di questa Corte non essendo essa giudice del fatto sostanziale e
non potendo sostituire perciò il proprio giudizio a quello espresso
dal giudice di merito.
2.1. Il secondo motivo di ricorso allega per gli effetti dell’art. 360,
comma 1, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa appliçézione

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nella specie attribuibile alla fortuità del caso.

dell’art. 1225 cod. civ. in cui il giudice d’appello sarebbe incorso
poiché,

pur qualificando

la

responsabilità

della

banca

come

contrattuale, ha tuttavia omesso «di contenere la condanna ai soli
disposto dell’art. 1225 cod. civ. ».
2.2. Il motivo è infondato.
2.3. Come questa Corte ha già precisato il contratto previsto
dall’art. 1839 cod. civ. è un contratto a prestazioni corrispettive
con il quale la banca si obbliga, verso il pagamento di un canone, a
mettere a disposizione del cliente locali idonei all’espletamento del
servizio delle cassette di sicurezza ed a provvedere alla custodia
degli stessi ed alla integrità della cassetta, a prescindere dalla
natura e dal valore degli oggetti immessi dal cliente – il quale ha
diritto di mantenerne segreto il contenuto – elementi questi ultimi
che restano estranei alle obbligazioni contrattuali delle parti (Cass.,
Sez. U., 23/02/1995, 2067). In questa cornice, le prestazioni cui la
banca è tenuta non subiscono in linea di principio variazioni in
dipendenza del valore degli oggetti immessi nella cassetta e,
poiché non è configurabile in capo al cliente una violazione del
dovere di buona fede per il solo fatto che egli abbia omesso di
informare la banca in ordine ai beni immessi e al loro valore, la
prevedibilità dei danni cui la banca può essere chiamata a
rispondere in caso di inadempimento va correlata unicamente alle
obbligazioni da essa assunte con la conclusione del contratto, a
nulla

rilevando perciò il fatto che sia

mancata

una siffatta

comunicazione da parte del cliente non essendo essa suscettibile,
in quanto estranea all’oggetto del contratto,

di circoscrivere

l’obbligo risarcitorio della banca sotto il profilo della imprevedibilità
del danno, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1225 cod. civ. (C~ss.,

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danni prevedibili, con ciò ponendosi in aperta violazione del

Sez. I, 29/07/2004, n. 14462).
2.4. Ciò posto, a diversa conclusione non è possibile pervenire
neppure in presenza di una clausola che contempli la concessione
eccedente un determinato ammontare, facendo carico al cliente di
non inserirvi beni di valore complessivamente superiore, e che,
correlativamente, neghi oltre detto ammontare la responsabilità
della banca per la perdita dei beni medesimi, lasciando sul cliente
gli effetti pregiudizievoli ulteriori, atteso che una clausola siffatta,
ad onta del tenore, «integra un patto limitativo non dell’oggetto del
contratto, ma del debito risarcitorio della banca, in quanto, a fronte
dell’inadempimento di essa all’obbligo di tutelare il contenuto della
cassetta (obbligo svincolato da quel valore, alla stregua della
segretezza

delle

operazioni

dell’utente),

fissa

un

massimale

all’entità del danno dovuto in dipendenza dell’inadempimento
stesso» e ricade perciò nell’ambito previsionale dell’art. 1229,
comma l, cod. civ. (Cass., Sez. U., 1/07/1994, n. 6225), non
diversamente, del resto, da ciò che si verifica in presenza di una
clausola direttamente !imitatrice della responsabilità del debitore
per i casi di dolo o colpa, giacché in tal caso, operando essa sul
piano della condotta e non su quello dell’evento, va infatti escluso
che «tale clausola possa influire sulla limitazione quantitativa del
danno risarcibile sotto il profilo della prevedibilità del danno stesso
(art. 1225 cod. civ.)» (Cass., Sez. III, 30/09/2009, n. 20948).
3.1. Con il quarto motivo di ricorso la banca ricorrente si duole per
gli effetti dell’art. 360, comma l, n. 3, cod. proc. civ. della
violazione e falsa applicazione degli artt. 1839, 2697, 2727 e 2729
cod. civ. con riguardo alla prova dell’entità del danno, della
violazione e falsa applicazione degli artt. 1839 cod. civ. e 115 cod.

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dell’uso della cassetta per la custodia di cose di valore non

proc. civ. con riguardo all’obbligo di segretezza ed al principio di
non

contestazione,

vero,

infatti,

che

sebbene

fosse

onere

dell’utente provare il danno subito, nella specie «la resistente non
rilevando sotto il profilo della coerenza del procedimento presuntivo
la dettagliata denuncia all’autorità di polizia ovvero le prove
testimoniali assunte al riguardo, non provando l’una e le altre
l’immissione nella cassetta di sicurezza dei gioielli sottratti al
momento della rapina, così come parimenti privo di rilevanza
doveva ritenersi il fatto che il preteso contenuto della cassetta di
sicurezza non avesse formato oggetto di contestazione da parte di
essa deducente atteso che la banca per la riservatezza del servizio,
ignora e deve ignorare che cosa il cliente ripone nella cassetta.
3.2. Il motivo è infondato in relazione a ciascuno dei profili che ne
sono oggetto.
3.3.1. Laddove la censura sviluppata in relazione alla decisività
della prova presuntiva divisata dal giudice d’appello mette le sue
radici nel denunciare un errore di diritto – giacché si è palesemente
fuori

da

questo

perimetro

laddove

la

censura

attiene

alla

concludenza in fatto degli elementi indiziari accolti dal giudice
d’appello – la sua infondatezza discende de plano dal contrario
opinamento di questa Corte secondo cui «nella prova del danno
determinato dalla sottrazione dei beni depositati in cassetta di
sicurezza, è ammissibile il ricorso a presunzioni semplici ed a prove
testimoniali» (Cass., Sez. III, 25/11/2008, n. 28067, in Giur. It.,
2009, 10, 2190), risultando, anzi, esso doveroso – tanto da
giustificare in caso di omissione non adeguatamente motivata la
cassazione della relativa decisione – trattandosi di danni dei quali,
come si notato nell’occasione, è estremamente difficile, se non

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ha assolto l’onere probatorio su di essa gravante», a nulla

impossibile fornire la prova storica.
3.3.2. Non coglie viceversa nel segno il rilievo riguardante la
violazione del principio di non contestazione, atteso che il giudice
riferimento all’attività probatoria cui sono chiamate le parti ed in
relazione alla quale si renda applicabile l’art. 115 cod. proc. civ. e
risulti, se del caso, censurabile l’errata applicazione che di esso
faccia il giudice di merito, ma nell’ambito della dinamica propria del
giudizio

presuntivo,

osservando

le

che

circostanze

addotte

dall’appellata in funzione della prova indiziaria del contenuto della
cassetta non avevano trovato ex adverso alcuna replica atta a
comprometterne la valenza probatoria e a precludere che la prova
del

fatto

dedotto

fosse

così

data

a

mezzo

di

un

idoneo

procedimento critico.
4.1. Il quinto motivo di ricorso denuncia per gli effetti dell’art. 360,
comma 1, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione
degli artt. 2736, n. 2, 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 241
cod. proc. civ. con riguardo all’onere della prova e dell’art. 115 cod.
proc. civ. con riguardo al principio di non contestazione, avendo il
giudice d’appello deferito, confondendo nella specie il giuramento
suppletorio con il giuramento estimatorio, alla parte quest’ultimo,
sebbene il diverso convincimento sul punto del giudice di prime
cure non fosse «sindacabile» alla stregua delle regole in materia di
onere della prova, non «esistesse» la semipiena prova richiesta al
riguardo

e fossero

stati

ritenuti

erroneamente

«esistenti»

i

presupposti per applicare l’art. 241 cod. proc. civ., a nulla rilevando
in contrario che la banca non avesse contestato il contenuto della
perizia estimativa.

.

4.2. Il motivo è affetto da pregiudiziale inammissibilità in quinto

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d’appello ha modulato il proprio giudizio in proposito non già con

inteso a sollecitare una rivisitazione delle circostanze di fatto in
considerazioni delle quali il giudice territoriale ha ritenuto di
deferire all’appellata il giuramento estimatorio.
precisato

di

recente

ravvisandone

l’esperibilità

ai

fini

di

determinare il tantundem risarcitorio proprio in relazione ad una
controversia in cui in speculare coincidenza con il caso oggi in
esame era in discussione, oltre al numero ed alla qualità, anche il
valore dei gioielli custoditi all’interno di una cassetta di sicurezza e
trafugati durante una rapina (Cass., Sez. I, 15/03/2016, n. 5090) la deferibilità del giuramento estimatorio non può essere messa in
dubbio quando – come qui e come ricorda il citato precedente – si
tratta di «stabilire il valore di una cosa perduta o perita a causa
dell’inadempimento

di

un’obbligazione

strumentale

alla

sua

conservazione», le obiezioni che la banca ricorrente muove con il
motivo in disamina alla sentenza impugnata – in disparte dallo
scambievole impiego di cui sono fatti oggetto nell’illustrazione del
motivo gli istituti del giuramento suppletorio e del giuramento
estimatorio – attengono alla sussistenza dei presupposti in base ai
quali quest’ultimo può essere deferito, non potendo infatti, a
giudizio della deducente, desumersi la prova del possesso dei beni
e della presenza degli stessi nella cassetta di sicurezza al momento
della rapina sulla base della perizia estimativa versata in atti e del
fatto che sia mancata di essa ogni contestazione da parte sua.
In questi termini però la sollevata censura, pur prospettando
formalmente una violazione di legge, investe un profilo fattuale
della vicenda, in quanto chiede che la concludenza degli elementi
presuntivi, in guisa dei quali il giudice d’appello ha ritenuto
raggiunta la prova in questione ed ha ritenuto di disporre sulla base

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Per vero, premesso che come questa Corte ha nuovamente

di ciò, onde colmare il deficit probatorio risultante al riguardo, il
mezzo istruttorio del giuramento estimatorio, sia fatta oggetto di
un rinnovato apprezzamento da parte di questa Corte e che dunque
merito nel riformulare il giudizio sul fatto sostanziale che solo a lui
compete stilare e che non è prerogativa del giudizio di legittimità.
5.1. Con il sesto motivo di ricorso la banca, per gli effetti dell’art.
360, comma l, n. 3, cod. proc. civ., lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1227 e 1224 cod. civ. riguardo al presunto
maggior

danno,

nonché

l’omesso

esame

della

«(presunta)

sottraziont di contanti in valuta estera» avendo il giudice d’appello
proceduto alla liquidazione degli accessori del credito risarcitorio in
ragione della ritenuta natura contrattuale della responsabilità della
banca e della ritenuta natura di valore della relativa obbligazione e
dunque dell’automatica rivalutazione della somma oggetto di
condanna anche con riferimento al danno rappresentato dalla
sottrazione di dollari pari ad euro 8500,00, e ciò sebbene,
costituendo

quest’ultima

un’obbligazione

pecuniaria,

la

mera

domanda di rivalutazione concernente anche quest’ultima «andava
rigettata» non avendo l’attrice dedotto né tantomeno provato
alcunché al riguardo.
5. 2. Il motivo è infondato.
Il

credito

risarcitorio

da

inadempimento

contrattuale

genera

notoriamente un obbligazione di valore, sicché il giudice deve tener
conto, anche di ufficio, della svalutazione monetaria verificatasi fino
alla data della relativa decisione, perché l’integrale ed effettiva
reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione del
danneggiato in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato
l’evento dannoso, alla quale il risarcimento è preordinato, può

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la Corte procedendo in questo senso si sostituisca al giudice di

essere conseguita solo tenendo conto di tale svalutazione (Cass.,
Sez. III, 27/06/2016, n. 13225; Cass., Sez. I, 10/03/2010, n.
5843; Cass., Sez. III, 01/12/2003, n. 18299).
rivalutazione del credito scaturito in favore dell’appellata anche con
riferimento al denaro sottratto, dovendo questo intendersi qui
nella sua veste di bene giuridico e non di equivalente pecuniario.
6.1. Il settimo motivo di ricorso deduce per gli effetti dell’art. 360,
comma l, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione
degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. in combinazione con l’art. 329
cod. proc. civ., atteso che il giudice d’appello, condannando la
deducente pure alla rifusione delle spese del giudizio di primo
grado, avrebbe violato le norme richiamate in quanto il giudice di
primo grado aveva disposto la compensazione delle spese di
giudizio e «tale capo della sentenza non è stato fatto oggetto di
impugnazione da parte dell’odierna resistente nel precedente grado
di giudizio».
6.2. Il motivo è infondato.
Va qui invero ribadito, a conferma della correttezza del deliberato
d’appello anche in

parte qua, il convincimento ancora di recente

espresso da questa Corte giusta il quale «in materia di liquidazione
delle spese giudiziali, il giudice d’appello, mentre nel caso di rigetto
del gravame non può, in mancanza di uno specifico motivo di
impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di
primo grado, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza
impugnata, è tenuto a provvedere, anche d’ufficio, ad un nuovo
regolamento di dette spese alla stregua dell’esito complessivo della
lite, atteso che, in base al principio di cui all’art. 336 c.p.c., la
riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione

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Corte di Casazione – copia non ufficiale

Rettamente perciò il giudice d’appello ha proceduto ad accordare la

del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese» (Cass., Sez.
VI-III, 24/01/2017, n. 1775).
7. Il ricorso va dunque conclusivamente respinto.
Ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-

quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio che liquida in euro 10200,00, di cui
euro 200,00 per esborsi, oltre al 15°/o per spese generali ed
accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater,
dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il
giorno 16.3.2017.

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8. Le spese seguono la soccombenza.

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