Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18622 del 11/08/2010

Cassazione civile sez. I, 11/08/2010, (ud. 06/07/2010, dep. 11/08/2010), n.18622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

VIGNA FABBRI s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-

tempore, con domicilio eletto in Roma, via Oppido Mamertina n. 4,

presso l’Avv. Negretti G., rappresentata e difesa dall’Avv. Giorgio

Marino, come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ZAGAROLO ’90 s.r.l., fallita, in persona del curatore pro-tempore,

con domicilio eletto in Roma, via Salente n. 35, presso l’Avv. Rosa

Romano che la rappresenta e difende, come da procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto del Tribunale di Roma depositato il 22

giugno 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 6 luglio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Sorrentino Federico che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso;

uditi gli Avv.ti Giorgio Marino per la ricorrente e Rosa Romano per

la resistente.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Vigna Fabbri s.r.l. ricorre per la cassazione del decreto in epigrafe del Tribunale di Roma con il quale è stato rigettato il reclamo proposto avverso la decisione del curatore del fallimento della Zagarolo ’90 s.r.l., dichiarata fallita nel (OMISSIS), di sciogliersi ex art. 72, L. Fall. da vari contratti preliminari di compravendita di unità immobiliari esistenti in un più ampio complesso immobiliare costruito dalla impresa poi fallita su terreno già di proprietà della ricorrente e ceduto in permuta alla Zagarolo ’90 con contratto del (OMISSIS).

Il ricorso è affidato a cinque motivi con i quali si contesta: il presupposto per l’esercizio della facoltà di sciogliersi dal contratto, essendo lo stesso già stato eseguito da entrambi i contraenti (primo motivo); l’errata interpretazione del contratto concluso tra le parti a mente della quale il trasferimento della proprietà degli immobili non sarebbe avvenuto al momento della loro edificazione (secondo motivo); l’erronea attribuzione alla ricorrente di inadempimenti idonei ad impedire il trasferimento della proprietà quale effetto del contratto di permuta (terzo motivo); l’inidoneità di modifiche unilaterali al contratto ascrivibili ad inadempimento della fallita con riferimento a spazi da adibire a parcheggio ad impedire l’automatico trasferimento della proprietà degli appartamenti e degli altri locali oggetto della permuta (quarto motivo); mancanza di interesse all’applicazione dell’art. 72, L. Fall., da parte della curatela (quinto motivo).

Resiste l’intimata curatela con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

Sulla base della normativa anteriore alla riforma (applicabile nella fattispecie ratione temporis, trattandosi di fallimento dichiarato nell’anno (OMISSIS)), è stato rilevato dalla Corte che “nel quadro del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26 (legge fallimentare) – a seguito dei ripetuti interventi della Corte costituzionale (v. Corte Cost., 9 luglio 1963 n. 118; 23 marzo 1981 n. 42 circa i provvedimenti decisori in materia di piani di riparto dell’attivo; 22 novembre 1985 n. 303; 24 marzo 1986, n. 55; 24 giugno 1986 n. 156) – la giurisprudenza di questa Corte, dopo la sentenza delle Sezioni Unite 9 aprile 1984 n. 2255, ha elaborato un orientamento ermeneutico in base al quale i provvedimenti del giudice delegato, e del tribunale nell’ambito del reclamo ex art. 26 cit., vanno distinti a seconda che riguardino atti interni alla procedura di carattere ordinatorio, inerenti la gestione del patrimonio fallimentare, oppure, nei casi previsti dalla legge, abbiano le caratteristiche della definitività e della decisorietà, intese come idoneità ad incidere su diritti soggettivi. Nel primo caso il decreto del giudice delegato è reclamarle al tribunale nel termine di tre giorni (decorrente dalla data di comunicazione del provvedimento), e il decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo non può formare oggetto di ricorso per cassazione nemmeno ai sensi dell’art. 111 Cost., appunto perchè privo di natura decisoria (cfr. ex plurimis, Cass. 30 luglio 1996, n. 6909; Cass., 22 gennaio 1996, n. 461; Cass., 10 marzo 1995, n. 2790;

Cass., 21 settembre 1993, n. 9633; Cass., 23 maggio 1984, n. 3167).

Nella seconda ipotesi, cioè quando si controverta su situazioni incidenti su diritti soggettivi (sì ripete, nei casi previsti dalla legge), trovano applicazione le norme generali sui procedimenti camerali (artt. 737 e 742 bis c.p.c.), con le relative conseguenze sia sui termine per proporre il reclamo (dieci giorni, decorrenti dalla comunicazione del provvedimento che ne è oggetto), sia sulla possibilità di impugnare il decreto del tribunale, emesso in sede di reclamo, con ricorso straordinario per cassazione a norma dell’art. 111 Cost. (Cass., 22 febbraio 1996, n. 1401; Cass., 3 marzo 1995, n. 2453; Cass., 15 dicembre 1994, n. 10736; Cass., 28 gennaio 1994, n. 865 (così Cassazione civile, sez. 1^, 22 maggio 1997, n. 4590).

Sulla base di tali principi, tuttora condivisibili in tema di ricorso straordinario per cassazione, non vi è dubbio che il provvedimento impugnato abbia natura meramente ordinatoria in quanto consiste unicamente nella manifestazione del controllo del tribunale circa l’utilizzo da parte del curatore di un potere di amministrazione del patrimonio dell’impresa fallita che la legge gli riconosce e che è inidoneo di per sè ad influire sui diritti soggettivi di terzi i quali possono contestare nelle sedi opportune gli effetti che dall’attività così esercitata si pretendono far derivare. Su fattispecie analoghe si è già pronunciata la Corte che ha escluso la ricorribilità per cassazione del decreto del tribunale che aveva respinto il reclamo avverso il provvedimento con cui il giudice delegato aveva autorizzato il curatore del fallimento di una società di leasing ad esercitare la facoltà di scioglimento da tutti i contratti di factoring stipulati evidenziando come il medesimo non avesse natura decisoria, non risolvendo una controversia su diritti soggettivi, ma rientrando tra i provvedimenti che attengono all’esercizio della funzione di controllo svolta al fine di integrare i poteri negoziali di cui il curatore è già investito (Cassazione civile, sez. 1^, 30 luglio 1996, n. 6909; nello stesso senso:

Cassazione civile, sez. 1^, 27 agosto 1994, n. 7544). Così anche in tema di autorizzazione alla stipula di transazione, essendo stato affermato il principio secondo cui “Il provvedimento con il quale il giudice delegato o il tribunale concede, ai sensi dell’art. 35 L. Fall., l’autorizzazione ai curatore a fare transazioni, non ha natura decisoria, ossia contenuto sostanziale di sentenza, non riguardando le funzioni cognitorie degli organi fallimentari nè una qualsiasi controversia su diritti soggettivi; contro di esso, pertanto, non è possibile proporre ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.. Tale provvedimento, infatti, revocabile e privo di rilevanza esterna, s’inquadra nell’ambito dell’esercizio delle funzioni, definite tutorie, del giudice delegato o del tribunale fallimentare, le quali, valendo a integrare i poteri negoziali del curatore fallimentare abilitandolo a compiere un determinato atto, costituiscono estrinsecazione di una funzione integrativa, consistente nella rimozione del limite posto all’esercizio di una facoltà o di un potere, di cui il soggetto autorizzato è già investito, mentre sono insuscettibili di risolversi nell’attribuzione di un bene della vita con forza di giudicato o di pregiudicare l’esito di altra controversia” (Cassazione civile, sez. 1^, 19 giugno 2008, n. 16645).

Le spese seguono la soccombenza. A tal proposito deve rilevarsi come l’eccezione di tardività del controricorso sia infondata in quanto, essendo stato notificato il ricorso il giorno 8 agosto 2007, il termine di cui all’art. 370 c.p.c. è iniziato a decorrere il 17 settembre 2007 (il 16 cadeva di domenica) ed è quindi tempestiva la notificazione del controricorso avvenuta in data 19 ottobre 2007.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 3.800, di cui Euro 3.600 per onorari.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2010

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