Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18616 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/09/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16819-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

HOTEL MIRAMALFI SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 2, presso

lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRANSONI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10060/2/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

il 21/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

Considerato che:

La CTR della Campania, sezione distaccata di Salerno, con sentenza nr 10060/2018 rigettava l’appello proposto dall’Agenzia del Territorio di Salerno avverso la pronuncia della CTP di Salerno con cui era stato accolto il ricorso della società Hotel Miramalfi s.r.l. relativo all’avviso di rettifica della rendita catastale emesso a seguito di denuncia Docfa.

Rilevava che non poteva ritenersi fondata la considerazione sollevata dall’Ufficio con riferimento al valore degli immobili similari alla luce delle argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata circa “l’impossibilità di procedere correttamente in tal senso, non rivenendosi strutture nella zona con caratteristiche simili a quelle di cui si tratta”.

Riteneva poi che il calcolo del valore della rendita effettuato “in maniera analitica e confortata da motivate e ponderate consulenze tecniche d’ufficio espletate in precedenti giudizi, non può che trovare ampia condivisione”.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste con controricorso la società Hotel Miramalfi s.r.l. eccependo l’inammissibilità del ricorso e comunque la sua infondatezza.

Diritto

Ritenuto che:

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione per erronea e falsa applicazione degli artt. 24,111 Cost, art. 112 c.p.c., art. 15 c.p.c.; art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118, disp att c.p.c., comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 3 e 4 e art. 61 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c..

Lamenta che la decisione impugnata avrebbe omesso ogni riscontro sui motivi di gravame formulati dall’Ufficio in relazione alle tardive deduzione introdotte dalla contribuente per il tramite di memorie depositate prima dell’udienza di trattazione.

Con un secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 29 e al D.M. 14 dicembre 1991 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La ricorrente critica la decisione anche per la sussunzione della fattispecie concretamente verificatesi nell’astratto normativa di cui, solo” in via esemplificative, si richiamano i principali riferimenti che si assumono violati e/o comunque applicati dai giudici di merito, così come espletate ed esitati in senso sfavorevole alle ragioni defensionali prospettate dall’Ufficio”.

Sostiene che l’Amministrazione avrebbe argomentato in modo articolato in relazione al classamento dei cespiti rientranti nelle categorie speciali richiamando espressamente la normativa di riferimento e la sequenza procedimentale che si deve osservare nonchè sul saggio di fruttuosità che si sarebbe dovuto applicare sottolineando che su questi aspetti non vi sarebbe stato alcun riscontro da parte della CTR la quale avrebbe applicato un saggio di fruttuosità non conforme a norma di legge e comunque fuori del petitum provvedimentale formulato dalla controparte su cui non si sarebbe svolto alcun contraddittorio.

Il primo motivo è’ inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza. Il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, richiede che le ragioni della doglianza siano compiutamente riportate nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, “si da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte” (Cass. n. 17049 del 2015; Cass. n. 22880 del 2017).

La natura prettamente processuale della doglianza non esimeva nella specie la ricorrente dall’onere di fornire specificazione puntuale e circostanziata (e non meramente discorsiva o “esemplificativa”) delle singole violazioni addebitate al giudice regionale; così da porre questa Corte in condizione di verificarle, mediante accesso agli atti del giudizio di merito, con l’immediatezza e la concentrazione proprie del rito di legittimità (Cass. 13778/2019).

Il ricorso fa un generico riferimento ad un mancato riscontro dei tre motivi di appello senza riprodurre il loro contenuto limitandosi a rinviare alla proposta di ricorso per cassazione pervenuta all’Avvocatura delle Entrate, la quale a, sua volta, neppure richiama il contenuto del gravame.

Parimenti si deve rilevare l’inammissibilità con riguardo al secondo motivo di ricorso.

Nei termini in cui è stato formulato, la censura difetta di specificità.

E’, infatti, principio largamente consolidato che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Se è vero, peraltro, che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014). Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015). Così, dunque, i motivi di impugnazione che prospettino (come nella specie) un vizio di legittimità (non solo senza la puntuale indicazione delle norme violate, ma anche senza specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie) sono altrettanto inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte.

La ricorrente appare denunciare una pluralità di vizi che spaziano da una violazione di legge non meglio definita, all’omessa pronuncia e all’omessa motivazione sino ad un omesso esame circa un fatto controverso.

Il motivo è formulato in modo contraddittorio giacchè, da un lato, critica l’omessa pronuncia e l’omesso esame circa un fatto decisivo con riferimento al saggio di fruttuosità applicato dalla CTR in sede di rideterminazione della rendita catastale e che sarebbe stato oggetto di apposita censura in sede di appello e, dall’altro, lamenta l’erronea attribuzione delle norme che regolano l’attribuzione della rendita catastale e l’individuazione del saggio di fruttuosità applicabile.

In ogni caso anche a voler ritenere che attraverso il motivo de quo la ricorrente ha inteso censurare l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 va rilevato che il fatto dal cui omesso esame può derivare la nullità della sentenza non può essere il fatto giuridico (l’individuazione del corretto saggio di fruttuosità) ma deve essere un fatto storico che deve essere indicato in senso oggettivo e soggettivo.

Il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 infatti ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo.

L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri vigenti.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 3.500,00 oltre accessori di legge e s.p.a.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.

Depositato in cancelleria il 7 settembre 2020

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