Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1862 del 28/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2020, (ud. 29/05/2019, dep. 28/01/2020), n.1862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12778-2015 proposto da:

ATER AZIENDA TERRITORIALE EDILIZIA RESID. PROV. DI (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA VESCOVIO 21, presso le

studio dell’avvocato TOMMASO MANFEROCE, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 6809/2014 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 13/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/05/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’ADRIA.

Fatto

RILEVATO

che:

con l’emissione della cartella n. (OMISSIS) Equitalia Gerit spa, premesso che vi era stato un controllo automatizzato effettuato del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 36 bis, e/o del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, relativamente al modello unico 2007 per l’anno 2006, chiedeva all’attuale ricorrente per gli anni di imposta 2006, il pagamento di ulteriori 619270 Euro oltre sanzioni ed interessi;

che, a seguito del ricorso proposto anche nei confronti della Agenzia delle Entrate, il contribuente deduceva che il dovuto ammontava eventualmente ad Euro 264311,69, la commissione tributaria confermava l’operato dell’Agenzia e quindi la cartella emessa.

Avverso la predetta sentenza proponeva appello il contribuente.

La commissione Regionale del Lazio respingeva l’appello, confermando quindi in toto gli atti impositivi emessi.

In particolare il giudice del gravame assumeva che l’errore, di cui la parte appellante chiedeva la correzione, sarebbe avvenuto con la dichiarazione del 2003 relativo all’anno di imposta 2002, correzione non più possibile essendo intervenuto la decadenza D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43.

Propone ricorso in Cassazione il contribuente, deducendo con un unico motivo la violazione e /o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8 bis, nonchè dei principi generali in tema di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si costituiva l’Agenzia Delle Entrate, al solo fine di partecipare alla discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il motivo dedotto il ricorrente sostanzialmente deduce che l’errore commesso in sede di dichiarazione poteva essere corretto in sede di impugnazione avverso la cartella in virtù del principio costituzionale previsto dall’art. 53.

Il ricorso è fondato. In sostanza la sentenza impugnata ritiene che l’errore dedotto dal ricorrente, in quanto commesso con la dichiarazione dei redditi relativamente all’anno 2002, ormai irretrattabile, non era opponibile avverso la cartella impugnata contenente una maggiore pretesa fiscale.

A seguito di un percorso giurisprudenziale piuttosto lungo, la Suprema Corte partendo dalla circostanza che le norme in materia di accertamento e riscossione operano su un piano diverso rispetto a quelle che governano il processo tributario, e tenuto conto del rispetto dei principi della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., ha concluso per l’inapplicabilità in sede processuale, di decadenze relative alla sola fase amministrativa – cfr. Cass. n. 10775/2015 -. Sez. Un. 13378/16.

Contrasta con tale affermazione di principio l’iter seguito dalla commissione regionale che si sostanzia nell’affermazione, che poichè la liquidazione della imposta effettuata dall’Amministrazione finanziaria ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, si svolge in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e viene effettuata mediante procedure automatizzate, il contribuente non potrebbe contestare la legittimità di una cartella in cui la maggiore imposta sia stata liquidata sulla base di quanto dallo stesso prospettato. Tale affermazione di diritto è giuridicamente errata, perchè, se è vero che, per il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 1, l’Amministrazione liquida le imposte “avvalendosi di procedure automatizzate e “in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti”, ma da tale esatta premessa non poteva inferirsi che la liquidazione di una imposta in un ammontare superiore a quanto legalmente dovuto non possa essere contestata dal contribuente per il solo fatto che detta liquidazione sia stata effettuata dall’Amministrazione sulla scorta di dichiarazioni rese dal contribuente stesso.

Detta conclusione presupporrebbe l’irretrattabilità assoluta delle dichiarazioni del contribuente e tale irretrattabilità è stata più volte esclusa da questa Corte, (Sezioni Unite. 15063 e 17394 del 2002). A tal fine è sufficiente ricordare che la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore sia esso di fatto che di diritto commesso dal dichiarante nella sua redazione, è emendabile e ritrattabile anche in sede contenziosa, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Come è noto la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti. Del resto una interpretazione giurisprudenziale che non consentisse la correzione della dichiarazione darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito, incompatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., comma 1, e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost., comma 1, (Cass. 2226/11, 1707/07, 22021/06,).

Sebbene la normativa fiscale prevede che la dichiarazione di rettifica può essere efficacemente presentata, entro determinati limiti temporali (il D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, applicabile ratione temporis alla fattispecie e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, prevede il limite temporale dell’emendabilità della dichiarazione integrativa “non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo”) appare necessario in ossequio alla gerarchia delle fonti, ai sensi degli artt. 57 e 97 Cost., interpretare la normativa sulla emendabilità della dichiarazione limitatamente al fine circoscritto dell’utilizzabilità “in compensazione ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17”, indicata nella successiva proposizione della disposizione. – Cass. n. 5399/2012 -. La Corte ha anche avuto modo di affermare che “In tema di imposte sui redditi il contribuente, in base al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8 bis, come introdotto dal D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 2, è titolare della generale facoltà di emendare i propri errori (Cass. n. 19661/2013 e Cass. n. 23574/2012) – ed inoltre “…, in tema di imposte sui redditi, la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto, incidenti sull’obbligazione tributaria, è esercitabile anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa dell’Amministrazione finanziaria, ed anche oltre il termine previsto per l’integrazione della dichiarazione – fissato in quello prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, come introdotto dal D.P.R. n. 435 del 2001, art. 2. Tali principi sono stati altresì di recente ulteriormente precisati ritenendo che il termine annuale di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, previsto per la presentazione della dichiarazione integrativa e finalizzata all’utilizzo in compensazione il credito eventualmente risultante, così come non interferisce sul termine di decadenza di quarantotto mesi previsto per l’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, (Cass. Sez. 5, Sent. n. 4049 del 27/2/2015; Sez. 5, Sent. n. 19537 del 17/09/2014; Sez. 5, Sent. n. 6253 del 20/04/2012) non esplica alcun effetto sul procedimento contenzioso instaurato dal contribuente per contestare la pretesa tributaria – quand’anche fondata su elementi o dichiarazioni forniti dal contribuente medesimo-. In conclusione è stata affermata l’emendabilità, in via generale, di qualsiasi errore, di fatto o di diritto, contenuto in una dichiarazione resa dal contribuente all’Amministrazione fiscale, anche se non direttamente rilevabile dalla stessa dichiarazione; ciò per l’impossibilità di assoggettare il dichiarante ad oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico, in conformità con i principi costituzionali della capacità contributiva (art. 53 Cost.), e della oggetti va correttezza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.). Il contribuente, quindi, non solo può contestare, anche emendando le dichiarazioni da lui presentate all’Amministrazione finanziaria, l’atto impositivo che lo assoggetti ad oneri diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico; ma tale contestazione impugnando la cartella esattoriale, è l’unica possibile non essendogli consentito di esercitare alcuna reazione di rimborso dopo il pagamento della cartella (vedi Cass. 8456 del 2004).

Del resto costituendo la cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, il primo atto impositivo, possono essere dedotti in giudizio tutti i vizi della pretesa tributaria.

La sentenza impugnata non è conforme a questi principi di diritto e merita dunque cassazione con rinvio alla Commissione regionale del Lazio in diversa composizione per nuovo esame in tal senso, dunque, la motivazione in questione è destinata ad essere ripercorsa integralmente alla luce dell’accoglimento del motivo dedotto, dovendo il giudice del merito verificare se vi sia stato errore da parte del contribuente in grado di incidere sulla entità della pretesa, e se l’Agenzia sia pure in sede contenziosa abbia riconosciuto l’esistenza di un tale errore, come pare desumibile dalla sentenza impugnata, provvedendo ad individuare il quantum dovuto (la parte riconosce che la pretesa era dovuta per importo inferiore) nonchè anche sulle spese di lite del presente grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata rinviando alla Commissione Regionale Lazio in diversa composizione, che deciderà anche per le spese di questo grado.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2020

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