Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18607 del 11/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 11/07/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 11/07/2019), n.18607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7447-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA USL (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA P.ZZA GRAZIOLI 5, presso

lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA RUSSO VALENTINI, rappresentato

e difeso dall’avvocato ARIANNA CECUTTA giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2013 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 28/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/04/2019 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TASSONE KATE che ha concluso per fondato il ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si riporta agli

scritti e chiede l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BOSIN per delega

dell’Avvocato CECUTTA che si riporta agli scritti e chiede il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Azienda USL di (OMISSIS) presentava in data 8.5.2007 istanza per il rimborso dell’importo totale di Euro 236.053, corrispondente al 50% delle somme versate a titolo di irpeg per l’anno 2002 e 2003, invocando l’applicazione dell’agevolazione prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, in favore degli enti ospedalieri, sulla base della continuità tra i suddetti enti, le USL a seguito della riforma del 1978, e le ASL a seguito della riforma del 1992.

L’Agenzia delle Entrate rigettava l’istanza, ritenendo che l’agevolazione non spettasse ad enti che non svolgevano unicamente attività di assistenza ospedaliera (circostanza che avrebbe deposto in favore del riconoscimento dell’agevolazione), ma che esercitavano anche mansioni diverse, quali considerava le ASL.

L’Azienda impugnava il suddetto provvedimento davanti alla CTP di Bologna che accoglieva il ricorso.

La CTR dell’Emilia Romagna rigettava l’appello dell’ufficio, evidenziando le attività di tipo assistenziale, sanitario, parasanitario e previdenziale che le ASL pongono in essere, peraltro unitamente a quelle commerciali.

Contro tale sentenza ricorre a questa Corte l’ufficio sulla base di due motivi.

La ASL si è costituita con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’ufficio deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR non ha rilevato la tardività dell’istanza di rimborso limitatamente alla somma di Euro 201.933, 87, in quanto proposta, nel maggio 2007, oltre il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data dei versamenti in acconto, avvenuti nel giugno e dicembre 2002.

Il contribuente deduce sul punto che la questione è stata sollevata per la prima volta nel giudizio di cassazione, che le date non emergono dalla sentenza impugnata, ma sono solo affermate dall’ufficio, che lo stesso ufficio negli atti dei gradi precedenti aveva definito l’istanza tempestiva, e che su questo aspetto si era formato giudicato interno.

Con il secondo motivo l’ufficio deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, della L. n. 833 del 1978, art. 14, dell’art. 14 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha errato laddove ha riconosciuto la spettanza dell’agevolazione alla contribuente, ritenendola ente di assistenza.

Questo collegio ritiene che preliminarmente debba essere affrontato il secondo motivo, attinente al merito della questione, in virtù del principio della c.d. “ragione più liquida”, atteso che, se lo stesso fosse fondato, determinerebbe l’assorbimento del primo.

Se si riconoscesse, infatti, la non spettanza della richiesta agevolazione, e quindi la legittimità del diniego dell’ufficio, perderebbe rilievo discutere della tempestività o meno dell’istanza di rimborso.

Il secondo motivo è, in effetti, fondato.

La giurisprudenza di questa Corte si è andata consolidando nel senso di ritenere che la aziende sanitarie locali non possano essere ricomprese tra gli “enti ospedalieri” beneficiari dell’agevolazione, atteso che le stesse svolgono compiti che vanno al di là di questa attività specifica.

Sez. V, n. 33244 del 2018, che peraltro se ne è occupata incidentalmente a proposito dell’agevolazione ai fini ires, ha affermato:

Invero, la L. n. 132 del 1968, art. 2, prevedeva al comma 1 che “sono enti ospedalieri gli enti pubblici che istituzionalmente provvedono al ricovero ed alla cura degli infermi”, con la precisazione che “possono, inoltre, istituire, anche fuori dell’ospedale, ambulatori, dispensari, consultori, centri per la cura e la prevenzione di malattie sociali e del lavoro, centri per il recupero funzionale, e compiere ricerche e indagini scientifiche e medico-sociali in ordine al conseguimento degli scopi istituzionali”. Successivamente con la L. n. 833 del 1978 veniva istituito il servizio sanitario nazionale, con l’introduzione delle unità sanitarie locali (art. 10 “alla gestione unitaria della tutela della salute si provvede in modo uniforme sull’intero territorio nazionale mediante una rete completa di unità sanitarie locali. L’unità sanitaria locale è il complesso dei presidi, degli uffici, degli uffici e dei servizi dei comuni…”). I compiti, di vario genere, delle unità sanitarie locali venivano indicati dalla L. suindicata, art. 14. Con il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 1 bis, si è poi stabilito che “in funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale”. All’art. 4, comma 1 (aziende ospedaliere e presidi ospedalieri) si è disposto che “per specifiche esigenze assistenziali, di ricerca scientifica, nonchè di didattica del servizio sanitario nazionale…possono essere costituiti o confermati in aziende…gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico…”. Al comma 9 si è aggiunto che “gli ospedali che non siano costituiti in azienda ospedaliera conservano la natura di presidi dell’unità sanitaria locale”. Per giurisprudenza di legittimità ormai consolidata (Cass. Civ., 11 aprile 2018, n. 8922; Cass. Civ., 29 gennaio 2016, n. 1687; Cass. Civ., 28 maggio 2014, n. 11918; Cass. Civ., 4 settembre 2013, n. 20249), mentre alle a.s.l. sono stati assegnate attività e funzioni diverse e nuove, i “vecchi” enti ospedalieri mantengono una loro autonomia, o in quanto costituiti in “aziende ospedaliere”, o quali “presidi” ospedalieri nell’ambito delle a.s.l.. il D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 comma 1, elencando i soggetti beneficiari della riduzione alla metà dell’Irpeg, ha mantenuto alla lett. a) la originaria dizione di “enti ospedalieri”. Pertanto, si è ritenuto che tale agevolazione, espressamente inserita tra quelle di carattere soggettivo, non è applicabile alle aziende sanitarie locali, neanche in via di interpretazione estensiva.

Ancora più esplicita, anche con riferimento alla qualifica di “ente di assistenza” alle ASL, è Sez. V, n. 30234 del 2018:

con il secondo motivo di ricorso, l’A.S.S. n. (OMISSIS) “(OMISSIS)” denuncia la violazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere il giudice di appello ritenuto l’applicabilità dell’agevolazione, prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, non solo agli enti ospedalieri, ma anche all’A.S.S. istituita con la L.R. n. 12 del 1994; inoltre, la ricorrente denuncia in via alternativa l’omessa pronuncia sul punto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5;

2.2. la censura è infondata, sulla base del principio secondo cui “l’agevolazione della riduzione alla metà dell’IRPEG sancita, per gli “enti ospedalieri”, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, detto art. 6, comma 1, lett. a), espressamente inserita tra quelle di carattere soggettivo, non è applicabile, neppure in via di interpretazione estensiva, alle aziende sanitarie locali costituitesi per effetto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, non potendo esse equipararsi ai primi, perchè assegnatarie, oltre che dell’assistenza ospedaliera, di attività e funzioni nuove e diverse da quelle già svolte da questi ultimi, i quali, peraltro, hanno mantenuto una loro autonomia, o perchè costituiti in “aziende ospedaliere”, oppure quali “presidi ospedalieri” nell’ambito delle predette a.s.l.” (Cass. nn. 1687 del 2016, 208 del 2014, 20249 del 2013);

appare opportuno preliminarmente ricostruire il quadro legislativo in argomento;

gli enti ospedalieri sono stati costituiti con la L. 12 febbraio 1968, n. 132, il cui art. 2 prevedeva che “sono enti ospedalieri gli enti pubblici che istituzionalmente provvedono al ricovero ed alla cura degli infermi) e che gli stessi “possono inoltre istituire, anche fuori della sede dell’ospedale, ambulatori, dispensari, consultori, centri per la cura e la prevenzione di malattie sociali e del lavoro, centri per il recupero funzionale, e compiere ricerche ed indagini scientifiche e medico sociali in ordine al conseguimento degli scopi istituzionali” (comma 4); la L. 23 dicembre 1978, n. 333, istitutiva del servizio sanitario nazionale, ha poi introdotto le unità sanitarie locali (definite, all’art. 10, come “il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane, i quali, in un ambito territoriale determinato, assolvono ai compiti del servizio sanitario nazionale”); in particolare, la L., art. 14, ha attribuito alle unità sanitarie locali, oltre all’assistenza ospedaliera, una vasta serie di altri compiti; infine il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (e successive modificazioni) ha stabilito che: “in funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale” (art. 3, comma 1 bis); “per specifiche esigenze assistenziali, di ricerca scientifica, nonchè di didattica del servizio sanitario nazionale, nel rispetto dei criteri e delle modalità di cui ai commi 1 bis e ss., possono essere costituiti o confermati in azienda, disciplinate dall’art. 3, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico” (art. 4, comma 1); “gli ospedali che non siano costituiti in azienda ospedaliera conservano la natura di presidi dell’unità sanitaria locale” (art. 4, comma 9);

come già evidenziato da questa Corte con sentenze 20249 e 20250/2013, dall’esposto quadro normativo discende, in primo luogo, che deve negarsi l’equiparazione tra “enti ospedalieri” e “aziende sanitarie locali”, nel senso che queste ultime, per finalità e compiti, costituirebbero, in sostanza e con diverso nome, la continuazione dei primi; come si è detto, infatti, da un lato, alle A.S.L. sono state assegnate, oltre all’assistenza ospedaliera, attività e funzioni nuove diverse, e, dall’altro, i “vecchi” enti ospedalieri mantengono una loro autonomia, o in quanto costituiti in “aziende ospedaliere” o quali presidi ospedalieri nell’ambito delle ASL; il D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, comma 1, del resto, nell’elencare i soggetti a favore dei quali l’Irpeg è ridotta alla metà, ha mantenuto, alla 5 lett. a), la originaria dizione “enti ospedalieri”, e ciò pur dopo la sua sostituzione operata con il D.L. n. 331 del 1993 (convertito in L. n. 427 del 1993), in epoca successiva, quindi, alla riforma sanitaria del 1992; la esclusiva riferibilità dell’art. 6 agli enti ospedalieri (e non alle AA.SS.LL) è evidenziata dal trattamento fiscale espressamente previsto per le AA.SS.LL. (soggezione ad IRPEG: T.U.I.R. art. 87, comma 1, lett. c); esenzione da imposta per il reddito prodotto nello svolgimento della propria attività istituzionale: T.U.I.R. art. 88, comma 2, lett. b); imponibilità degli ulteriori redditi di cui all’art. 108 T.U.I.R.); in conclusione, l’agevolazione in esame, tanto più in quanto espressamente inserita tra quelle di “carattere soggettivo”, non è applicabile alle aziende sanitarie locali, neanche in via di interpretazione estensiva (v. su cit. sent Cass. 20249 e 20250/2013) e neanche in quanto dette aziende hanno, tra i compiti istituzionali, quello dell’assistenza (medica, sociale e farmaceutica);

a tale ultimo proposito va, invero, evidenziato che, come sopra chiarito, le aziende sanitarie locali svolgono altri compiti oltre quello dell’assistenza, sicchè le stesse non possono essere annoverate tra gli enti di assistenza (di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6), e che alle stesse è, invece, applicabile uno specifico trattamento fiscale (T.U.I.R. artt. 87,88 e 108);

nello stesso senso anche sez. V, n. 27579 del 2017, che ha anche deciso nel merito, così come, ancora di recente, sez. V, n. 7823 del 2019.

Questo collegio ritiene che non vi siano ragioni per doversi discostare dalle motivazioni sopra riportate.

Non appaiono determinanti, in particolare, le argomentazioni esposte dal contribuente in controricorso secondo cui le funzioni delle attuali a.s.l. sono analoghe a quelle degli enti ospedalieri di oltre quarant’anni fa perchè, come illustrato sopra, il fatto che le a.s.l. esplichino anche attività ospedaliera non significa che siano esclusivamente enti ospedalieri, così come non è determinante il fatto che l’Agenzia avesse espresso in passato un’opinione favorevole ai contribuenti nella risoluzione 179/e del 2009, atteso che i documenti di prassi non sono vincolanti.

La sentenza impugnata ha, invece, affermato un principio diverso, ritenendo la spettanza dell’agevolazione per il fatto che tra i compiti delle ASL rientrano anche le attività assistenziali.

Essa deve, pertanto, essere cassata.

Ciò comporta, come detto, l’assorbimento del primo motivo, non avendo più rilevanza discutere sulla tempestività o meno dell’istanza di rimborso.

Non essendovi poi questioni di fatto da analizzare, tali da giustificare il rinvio al giudice che ha emesso la sentenza impugnata, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nel senso che il ricorso originario, di impugnazione del silenzio rifiuto del rimborso, deve essere respinto, non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dell’invocata agevolazione.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

Esse sono, pertanto, a carico del contribuente e, considerato il valore della causa, si liquidano in Euro 6.000.

Considerata la complessità della questione e la sua soluzione sulla base di interpretazione giurisprudenziale, sussistono giusti motivi per compensare le spese delle fasi di merito.

PQM

Accoglie il secondo motivo, assorbito il primo motivo.

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario.

Condanna il ricorrente originario, contribuente, al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in Euro 6.000, oltre alle spese prenotate a debito.

Compensa tra le parti le spese delle fasi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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