Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18629 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1009-2018 proposto da:

CATTOLICA SERVICES SCPA, CATTOLICA DI ASSICURAZIONE SOCIETA’

COOPERATIVA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro

tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CRESCENZIO 91,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che le rappresenta

e difende unitamente agli avvocati ALESSIA VIGNOLI, RAFFAELLO LUPI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21406/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 15/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI

ROBERTO GIOVANNI.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21406, pubblicata il 15.9.2017, in accoglimento del primo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, cassava la sentenza resa dalla CTR Veneto e, decidendo nel merito, rigettava gli originari ricorsi proposti dalla Cattolica Service s.c.p.a. avverso gli avvisi di accertamento con i quali era stata contestata per l’anno 2004 l’indebita fatturazione con esenzione IVA ai sensi della L. n. 133 del 1999, art. 6, di prestazioni di gestione dei sinistri, ricezione delle denunce e liquidazione dei danni effettuate nei confronti della capogruppo Cattolica Assicurazioni, compensando le spese del giudizio.

Riteneva, in particolare, il giudice di legittimità che la società – non esercente attività di assicurazione – avesse espletato prestazione accessoria (di liquidazione dei sinistri) rispetto a quella assicurativa svolta dalla società consolidante, effettuandola in assenza di rapporto contrattuale con l’assicurato e senza che tale esternalizzazione fosse legata al fatto di ricercare potenziali clienti e metterli in relazione con l’impresa di assicurazione in vista della conclusione di contratti di assicurazione. Da ciò conseguiva l’esclusione dell’esenzione.

La Cattolica Service s.c.p.a. ha proposto ricorso per revocazione affidato ad un motivo, al quale ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

La ricorrente ha depositato due memorie, l’ultima delle quali in data 6.7.2020.

La ricorrente prospetta l’errore di fatto nel quale sarebbe incorsa la Corte di legittimità per avere erroneamente supposto l’inesistenza di un fatto – rappresentato dalla appartenenza della contribuente al gruppo Cattolica Assicurazioni – che invece sarebbe stato sussistente, circostanza dalla quale era derivato il mancato riconoscimento dell’esenzione fondata sulla rilevanza del gruppo ai fini IVA, per di più determinandosi ad una soluzione fondata su una normativa diversa da quella applicata. Secondo la ricorrente il giudice di legittimità, pur avendo inizialmente inquadrato in modo corretto la questione relativa all’esenzione spettante a società facente parte di gruppo assicurativo alla stregua della L. n. 133 del 1999, art. 6, avrebbe poi deciso la controversia facendo applicazione di una disciplina normativa diversa da quella pertinente (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 2), peraltro riferendosi al tema di operazioni accessorie, quando invece il tema del contendere era dato da operazioni ausiliarie.

Il motivo è inammissibile.

Giova premettere che questa Corte ha chiarito che “l’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti al suo giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali” – Cass. n. 17443/2008 -, ancora aggiungendo che “in tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione configurabile solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perchè in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso” – Cass. n. 10466/2011 -. Ne consegue che deve escludersi che un motivo di ricorso sia suscettibile di esse considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sè insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. (Cass. n. 5221/2009, Cass. n. 14937/2017, Cass. 03/04/2017 n. 8615, Cass. n. 20164/2018).

Orbene, alla stregua dei principi sopra esposti, le censure revocatorie esposte dalla ricorrente involgono degli asseriti errores in iudicando nei quali sarebbe incorso il giudice di legittimità, per avere questi applicato una disciplina normativa differente rispetto a quella (a suo dire) pertinente rispetto al caso, pur inizialmente inquadrato correttamente dalla sentenza impugnata.

Ed invero, il carattere infragruppo della società emerge in maniera inconfutabile fin dalla prima parte dello svolgimento del processo della sentenza impugnata, sicchè la questione prospettata dalla parte ricorrente attiene, per come già esposto, all’erronea applicazione giuridica di quadro normativo ad una vicenda che, secondo l’assunto della ricorrente stessa, non avrebbe invece dovuto trovare applicazione. Ma tale prospettazione tralascia adeguatamente di considerare i punti 4 e 4.1 della motivazione della sentenza nei quali la Corte ha inquadrato correttamente il tema di indagine, come la stessa ricorrente riconosce anche in memoria, ma ha anche fatto riferimento al contenuto della L. n. 133 del 1999, art. 6, commi 1 e 3, lett. a), rilevando che la citata disposizione prevede che alle prestazioni di servizi rese a società del gruppo assicurativo da altra società del gruppo medesimo controllata, controllante o controllata dalla stessa controllante, ai sensi dell’art. 2359 c.c. si applica l’esenzione IVA prevista per le prestazioni di servizi rese nell’ambito delle attività di carattere ausiliario di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 59, comma 1, lett. c). Ciò che conferma ulteriormente il convincimento che la censura involga un errore valutativo da parte del giudice di legittimità che non rientra nel cono d’ombra del giudizio di revocazione delle sentenze rese dalla Corte di Cassazione.

Tanto è dunque sufficiente per escludere l’esistenza di un errore di fatto da parte del giudice di legittimità, ponendo il ricorrente in discussione, con tutte le censure, l’attività valutativa da questi compiuta e per superare anche i rilievi difensivi esposti dalla ricorrente nella seconda memoria già richiamata in premessa.

Il ricorso è pertanto inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza. Si dà atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore della controricorrente in Euro 20.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15 % dei compensi.

Dà atto della sussistenza, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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