Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18608 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22502/2015 proposto da:

Città Metropolitana di Catania, già Libero Consorzio Comunale di

Catania, già Provincia Regionale di Catania, in persona del

commissario straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via A. Mordini n. 14, presso lo studio dell’avvocato Spinoso

Antonio, rappresentata e difesa dagli avvocati Bellomo Immacolata,

Salemi Antonio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Telecom Italia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via P.L. da Palestrina

n. 47, presso lo studio dell’avvocato Lattanzi Filippo, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cardarelli Francesco,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

Esatri S.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 948/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 02/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2020 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 948/2014, depositata in data 2/7/2014, – in controversia promossa, con citazione del 2004, da Telecom Italia spa nei confronti della Provincia Regionale di Catania e di Esatri spa ed avente ad oggetto l’impugnativa di una cartella esattoriale, notificata nel 2004, per canoni di occupazione di suolo pubblico, per le infrastrutture di telefonia, in relazione alle annualità 2002 e 2003, canoni riconducibili alla previsione di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 27Nuovo Codice della Strada, per un importo di Euro 134.427,40, – ha riformato la decisione di primo grado, che aveva respinto l’opposizione.

In particolare, i giudici d’appello, in accoglimento del gravame della Telecom, hanno sostenuto che il D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 231, comma 3 individuava il complesso di norme, tra cui l’art. 27, derogate con rinvio al T.U. postale, di cui al D.P.R. n. 156 del 1973, che all’art. 238 vieta alle pubbliche amministrazioni di imporre per l’impianto o per l’esercizio dei servizi di telecomunicazioni oneri o canoni non stabiliti dalla legge, cosicchè, nella vigenza del T.U. postale, l’occupazione di suolo pubblico finalizzata all’installazione di infrastrutture destinate a servizi di telecomunicazione non soggiace alla potestà impositiva di cui all’art. 27 C.d.S., mentre successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 259 del 2003, Codice delle Comunicazioni Elettroniche, che ha abrogato, dal settembre 2003, il T.U. postale, deve farsi riferimento al D.Lgs. n. 259 del 203, art. 88, comma 10 che ha riprodotto il divieto posto dall’art. 238 T.U.P. abrogato.

Avverso la suddetta pronuncia, la Città Metropolitana di Catania (nuova denominazione della Provincia Regionale di Catania) propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, notificato nei confronti di Telecom Italia spa il 24/9/2015, presso la sede legale, in quanto una pregressa notifica al domicilio eletto del 14/9/2015, tramite U.G., non era andata a buon fine per trasferimento del domiciliatario (parte che resiste con controricorso), e di ESATRI spa (che non svolge attività difensiva). La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 27 C.d.S. e L. n. 488 del 1999, art. 18 per avere la Corte d’appello ritenuta fondata la tesi dell’inapplicabilità dell’art. 27 C.d.S., per contrasto con il D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 93; con il secondo motivo, si lamenta la violazione ed erronea applicazione, sempre ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 27 C.d.S., D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 93 nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sempre in relazione alla corretta interpretazione dell’art. 93 Codice delle comunicazioni elettroniche.

2. La controricorrente Telecom ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per sua tardiva notificazione, scadendo il termine di legge il 1/9/2015, mentre il ricorso è stato notificato solo il 14/9/2015 (una prima volta, con esito negativo, con successiva ripresa del procedimento notificatorio e nuova notifica il 24/9/2015).

3. L’eccezione di Telecom è infondata. Invero, trattandosi di giudizio instaurato anteriormente al 4/7/2009, il termine lungo di un anno per l’impugnazione della sentenza della Corte d’appello pubblicata il 2/7/2014 scadeva il 17/9/2015 (giovedì), dovendosi computare due periodi di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, il primo di 46 gg. nel 2014, il secondo, di 31 gg. nell’anno 2015 (Cass. 2978/1998; Cass. 20817/2009).

4. Le due censure, da trattare unitariamente, in quanto connesse, sono infondate.

Il T.U. postale di cui al D.P.R. n. 156 del 1973, art. 238 così recitava: “Divieto di imporre altri oneri. Le pubbliche amministrazioni, le regioni, le province ed i comuni non possono imporre per l’impianto o per l’esercizio dei servizi di telecomunicazioni oneri o canoni che non siano stabiliti per legge, salvo che non sia diversamente disposto dal presente decreto”.

Il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 93 (in vigore dal 16/9/2003), abrogato l’art. 238 T.U. postale, riprendendo i dettami già contenuti nella previgente disciplina di cui al D.P.R. n. 156 del 1973, stabilisce che “le pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale. Nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto, in base alla L. 31 luglio 1997, n. 249, art. 4 in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice, fatta salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo 11 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63 e successive modificazioni ed integrazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lett. e) medesimo articolo, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui al predetto D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 47, comma 4”.

Tale disposizione, volta a garantire agli imprenditori l’accesso al mercato con criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità, ed agli utenti finali la fornitura del servizio universale, senza distorsioni della concorrenza, è stata ritenuta espressione di un principio fondamentale della legislazione statale, in mancanza del quale potrebbero determinarsi trattamenti differenziati tra i soggetti operanti nelle diverse Regioni, ed ostacoli all’ingresso di nuovi operatori nel settore (cfr. Corte Cost., sent. n. 336 del 2005, i cui principi sono stati ribaditi dalle sent. n. 450 del 2006 e n. 272 del 2010).

Il Codice delle Comunicazioni Elettroniche di cui al D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 88 dispone al comma 10 che “Salve le disposizioni di cui all’art. 93, nessuna altra indennità è dovuta ai soggetti esercenti pubblici servizi o proprietari, ovvero concessionari di aree pubbliche, in conseguenza di scavi ed occupazioni del suolo, pubblico o privato, effettuate al fine di installare le infrastrutture di comunicazione elettronica”.

Questa Corte (Cass. 283/2017) ha statuito che “ai sensi del D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 93, comma 2, come autenticamente interpretato, con efficacia retroattiva, dal D.Lgs. n. 33 del 2016, art. 12, comma 3, gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica sono sottoposti unicamente alle tasse o ai canoni indicati nella menzionata disposizione e, pertanto, la provincia non può pretendere il pagamento del cd. canone di soggezione previsto dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 27 (C.d.S.). In effetti, l’art. 93 cit., è espressione di un principio fondamentale dell’ordinamento di settore delle telecomunicazioni, in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi ulteriori oneri o canoni, posto che – ove ciò non fosse ogni singola Amministrazione dotata di potestà impositiva potrebbe liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti” (cfr. Cass. 17524/2015; Cass. 18004/2014; Cass. 14788/2014).

Sempre questa Corte, nella successiva pronuncia n. 31334/2019, ha ribadito che il Codice delle comunicazioni elettroniche si pone come normativa speciale rispetto alla materia da esso regolata e che le finalità perseguite con le direttive quadro, recepite dallo stato italiano, sulle comunicazioni elettroniche (direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE, 2002/22/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, e 2002/77/CE della Commissione, del 16 settembre 2002), come risulta anche dai principi e criteri direttivi fissati dalla Legge Delega n. 166 del 2002, art. 41, comma 2, sono quelle di garantire agli imprenditori l’accesso al mercato con criteri di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità (lett. a1) e agli utenti finali la fornitura del servizio universale, senza distorsioni della concorrenza (lett. a8).

Le Sezioni Unite (Cass. 10536/2018) hanno chiarito che gli operatori che forniscono reti di telecomunicazione elettronica – giusta la regola contenuta nell’art. 93, comma 2 D.Lgs. n. 259 cit. come autenticamente interpretato con efficacia retroattiva dal D.Lgs. n. 15 febbraio 2016, n. 33, art. 12, comma 3, – sono soltanto obbligati a tenere “indenni” i proprietari o gestori delle aree coinvolte dagli interventi infrastrutturali a seguito della dismissione degli impianti., il che conferma la regola contenuta nell’art. 93, comma 1 D.Lgs. n. 259 cit. del divieto assoluto di sottoposizione a canoni o altri oneri salve le eccezioni ex lege.

Ne consegue che correttamente la Corte d’appello di Catania ha escluso che gli operatori che forniscano reti di telecomunicazione elettronica possano essere tenuti a corrispondere, oltre alle spese occorrenti per la realizzazione delle opere e degli impianti, oneri e canoni diversi da quelli imposti da norme di legge statale (quali la TOSAP o COSAP), con esclusione dell’operatività dell’art. 27 C.d.S..

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfettario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

 

 

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