Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18613 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1956/2016 proposto da:

B.I.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Luciani

Luigi n. 42, presso lo studio dell’avvocato Benedetti Gianluca, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.F., elettivamente domiciliata in Roma, Via Ulpiano n.

29, presso lo studio dell’avvocato Astorino Felice, rappresentata e

difesa dall’avvocato Arcuri Simona, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 08/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/07/2020 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 12/2015 depositata in data 8 giugno 2015, ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale di A.F. in ordine alla domanda di addebito della separazione coniugale ed ha rigettato l’appello principale di B.I.S. e quello incidentale di A.F. in ordine alla domanda in tema di mantenimento, confermando integralmente la sentenza impugnata del Tribunale di Reggio Calabria n. 887/2014, con la quale erano rigettate le domande di addebito proposte da entrambi i coniugi ed era stabilito l’importo di Euro 1.500,00 mensili quale assegno di mantenimento a carico del B., con la compensazione delle spese legali.

2. Avverso il suddetto provvedimento B.I.S. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti di A.F., che resiste con controricorso.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. La controricorrente ha depositato memoria illustrativa, alla quale ha allegato la sentenza divorzile del Tribunale di Reggio Calabria n. (OMISSIS) e notificata il 10-2-2020, passata in giudicato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 151 c.c., comma 2, all’art. 2727 c.c. e art. 2729 c.c., comma 1, e art. 116 c.p.c.”. Deduce che erroneamente la Corte d’appello, confermando le statuizioni del Tribunale, ha ritenuto rilevanti, ai fini dell’addebito, solo le relazioni adulterine “strutturate”, omettendo di valutare la presunzione di infedeltà della “relazione materiale” con il sig. M.M., in violazione dell’art. 2729 c.c.. Erroneamente, inoltre, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale ha affermato che dovesse configurarsi come unica ragione del fallimento matrimoniale la consapevolezza piena della condotta infedele dell’altro coniuge e richiama pronunce di questa Corte in tema di rilevanza, anche solo concausale, dell’infedeltà, ai fini dell’addebito.

2. Con il secondo motivo lamenta l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento all’art. 151 c.c., comma 2, ossia al tema dell’addebito della separazione nei confronti della A. per il perseguimento della stessa di un fine personale contrario al consortium o alla coabitazione coniugale e al dies della conoscenza, e non già della conseguita prova, dell’infedeltà della coniuge, nonchè dell’effettivo dies della fine materiale dell’unione”. Assume di aver censurato con l’atto di appello la ricostruzione effettuata dal Tribunale secondo cui le rinunce professionali dell’ A., intervenute successivamente al matrimonio, erano state concordate con il marito ed avevano solo contribuito alla frattura coniugale, mentre, ad avviso del ricorrente, la scelta dell’ex moglie di trasferirsi a Roma per frequentare un master costituiva il primo tradimento al progetto di vita concordato con il marito quando si era sposata. L’errata valutazione di detta risultanza probatoria aveva determinato, secondo il ricorrente, l’omesso esame dell’incidenza di quella condotta, con cui la A. faceva prevalere il proprio interesse personale sul contenuto del patto coniugale, ai fini dell’addebito. Inoltre deduce che la Corte territoriale non ha correttamente considerato la divergenza dei progetti di vita degli ex coniugi e la corrispondenza solo di quello del B. al progetto comune e matrimoniale, secondo cui entrambi i coniugi avrebbero dovuto stabilirsi a Reggio Calabria. Deduce ancora che la A. aveva scelto di vivere per lungo tempo a Roma, dove viveva la persona di cui, a suo dire, era amante, e lamenta l’errata valutazione di detta condotta pregiudizievole per l’unità matrimoniale, anche sotto il profilo del nesso causale. Censura, infine, l’affermazione dei Giudici d’appello secondo la quale il rapporto matrimoniale era già logorato nel giugno 2009, quando era stata documentata, mediante le investigazioni private, l’infedeltà dell’ex moglie, deduce di essersene lamentato con l’atto di appello e rileva che la Corte territoriale non aveva considerato, incorrendo nell’omesso esame della relativa circostanza, che il ricorrente aveva già pratica certezza dell’infedeltà dell’ A. in data antecedente al giugno 2009, poichè, in allora, aveva incaricato l’investigatore delle indagini, per avere evidenza dei comportamenti infedeli.

3. Con il terzo motivo (indicato in ricorso per mero refuso come secondo) denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento all’art. 156 c.c., commi 1 e 2, ossia al tema delle potenzialità lavorative e di guadagno della Dott.ssa Ing. A.F.”. Rileva, con riferimento quantomeno al quantum dell’assegno di mantenimento, che la Corte territoriale ha omesso di esaminare il fatto che l’ex moglie possedeva un elevatissimo profilo professionale, avendo la Corte d’appello solo esaminato lo specifico aspetto del lavoro all’estero, ritenendolo non dimostrato.

4. Con il quarto motivo (indicato in ricorso per mero refuso come terzo) il ricorrente denuncia la “violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 156 c.c., commi 1 e 2”. Ad avviso del ricorrente la somma riconosciuta a titolo di assegno di mantenimento (Euro 1.500) è esorbitante rispetto ai parametri legali, non avendo tenuto conto la Corte d’appello della durata esigua del coniugio, ed inoltre l’assegno riconosciuto era superiore al reddito corrispondente alle concrete capacità lavorative dell’ A., non era stato scomputato dall’importo riconosciuto il reddito che la stessa era in grado di percepire in virtù delle potenzialità professionali e non era stata considerata la sopravvenuta onerosità dell’assegno per il B., a causa della nascita della figlia.

5. In via preliminare occorre precisare che, per effetto della sentenza divorzile, intervenuta nelle more, che la controricorrente ha prodotto in allegato alla memoria illustrativa, non è cessata la materia del contendere in ordine alle questioni oggetto di ricorso, contrariamente a quanto sostiene la controricorrente. Con riferimento al periodo anteriore all’emissione dei provvedimenti provvisori emessi nel giudizio divorzile (nella specie emessi con ordinanza del (OMISSIS)) restano, infatti, rilevanti sia la questione dell’addebito, ai fini dell’esclusione della debenza del mantenimento all’ex moglie, sia quella dell’ammontare del contributo stesso, atteso che solo a partire dalla data in cui nel giudizio divorzile sono emessi i provvedimenti provvisori questi ultimi si sostituiscono a quelli emessi nel giudizio di separazione (Cass. n. 7547/2020 e Cass. n. 27205/2019).

6. Il primo motivo è inammissibile.

6.1. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054/2017).

6.2. Nel caso di specie, il ricorrente, nel dolersi della violazione degli artt. 151,2727,2729 c.c. e art. 116 c.p.c., censura, in realtà, la ricostruzione fattuale. Infatti la violazione di legge denunciata viene prospettata dal ricorrente sulla base dell’assunto, imprescindibile, che siano provate, anche in via presuntiva, le condotte di infedeltà e il nesso causale tra dette condotte e il fallimento del matrimonio ed è, dunque, mediata dalla valutazione delle risultanze processuali, presupponendo una diversa ricostruzione, in fatto, della fattispecie concreta.

6.3. Sotto ulteriore profilo, le censure riferite alla violazione dell’art. 116 c.p.c., anche in relazione alla valenza presuntiva della “relazione materiale” con colui che è indicato come amante dell’ A., sono, all’evidenza, volte a sollecitare, inammissibilmente, il riesame del materiale probatorio (incidenza delle infedeltà della ex moglie, assenza di prova circa il nesso etiologico tra tali condotte e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza).

Le doglianze invocano, cioè, un’indagine di merito che esula, com’è noto, dalle prerogative di questa Corte di legittimità, dovendo, in particolare, aggiungersi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 18892/2016 e massime ivi richiamate), la deduzione in sede di ricorso per cassazione della violazione dell’art. 116 c.p.c. – a mente del quale cui il giudice deve valutare le prove secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti – è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso.

7. I motivi secondo, terzo e quarto, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

7.1. I fatti il cui esame si denuncia omesso sono stati, invece, scrutinati dalla Corte d’appello, sicchè non ricorre il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le altre censure non si confrontano con la motivazione della sentenza impugnata, in quanto dirette solo a prospettare una diversa valutazione del materiale probatorio, e la doglianza formulata sub specie del vizio di violazione di legge (quarto motivo) prospetta l’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, ed è, quindi, inammissibile perchè mediata dalla contestata valutazione delle risultanze istruttorie.

7.2. Nello specifico, la Corte territoriale, con adeguata motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), ha esaminato tutti i fatti allegati dal B. a sostegno della richiesta di addebito della separazione coniugale e i fatti allegati come rilevanti ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento. In particolare i Giudici d’appello hanno accertato che: a) i coniugi avevano concordato che l’ A. potesse coltivare e completare la propria preparazione professionale (pag.16 sentenza impugnata) e, all’esito, trovare idonea occupazione in Calabria, come dedotto dallo stesso ex marito; b) non vi era dimostrazione certa di relazioni adulterine dell’ A. in epoca anteriore alla definitiva rottura coniugale (pag.19 sentenza impugnata), formalizzata dal B. con mail del 15-7-2009, nella quale non si faceva cenno alle presunte infedeltà dell’ex moglie, nè poteva ritenersi attendibile la giustificazione addotta dallo stesso al riguardo, secondo cui solo per garbo e signorilità il ricorrente non aveva menzionato le relazioni extraconiugali nel comunicare la sua determinazione di porre fine al rapporto coniugale (pag.18 sentenza impugnata), considerato, altresì, che a fine giugno l’ A. era rientrata in Calabria per festeggiare l’anniversario di matrimonio; c) la spettanza e la quantificazione del contributo di mantenimento in favore della ex moglie erano state motivate tenendo conto della breve durata del matrimonio, del contesto ordinariamente tipico di soggetti benestanti in cui si era svolto il rapporto coniugale, della redditività del B., valutando anche il “carico sopravvenuto della prole dal medesimo nelle more procreata”, nonchè le chance lavorative elevate dell’ A. (pag. n. 21,22 e 23 della sentenza impugnata).

Le censure, senza specificamente confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, si risolvono in una critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (Cass., sez. un., n. 8053/2014), sicchè anche sotto tale profilo sono inammissibili.

8. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi antistatario.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

10. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge, con distrazione in favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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