Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1863 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. II, 28/01/2021, (ud. 11/09/2020, dep. 28/01/2021), n.1863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23484/2019 proposto da:

Z.S., ammesso al patrocinio gratuito a spese dello Stato

rappresentato e difeso dall’Avv. Costantino Nardella, ed

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Alessandra

Della Monaca, in Roma, in Via Cattaro, 12;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro p.t.

istituzionalmente rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato ed elettivamente domiciliato ex lege presso la sede di

questa, in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– resistente –

avverso il decreto n. 3430/2019 del Tribunale di Bari pubblicato il

30/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/09/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dall’impugnazione che il sig. Z.S., cittadino (OMISSIS), ha presentato avverso il provvedimento di diniego reso dalla Commissione territoriale competente per il riconoscimento della protezione internazionale di Foggia;

– il ricorrente ha impugnato il predetto rigetto chiedendo al Tribunale di Bari di riconoscere lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria e, in subordine, la protezione umanitaria;

– a sostegno delle richieste il ricorrente ha dichiarato di essere pakistano, originario del distretto di (OMISSIS), di professare la religione cristiana protestante pentecostale e di essere fuggito dal Pakistan in seguito ad alcune aggressioni subite a causa della religione professata, aggressioni, peraltro, denunciate alla polizia ma respinte con l’accusa di blasfemia nei suoi confronti;

– il Tribunale di Bari ha negato al ricorrente il riconoscimento della protezione internazionale in ognuna delle forme richieste;

– la cassazione del provvedimento è domandata con ricorso affidato a tre motivi;

– l’intimato Ministero si è costituito solo ai fini dell’eventuale discussione orale sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, secondo periodo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia nullità del decreto impugnato per violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per omessa motivazione ovvero per motivazione inesistente/apparente;

– secondo il ricorrente, il tribunale non avrebbe proceduto ad effettuare un esame effettivo della storia personale del richiedente la protezione, limitandosi a un giudizio generico sulla mancata credibilità delle dichiarazioni;

– il motivo è inammissibile;

– ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (cfr. Cass. n. 9105/2017; id. n. 13248/2020);

– nel caso di specie il giudice ha motivato esplicitamente ed esaustivamente sulla non credibilità della vicenda narrata e sull’omessa specificazione di elementi obiettivi quali tempi, luoghi e persone coinvolte nei fatti narrati, consentendo di conoscere a chi legge le ragioni alla base della sua decisione;

– con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, comma 2, lett. b);

– ad avviso del ricorrente, il tribunale avrebbe emesso una decisione contraddittoria laddove nell’ipotizzare attendibili i fatti narrati ha rilevato l’insussistenza dei presupposti per la protezione;

– il motivo è inammissibile;

– nessuna contraddizione si può rilevare nella motivazione del decreto impugnato, posto che il tribunale ha rafforzato il diniego attraverso la constatazione aggiuntiva che anche a voler ritenere, per mera ipotesi, attendibili i fatti narrati, gli stessi non potrebbero essere ricondotti nell’ambito della protezione non ravvisandosi situazioni di persecuzione, intese come vessazione o repressione violenta (cfr. pagg. 3 e 4 del decreto impugnato);

– con il terzo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza per violazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3;

– secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe errato nel respingere la richiesta di protezione umanitaria laddove avrebbe omesso di fare riferimento alla documentazione prodotta e relativa ai numerosi attacchi subiti dalla comunità cristiana del Pakistan;

– il motivo è inammissibile;

– il rigetto della protezione umanitaria è fondato, nel caso di specie, sull’insussistenza di un’effettiva lesione di diritti fondamentali del ricorrente così come sull’inesistenza di una situazione denotante vulnerabilità;

– la situazione descritta nelle allegazioni del ricorrente non può rilevare con riferimento all’accoglimento della protezione umanitaria, poichè gli episodi di persecuzione religiosa, se accertati, costituirebbero, semmai, il presupposto del riconoscimento dello status di rifugiato e non della protezione umanitaria, integrando la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, lett. b);

– atteso l’esito di tutti i motivi, il ricorso va dichiarato inammissibile;

– nulla va disposto sulle spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato Ministero;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

 

 

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