Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18616 del 11/08/2010

Cassazione civile sez. I, 11/08/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 11/08/2010), n.18616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6788-2008 proposto da:

M.A. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

08/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO G. che ha concluso come da verbale di udienza.

 

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Napoli, con decreto dell’8 marzo 2007, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere ad M.A. un indennizzo di Euro 1.500 per l’irragionevole durata di un procedimento in materia di indennità di disoccupazione, iniziato (per quanto qui ancora interessa) davanti al Tribunale di Napoli con ricorso del 10 dicembre 1997, e concluso in quel grado con sentenza del 17 giugno 2002, osservando: a) che il giudizio avrebbe dovuto avere durata complessiva di 2 anni, laddove (escluso il periodo per cui era maturata la prescrizione) si era protratto, per un periodo di anni 1, mesi 6; per cui doveva essere liquidato il danno non patrimoniale in misura pari ad Euro 1.500.

Che la M. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato a 16 motivi, con i quali, deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU, degli artt. 1223 e 1226 cod. civ. nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ha censurato la decisione: sia nella durata ritenuta irragionevole del processo, sia nella liquidazione del quantum, sia infine in ordine alla liquidazione delle processuali.

osserva:

A) Che il collegio ritiene, anzitutto di dichiarare inammissibile il primo motivo di ricorso perchè si risolve nella trascrizione di parte del contenuto di alcune decisioni della CEDU, ed in particolar modo della sentenza 29 marzo 2006 della Grande Chambre della Corte in causa Scordino c/ Italia, nonchè in un generico addebito alla sentenza impugnata di non averne applicato i principi;

B) Che è infondata la censura relativa alla durata del processo, secondo il ricorrente pari alla intera durata del giudizio, avendo questa Corte ripetutamente tratto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 la regola che nel giudizio di equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, rileva solamente il periodo eccedente il suddetto termine, essendo sul punto vincolante il criterio chiaramente stabilito dall’art. 2, comma 3 di detta legge; e che questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, valorizzato invece, dalla Corte di Strasburgo, al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97 (Cass. 3716/2008; 8603/2005; 8568/2005). E d’altra parte la M. non ha indicato alcuna decisione della Corte europea relativa a controversie analoghe a quella da lei instaurata attestante che ritenga congruo in primo grado un periodo di un anno e mezzo per la definizione del giudizio piuttosto che quello, conforme invece ai parametri della CEDU indicato dalla sentenza impugnata.

C) Ancor più inconsistenti sono le censure che si appuntano sulla insufficienza del ristoro del danno non patrimoniale: è ben vero, infatti, che il giudice nazionale deve in linea di principio uniformarsi ai parametri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per i casi simili, salvo il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto. Ma nel caso concreto la Corte di appello si è puntualmente attenuta a questi principi in quanto ha, anzitutto, liquidato il danno non patrimoniale per il fatto in sè della violazione della durata irragionevole del processo, quale evento che si verifica normalmente, e cioè di regola per effetto della violazione stessa: senza bisogno di alcun sostegno probatorio relativo al singola fattispecie (Cass. sez. un. 1239, 1240 e 1241/2004 e successive).

La stessa ricorrente, poi, ha più volte riconosciuto che la valutazione equitativa del danno morale per tale genere di controversie oscilla nella giurisprudenza della Corte europea tra “i 1000 e 1500 Euro per anno di durata della procedura”, menzionando anche numerose decisioni della CEDU in materia di obbligazioni; per cui il decreto impugnato che ha determinato l’indennizzo nella misura di Euro 1.000 per anno, ha applicato rigorosamente i parametri elaborati da detta Corte.

D) Infondata è infine anche la censura che verte sul punto del mancato riconoscimento del cd. bonus, in quanto nella determinazione del risarcimento dovuto, mentre la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e riparare un pregiudizio non patrimoniale tendenzialmente sempre presente ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore. Sicchè, quando il giudice non attribuisce il cd. bonus e perciò nega che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni e se del caso alle prove delle allegazioni addotte nel giudizio di merito.

E) Inammissibili sono, infine il 13 e 16 motivo di ricorso relativi alla congruità delle spese processuali liquidate dal decreto impugnato, perchè non corredati dai quesiti di diritto richiesti dal nuovo art. 366 bis cod. proc. civ. introdotto da detta legge per il quale anche nell’ipotesi prevista dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, il motivo deve enunciare, in modo sintetico ma completo, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione;laddove nel caso il quesito si concreta nella trascrizione delle proposizioni del provvedimento della Corte di merito che si intendevano impugnare. Mentre il 12, 14 e 15 sono infondati non avendo per un verso la ricorrente indicato in dettaglio le prestazioni effettuate dal proprio procuratore (Cass. 17057/2007;

8160/2001), – e non essendo per altro verso la liquidazione inferiore ai minimi tariffar che per la somma di Euro 1.500 attribuita prevedono diritti per un importo complessivo di Euro 280 ed onorari per un importo complessivo di Euro 445.

Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese del giudizio di legittimità non avendo il Ministero spiegato difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2010

 

 

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