Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18619 del 12/09/2011

Cassazione civile sez. I, 12/09/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 12/09/2011), n.18619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in Roma, via Tacito n. 23,

presso l’avv. Vespaziani Giovanni, dal quale è rappresentato e

difeso in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di Appello di Trento n. 236/07,

depositato il 19 febbraio 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

aprile 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. GOLIA Aurelio, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 15 giugno 2002, la Corte d’Appello di Trento accolse la domanda di equa riparazione proposta da C.P. nei confronti del Ministero della Giustizia per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio di risarcimento dei danni promosso nei confronti del C. da D.S. e S.D..

Su ricorso di entrambe le parti, questa Corte, con sentenza del 19 maggio 2006, cassò il decreto impugnato, nella parte relativa alla liquidazione del danno non patrimoniale, e rinviò le parti alla Corte d’Appello.

2. – Quest’ultima, con decreto del 19 febbraio 2007, ha condannato il Ministero al pagamento della somma di Euro 9.000,00, oltre interessi legali con decorrenza dalla riassunzione, rilevando, per quanto ancora rileva in questa sede, che con il decreto cassato, non impugnato al riguardo, non era stata accolta la domanda di riconoscimento degl’interessi con decorrenza dall’originario ricorso;

ha inoltre condannato il Ministero alla rifusione delle spese processuali, liquidate per il giudizio di cassazione in Euro 960,00 (ivi compresi Euro 950,00 per onorario), e per le fasi di merito in complessivi Euro 1.896,38 (ivi compresi Euro 900,00 per onorario ed Euro 700,38 per diritti).

3. – Avverso il predetto decreto il C. propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. Il Ministero non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 112, 324 e 329 cod. proc. civ. e degli artt. 1224 e 2909 cod. civ. censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso la decorrenza degl’interessi dall’originaria domanda, sull’erroneo presupposto che il primo giudizio si fosse concluso con un’omissione di pronuncia sugli interessi compensativi, non impugnata.

Sostiene infatti che la Corte d’Appello ha violato i principi che disciplinano i debiti di valore, in virtù dei quali gli interessi compensativi non costituiscono un’obbligazione autonoma, ma solo una componente dell’obbligazione principale. Essi, potendo essere attribuiti anche in assenza di un’apposita domanda, non costituiscono oggetto di un capo autonomo della decisione, la cui mancata impugnazione possa comportare la formazione del giudicato. La cassazione del primo decreto, relativamente all’importo liquidato, e la determinazione ex novo dell’indennizzo non hanno d’altronde comportato, ad avviso del ricorrente, una variazione della data della costituzione in mora, che resta ancorata all’originaria domanda.

1.1. – La censura è fondata.

Nel procedere ad una nuova liquidazione dell’indennizzo dovuto per la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, la Corte d’Appello ha infatti riconosciuto sulla somma liquidata gl’interessi legali con decorrenza dalla data di riassunzione del giudizio, anzichè dall’originaria domanda, osservando che il ricorrente non aveva specificamente impugnato il precedente decreto, nella parte in cui non aveva accolto la relativa pretesa. Tale affermazione, in quanto presuppone che l’impugnazione della sola pronuncia relativa alla liquidazione dell’indennizzo si traduca nell’acquiescenza a quella riguardante gl’interessi, comportandone il passaggio in giudicato, non può essere condivisa.

Questa Corte ha infatti affermato che l’obbligazione avente ad oggetto il pagamento dell’equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, essendo destinata a procurare al danneggiato una quantità di denaro correlata all’entità del pregiudizio da lui subito per effetto dell’irragionevole durata del processo, e quindi ad un determinato valore intrinseco, non è assimilabile ai c.d. debiti di valuta, aventi ad oggetto fin dall’origine un importo nominale di denaro; ad essa non è pertanto applicabile il principio secondo cui gli interessi possono essere attribuiti solo su domanda della parte interessata, valendo lo stesso per le sole obbligazioni pecuniarie in senso stretto, ma non anche per quelle (i c.d. debiti di valore) in cui l’entità della prestazione è determinata in funzione di un valore diverso (cfr. Cass., Sez. 1^, 24 novembre 2005, n. 24756; 11 aprile 2005, n. 7389; 8 aprile 2004, n. 6939).

Non essendo l’attribuzione degl’interessi subordinata alla proposizione di una apposita domanda, la relativa pronuncia non si configura come un capo autonomo del decreto che abbia riconosciuto il diritto all’equa riparazione, suscettibile di acquistare efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2, per effetto dell’impugnazione del provvedimento nella sola parte relativa alla liquidazione dell’indennizzo, ma si pone, rispetto a quest’ultima, come un capo da essa dipendente, ed è quindi destinata a restare caducata, ai sensi dell’art. 336 cod. proc. civ., per effetto della cassazione di quella principale. Nessun rilievo assume, a tal fine, la circostanza che l’impugnazione sia stata proposta dal danneggiato risultato vittorioso nel precedente giudizio di merito, in quanto, configurandosi il giudizio di rinvio non già come una prosecuzione della pregressa fase di merito, ma come una fase nuova ed autonoma del processo, avente natura integralmente rescissoria, il provvedimento con cui, all’esito dello stesso, la corte d’appello provvede nuovamente alla liquidazione dell’indennizzo, statuisce, direttamente e per la prima volta, sulla domanda cui si riferisce il capo cassato (cfr. Cass., Sez. 3^, 22 maggio 2006, n. 11936; Cass., Sez. 1^, 17 novembre 2000, n. 14892; Cass., Sez. 2^, 18 giugno 1994, n. 5901), il quale, nei limiti segnati dall’oggetto dell’impugnazione, non sopravvive neppure limitatamente al capo riguardante l’obbligazione degl’interessi, che deve quindi costituire oggetto di una nuova pronuncia, da adottarsi anche d’ufficio in riferimento alla domanda originariamente proposta.

2. – L’accoglimento del primo motivo, comportando la cassazione del decreto impugnato, con la conseguente caducazione della pronuncia relativa alle spese processuali, determina invece l’assorbimento degli ulteriori motivi d’impugnazione, con cui il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 112 cod. proc. civ., dell’art. 75 disp. att. cod. proc. civ., della L. 7 novembre 1957, n. 1051, degli artt. 5 e 15 e della tabella B) allegata al D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 e degli artt. 5 e 14 e della tariffa di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, nonchè la violazione e la falsa applicazione del principio di inderogabilità degli onorari minimi di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24 e l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha liquidato le predette spese in modo forfetario ed in misura difforme da quella risultante dalla nota specifica da lui depositata, nonchè in violazione delle tariffe forensi ratione temporis applicabili, ed ha omesso di riconoscere la maggiorazione da lui richiesta a titolo di rimborso delle spese generali.

3. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, limitatamente alla pronuncia relativa agl’interessi, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il riconoscimento dei predetti interessi a decorrere dall’originaria domanda.

4. – Le spese dei quattro gradi di giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa il decreto impugnato, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere a C.P. gl’interessi legali sulla somma dovuta a titolo di indennizzo con decorrenza dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, che si liquidano per il giudizio di merito in complessivi Euro 1.140,00, ivi compresi Euro 490,00 per onorario, Euro 600,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, per il primo giudizio di legittimità in complessivi Euro 950,00, ivi compresi Euro 900,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, per il giudizio di rinvio in complessivi Euro 1.140,00, ivi compresi Euro 490,00 per onorario, Euro 600,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e per il secondo giudizio di legittimità in complessivi Euro 950,00, ivi compresi Euro 900,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2011

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