Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18625 del 12/08/2010

Cassazione civile sez. II, 12/08/2010, (ud. 06/05/2010, dep. 12/08/2010), n.18625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7025-2005 proposto da:

B.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 133, presso lo studio dell’avvocato SIMEONE

GIULIO, rappresentato e difeso dall’avvocato LAZZARONE FRANCO;

B.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SCOTT 62, presso lo studio dell’avvocato POLVERINI ENRICO,

rappresentato e difeso dagli avvocati CORRADINI PIERLUIGI per procura

notarile rep. 30.077 del 5/11/2005 notaio GIANLUCA NAPOLEONE, FRANCO

LAZZARONE;

– ricorrenti –

e contro

BO.BR., BO.VI. (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 10658-2005 proposto da:

BO.VI. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FLAVIO DOMIZIANO 9, presso lo studio dell’avvocato MILANA

UGO, rappresentato e difeso dall’avvocato SENNI LUIGI;

– controricorrente ricorrente incidentale –

nonchè contro B.M., B.V., BO.BR.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 846/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/05/2010 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato CORRADINI Pierluigi, difensore del resistente che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE EDUARDO VITTORIO, che ha concluso per rigetto dei

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Deceduto nel 1992 B.F., due dei suoi figli, B. M. e B.V., agivano nel 1994 davanti al tribunale di Civitavecchia, chiedendo, secondo quanto riferisce la sentenza d’appello, la riduzione della donazione della nuda proprietà di un appartamento fatta nel 1986 all’altro figlio Bo.Vi., in quanto lesiva della loro quota di legittima.

Analoga controversia Bo.Vi. promuoveva nel febbraio 1995, lamentando la simulazione della compravendita della nuda proprietà di altro appartamento, trasferito nel 1990 dal padre ai fratelli B.M. e B.V..

Si costituiva in giudizio nella prima causa, successivamente riunita all’altra, Bo.Br., fratello unilaterale dei primi tre contendenti, lamentando di essere legittimario preterito e aderendo alla richiesta di ricostruire l’asse per ottenere la quota spettategli.

Il tribunale adito accoglieva tutte le domande con sentenza dell’8 maggio 2001.

Rimetteva al definitivo la formazione delle quote.

La Corte d’appello di Roma il 17 febbraio 2004 respingeva gli appelli proposti dagli attori delle due cause riunite.

Affermava che la simulazione della donazione fatta a B.M. e B.V. era stata adeguatamente motivata dal giudice di primo grado.

Riteneva che, contrariamente a quanto affermato dall’appellante incidentale Bo.Vi., l’azione di riduzione fosse stata ritualmente proposta dagli altri fratelli e fosse fondata.

A tal fine:

a) negava che l’atto in favore di Bo.Vi. fosse qualificabile come donazione secondo gli usi ex art. 770 c.c., comma 2;

b) chiariva che la qualificazione come donazione remuneratoria, proposta dallo stesso appellante incidentale, non valeva a sottrarre la disposizione dalle regole della riduzione in caso di lesione di legittima.

B.M. e B.V. si dolgono di questa sentenza con due motivi di ricorso per cassazione.

Bo.Vi. ha resistito e ha proposto ricorso incidentale.

Bo.Br. è rimasto intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Il primo motivo del ricorso principale lamenta violazione dell’art. 2697 c.c..

Deduce che la Corte d’appello avrebbe stravolto i principi in tema di onere probatorio, addebitando ai ricorrenti di non aver dimostrato il pagamento dell’immobile, e così applicando la regola secondo la quale avrebbe “dovuto essere il convenuto a fornire la prova della non simulazione del suo atto”.

La censura è manifestamente infondata: la sentenza impugnata si è ben guardata dallo stravolgere la disciplina dell’onere probatorio in materia; ha infatti negato che la simulazione fosse rimasta “sfornita di prova” e ha ricordato che il tribunale aveva indicato una serie di argomenti, rilevati peraltro da Bo.Vi..

Ha sottolineato, ad ulteriore conforto, che gli appellanti (oggi ricorrenti) non erano riusciti a dimostrare “alcun reale passaggio di denaro”, lasciando così “confermata la gratuità del negozio di che trattasi”.

I ricorrenti censurano detta motivazione perchè carente o contraddittoria.

Anche questa critica è infondata, giacchè, come si è detto, la corte territoriale ha vagliato “la logicità” degli argomenti svolti dal primo giudice e solo in quanto li ha ritenuti congrui e atti, pur fondandosi su presunzioni, a offrire prova della simulazione ha respinto il gravame.

Vero è che la sentenza impugnata non ha ripercorso passo passo la motivazione del primo giudice, ma a ciò non era tenuta. La giurisprudenza di legittimità insegna infatti che la motivazione della sentenza del giudice di appello che contenga espliciti riferimenti alla pronuncia di primo grado, facendone proprie le argomentazioni, è da ritenersi legittima purchè risulti appagante e corretto il percorso argomentativo desumibile attraverso l’integrazione della parte motiva delle due sentenze (Cass. 3636/07;

22801/09).

E’ quindi legittima la motivazione “per relationem” della sentenza pronunciata in sede di gravame, purchè il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti.

La laconicità della motivazione adottata è censurabile solo se questa sia formulata in termini di mera adesione e non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 15483/082268/06).

Le motivazioni svolte sono invece ineccepibili, atteso che il rilievo relativo alla mancata prova del pagamento da parte dell’acquirente nella compravendita simulata era argomento coerente con gli altri, condivisi per relationem, offrendo la possibilità di comprendere che era stato seguito un percorso logico rigoroso e congruo.

Parte ricorrente avrebbe dovuto quindi censurare la motivazione quale risultante dagli argomenti esplicitati e da quelli comunque fatti propri dalla Corte capitolina.

Parzialmente da accogliere è invece il terzo motivo (secondo, ove si consideri il vizio di motivazione precedentemente esaminato quale appendice della prima censura) di ricorso, con il quale si denuncia violazione degli artt. 339 e 346 c.p.c. e art. 91 c.p.c. per avere la Corte – quanto a entrambi i gradi d:. giudizio – compensato le spese di lite tra gli attori delle due cause riunite e condannato gli appellanti alla refusione in favore di Bo.Br..

Fondatamente i ricorrenti lamentano che alla Corte d’appello era sottratto il potere di statuire sulle spese relative al primo grado di giudizio, poichè il tribunale di Civitavecchia, nel pronunciare sentenza parziale, aveva espressamente riservate “al definitivo” la liquidazione delle spese di lite.

La Corte territoriale poteva pertanto procedere alla liquidazione delle spese relative al secondo grado di giudizio, ma non poteva sostituirsi al primo giudice nel regolare le spese del giudizio svoltosi davanti al tribunale.

2) Il ricorso incidentale di Bo.Vi. consta di quattro motivi.

Il primo espone violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 735 e 737 c.c. e omessa motivazione sulla qualificazione dell’azione proposta da B.M. e B.V..

Il ricorrente sostiene che egli aveva qualificato l’azione dei fratelli come azione di ricostituzione dell’asse ereditario mediante collazione e divisione e che aveva affermato che essa era inammissibile per mancanza di relictum, perchè al momento della morte B.F. non era proprietario di alcun bene.

Da ciò desume che i fratelli B.M. e B.V. non sarebbero stati eredi e non potevano esperire l’azione di collazione.

I giudici avrebbero fatto una qualificazione ultrapetita e trasformato l’azione di collazione, realmente proposta, in un’azione diversa.

La Corte d’appello ha già ineccepibilmente confutato queste tesi, del tutto infondate, chiarendo che la collazione non è un’azione, come continua a sostenere il ricorrente, ma un’operazione da eseguire in caso di esperimento dell’azione di divisione ereditaria.

Questa Corte ha in proposito ribadito che in presenza di donazioni fatte in vita dal “de cuius”, la collazione ereditaria – in entrambe le forme previste dalla legge, per conferimento del bene in natura ovvero per imputazione – è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere, al fine di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, con la conseguenza che l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione (Cass. 15131/05; 1629/07).

La sentenza impugnata ha poi magistralmente spiegato che la riunione fittizia costituisce solo un passaggio tecnico per accertare la sussistenza “delle condizioni oggettive dell’esercizio dell’azione di riduzione”.

Tale affermazione risulta riscontrata anche di recente da questa Corte, secondo la quale (Cass. 6709/2010) nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, si deve avere riguardo al momento di apertura della successione per calcolare il valore dell’asse ereditario – mediante la cosiddetta riunione fittizia -, stabilire l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonchè determinare il valore dell’integrazione spettante al legittimario leso.

Ora, poichè l’azione di riduzione era stata esercitata dagli appellanti principali, non v’è dubbio che tanto la riunione fittizia, quanto la collazione, fossero doverose.

Nè ha pregio il tentativo del ricorrente incidentale di riproporre la tesi secondo cui B.M. e B.V. avessero proposto solo un’azione “qualificata di collazione”.

Ancorchè sia vero che l’azione per la ricostruzione del patrimonio ereditario e la conseguente divisione dello stesso non implica necessariamente, (cfr. Cass. 13706/07), la domanda di riduzione della donazione per lesione di legittima, l’affermazione della Corte d’appello secondo cui questa azione era stata proposta è stata fondata su un richiamo espresso all’atto di citazione.

Il brano di detto atto riprodotto a pag. 11 del controricorso evidenzia chiarissimamente che i fratelli B. avevano proclamato il proprio interesse a ottenere la riduzione della donazione, perchè risultavano violate “le quote di legittima”.

L’istante nega questa realtà per proporre un’inversione logica accortamente rifiutata dalla Corte d’appello.

L’esercizio dell’azione di riduzione imponeva infatti la riunione fittizia e non precludeva la domanda volta ad accertare la simulazione, strumento con il quale era stata consumata la lesione e dal cui successo derivano le conseguenti operazioni divisionali.

3) Il secondo motivo del ricorso incidentale lamenta violazione dell’art. 770 c.c., commi 1 e 2.

La sentenza impugnata ha escluso la fondatezza della tesi principale di Bo.Vi., secondo il quale la donazione paterna costituiva donazione remuneratoria, come tale sottratta alla riduzione.

Ha ineccepibilmente ribadito che anche la donazione remuneratoria è vera e propria donazione (art. 770 c.c., comma 1), perchè di questa condivide i requisiti di sostanza e di forma,, restando così soggetta alla disciplina della riduzione nel caso di lesione di legittima (Cass. 20387/08; 11873/93).

Ha poi esaminato, rigettandola, la tesi alternativa formulata dal ricorrente, secondo il quale la donazione de qua sarebbe riferibile all’art. 770 c.c., comma 2, quale liberalità d’uso.

La censura si rivolge avverso questa seconda statuizione: per il ricorrente sarebbe stata ingiustamente negletta una frase, contenuta nell’atto di donazione, con la quale il padre aveva fatto cenno alla volontà di gratificare il figlio Bo.Vi. “per il lavoro svolto e la collaborazione assiduamente prestata”.

Di qui la riconducibilità “del negozio allo schema della liberalità d’uso” e l’apoditticità della motivazione della sentenza.

Anche in questo caso il ricorrente incidentale non coglie nel segno.

Va in primo luogo rilevato che una serie di circostanze di fatto, riportate principalmente a pag. 17 del ricorso, finalizzate a evidenziare da un lato l’erroneità della omessa sussunzione nell’ipotesi ora sostenuta, dall’altro la carenza della motivazione, risultano nuove.

Poichè nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi temi che abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (Cass. 1474/07), l’istante aveva l’onere, in ossequio al principio di autosufficienza, non solo di allegare l’avvenuta deduzione di esse innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 324/07).

Ciò posto, il motivo, nei limiti in cui è da esaminare, perchè ripropone la questione esaminata e riferisce i riscontri fattuali ricordati in principio, presenta comunque aspetti di inammissibilità e manifesta infondatezza.

Esso trascura di attaccare una delle rationes decidendi esposte dalla Corte d’appello, cioè la mancata indicazione di quale sia stato l’uso al quale riferirsi per invocare l’applicazione dell’art. 770 c.c..

La qualificazione giuridica di un’elargizione come liberalità effettuata in conformità agli usi ex art. 770 c.c., comma 2, deve risultare infatti anche – e necessariamente dall’effettiva corrispondenza agli usi, intesi come costumi sociali e familiari (Cass. 16550/08); le liberalità d’uso esigono principalmente la conformità al costume vigente (Cass. 4768/93), tenuto conto delle potenzialità economiche e delle condizioni sociali di chi le compie.

La individuazione di questa carenza nella tesi prospettata era perciò condizione sufficiente per rigettare la domanda. Essa aveva fatto sorgere l’onere del soccombente di censurarla fondatamente insieme a tutte le “rationes decidendi”, ognuna rigettare la domanda.

Essa aveva fatto sorgere l’onere del soccombente di censurarla fondatamente insieme a tutte le “rationes decidendi”, ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggere la decisione, non potendo altrimenti giungersi alla cassazione della sentenza impugnata (Cass. 12372/06; 23931/07).

Resta inoltre invalidamente attaccata, per la novità dei rilievi di fatto svolti in questa sede – di cui si è detto – l’altra ratio della sentenza, relativa alla inaccettabile genericità con cui era stata “disinvoltamente” (così la sentenza d’appello) affermata la sussistenza dell’ipotesi de qua.

Tale genericità, come è ovvio, non poteva essere sanata con nuove allegazioni in sede di legittimità o mediante deduzione di fatti in forme non ossequenti al principio di autosufficienza del ricorso.

4) Terzo e quarto motivo risultano inammissibili, sia perchè dipendenti dall’esito del precedente, sia perchè attinenti alla divisione del patrimonio ereditario, materia non ancora affrontata dai giudici di merito, perchè rimessa dal tribunale al definitivo.

Consegue da quanto esposto:

a) la cassazione senza, rinvio della sentenza impugnata con esclusivo riferimento alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado;

b) il rigetto di tutte le: altre censure;

c) la compensazione delle spese dei-giudizio di legittimità, giustificata dalla sostanziale reiezione di entrambi i ricorsi.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso principale; accoglie l’ultimo motivo nei limiti di cui in motivazione; rigetta il ricorso incidentale; cassa senza rinvio la sentenza impugnata nella parte relativa alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado.

Compensa le spese di questo grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 6 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2010

 

 

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