Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18604 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9883/2015 proposto da:

Regione Calabria, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Sabotino n. 12, presso lo

studio dell’avvocato Pungì Graziano, rappresentata e difesa

dall’avvocato Talarico Franceschina, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S.B. S.r.l. Unipersonale, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Tor Vergata n. 12,

presso lo studio dell’avvocato Gidaro Giuseppe, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Gidaro Marziale, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1370/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 23/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/07/2020 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la corte d’appello di Catanzaro ha respinto il gravame della regione Calabria avverso l’ordinanza del tribunale, emessa ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c., che, in accoglimento della domanda proposta dalla CSB s.r.l. Unipersonale – gerente la (OMISSIS) l’aveva condannata al pagamento della somma di 211.589,78 EURO, oltre interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002, a titolo di contributo per le prestazioni sociosanitarie erogate nell’anno (OMISSIS), in virtù di un contratto stipulato con l’Azienda sanitaria provinciale (Asp) di Catanzaro, poste a carico del Fondo Sociale Regionale nella misura del 50% della retta giornaliera;

sulla premessa che, ai sensi della L.R. Calabria 5 dicembre 2003, n. 23, art. 7, comma 2, come integrato dalla L.R. 5 ottobre 2007, n. 22, artt. 17 e 18 le spese per l’assistenza agli anziani erano imputabili per il 50% al Fondo sociale regionale, la corte d’appello – per quanto in effetti rileva – ha ritenuto sufficiente ai fini della predetta imputazione il contratto scritto stipulato tra la società e l’Asp; ciò per la ragione che, in base alla L.R. Calabria 18 luglio 2008, n. 24, le aziende sanitarie competenti erano legittimate alla stipulazione dei contratti con le strutture private accreditate sulla base dei piani annuali regionali, con efficacia anche nei confronti della regione;

ha soggiunto che l’operatività della legge non era impedita dalla mancata predisposizione degli schemi contrattuali o delle condizioni di cui alla ripetuta L.R. n. 24 del 2008, art. 13 in quanto il contratto prodotto in giudizio ne aveva menzionato specificamente l’uso, e in quanto comunque non era stata mai contestata l’efficacia dei contratti sottoscritti dalle aziende sanitarie provinciali sotto tale profilo, non incidente sulla loro validità;

ha reputato infine inammissibili, in quanto meramente riproduttive di difese già svolte in primo grado, le censure riflettenti l’elusione dei principi in materia di programmazione della spesa sanitaria e la mancata indicazione della spesa e dei mezzi di copertura, fermo restando che ogni questione al riguardo dovevasi considerare superata per effetto della sopravvenuta dichiarazione d’illegittimità costituzionale della L.R. 13 giugno 2008, n. 15, art. 16, comma 2, (C. Cost. n. 159 del 2013);

attesa la prova documentale del credito costituita dalle fatture emesse, la corte territoriale infine ha confermato la misura degli interessi riconosciuta dalla sentenza di primo grado, poichè le finalità solidaristiche dell’assistenza agli anziani non escludevano il carattere patrimoniale della prestazione; nè la natura concessoria del rapporto e la determinazione del corrispettivo su base tariffaria potevano comportare effetti sull’applicabilità D.Lgs. n. 231 del 2002, considerata l’ampia formulazione della norma intesa a fronteggiare il fenomeno dei ritardi nei pagamenti; in questa prospettiva la corte d’appello ha invero ritenuto corretta la disapplicazione del decreto n. 70 del 2011, con cui il presidente della Giunta regionale, in qualità di commissario ad acta, aveva dichiarato l’inapplicabilità degl’interessi moratori previsti dal D.Lgs. n. 231 del 2002, essendosi trattato di un atto amministrativo contrastante col dettato di legge;

la regione Calabria ha proposto ricorso per cassazione deducendo tre motivi;

la società CSB s.r.l. ha replicato con controricorso;

le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – devono essere innanzi tutto disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della società controricorrente;

la prima eccezione, relativa alla mancata indicazione nel ricorso della data e del numero del decreto dirigenziale di autorizzazione al conferimento dell’incarico al difensore, nonchè all’assenza di qualsiasi menzione della preventiva consultazione con il dirigente della struttura interessata alla lite (L.R. Calabria 13 maggio 1996, n. 7, ex art. 10), è infondata per le ragioni già indicate da questa Corte in separate analoghe cause: (a) la mancata indicazione degli estremi del predetto decreto non incide sulla concreta possibilità d’identificarlo, avuto riguardo all’avvenuto deposito dello stesso all’atto dell’iscrizione a ruolo del ricorso e alla conseguente facoltà della controparte di prenderne visione; (b) la mancata consultazione del dirigente della struttura interessata è irrilevante, poichè la norma in esame non ne esige il consenso ma soltanto la previa consultazione, ai fini della quale non sono prescritti specifici requisiti di forma, visto che la stessa rileva soltanto nei rapporti interni tra gli organi regionali (Cass. Sez. U n. 2704-12, Cass. n. 17393-15, Cass. n. 11924-17, Cass. n. 11925-17);

la seconda eccezione, sollevata ai sensi dell’art. 366 c.p.c., è contraddetta dal tenore del ricorso, nel quale i fatti di causa sono riferiti in modo completo e sufficiente allo scopo di fornire una chiara indicazione dell’andamento del processo di merito, delle posizioni assunte dalle parti e dell’oggetto dell’impugnazione;

II. – col primo motivo la regione denunzia la violazione e la falsa applicazione della L.R. Calabria n. 24 del 2004, art. 13, comma 2, della L.R. Calabria 5 dicembre 2003, n. 23, art. 7 come modificato dalla L.R. Calabria 5 ottobre 2007, n. 22, art. 17,artt. 1322 e 1173 c.c., del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-quinquies;

assume che la sentenza, affermando la legittimazione delle aziende sanitarie provinciali alla stipulazione di accordi con le strutture private accreditate, non ha considerato che, in base alle norme citate, la predetta legittimazione è circoscritta alle spese poste a carico del Fondo sanitario regionale, e non si estende a quelle gravanti sul Fondo sociale regionale, poichè i contratti con le strutture private debbono essere stipulati sulla base di piani annuali il cui raccordo con la spesa gravante sul Fondo sociale è assicurato dalle Linee guida approvate dalla regione; la relativa Delib. n. 685 del 2002 prevede, a pena d’invalidità, la partecipazione necessaria del dirigente generale del Dipartimento regionale delle politiche sociali, unico soggetto legittimato a impegnare le somme del capitolo di bilancio riguardante il Fondo sociale; pertanto, soggiunge, la negazione di effetti di tale disciplina, confermata dalla L.R. n. 24 del 2008, art. 13 oltre a privare di giustificazione l’operatività degli accordi nei confronti della regione, sarebbe in contrasto con l’art. 81 Cost., perchè nessuna legge può costituire fonte di obbligazione a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche in assenza dell’indicazione della misura, della copertura e dell’impegno finanziario richiesto; col secondo motivo la regione ulteriormente denunzia la violazione e falsa applicazione della L.R. Calabria n. 8 del 2002, artt. 43, 44 e 45 e dei principi di contabilità e finanza pubblica, per avere la sentenza escluso l’invalidità del contratto nonostante la mancanza dell’indicazione dell’impegno di spesa e della copertura finanziaria;

col terzo motivo infine la regione censura la decisione per aver ritenuto applicabile il tasso d’interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002, nonostante il riconoscimento della natura concessoria del rapporto derivante dall’accreditamento;

III. – deve essere accolto il primo motivo di ricorso, il cui esame si rivela assorbente;

per quel che risulta dalla sentenza, la domanda trae origine da una convenzione stipulata tra l’attrice e l’Asp di Catanzaro ai sensi della L.R. 7 agosto 2002, n. 29, art. 3 e della L.R. 18 luglio 2008, n. 24, art. 13 con cui, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-quinquies la regione Calabria provvide dapprima a disciplinare gli accordi per l’acquisizione di prestazioni di assistenza ospedaliera con i soggetti, pubblici e privati, provvisoriamente accreditati, e in seguito a dettare la disciplina definitiva in materia di autorizzazione, accreditamento, accordi contrattuali e controlli delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private;

la stipulazione di tale convenzione, avvenuta senza la partecipazione della regione, è stata ritenuta idonea a giustificare l’imposizione a carico della stessa della quota-parte del corrispettivo delle prestazioni rese dalla struttura gestita dalla società attrice, in virtù di quanto disposto dalla legge regionale n. 23 del 2003 e successive modificazioni;

in forza di detta disciplina, come integrata dalla L.R. n. 24 del 2008, art. 13 la corte d’appello in particolare ha ritenuto che la regione, pur non avendo partecipato alla stipulazione della convenzione, fosse tenuta a rispondere per la quota del corrispettivo posta a carico del Fondo sociale, escludendo a tal fine la necessità della sottoscrizione del direttore generale del Dipartimento regionale delle politiche sociali, prescritta dalla citata Delib. n. 685 del 2002; difatti la L.R. n. 24 del 2008, art. 13, comma 2, demanda in via esclusiva alle aziende sanitarie la definizione degli accordi con le strutture pubbliche e private, sia pure sulla base dei piani annuali preventivi e della valutazione dei bisogni di prestazioni, nell’ambito dei livelli di spesa e dei livelli assistenziali stabiliti dalla programmazione regionale; sicchè alla stregua di tale disposizione il contratto, stipulato per iscritto dal soggetto deputato allo scopo, era da considerare idoneo a produrre effetti anche nella sfera della regione, quanto alla corresponsione della quota imputata al Fondo sociale regionale;

IV. – sennonchè questa Corte in altre analoghe fattispecie sempre riferite alla regione Calabria ha già evidenziato come tale conclusione non trovi giustificazione alcuna, nè nelle modalità di gestione del Fondo sociale regionale, disciplinate dalla L.R. n. 23 del 2003, nè in quelle d’instaurazione dei rapporti con le strutture pubbliche e private abilitate alla prestazione dei servizi sociosanitari, disciplinate dalla medesima legge e da quelle relative al servizio sanitario regionale;

la posizione così assunta è stata contraddetta da un’unica decisione dissonante (Cass. n. 11258-20), la quale tuttavia, richiamata nella memoria della società resistente, non può trovare consenso;

invero, all’esito della piana ricostruzione degli interventi normativi succedutisi in materia, la assolutamente prevalente giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che la disciplina che demanda alle Asl (o Asp) ogni potere d’intervento diretto in materia di assistenza socio-sanitaria, ivi compresa l’instaurazione di rapporti contrattuali con le strutture pubbliche e private chiamate a rendere le relative prestazioni in regime di accreditamento, riserva alla regione i soli compiti di programmazione, coordinamento e vigilanza, tra i quali è compresa anche la ripartizione tra le Asl delle risorse economiche necessarie per l’effettuazione dei predetti interventi;

in tal guisa deve escludersi che l’esecuzione delle prestazioni rese dalla società attrice in favore degli assistiti abbia potuto far sorgere obbligazioni a carico della regione, poichè questa è rimasta estranea alla stipulazione della convenzione con l’Asp di Catanzaro ed è comunque priva di ogni competenza al riguardo; come già in altre circostanze osservato, non rileva in contrario il richiamo della sentenza impugnata alla L.R. n. 23 del 2003, art. 7 che ha posto a carico del Fondo sociale regionale una quota del corrispettivo delle predette prestazioni: si tratta difatti di una disposizione “che, oltre ad essere stata superata dalla successiva evoluzione legislativa, non poteva comportare una responsabilità diretta a carico della Regione nei confronti delle strutture accreditate, essendo destinata ad assumere rilievo esclusivamente sul piano interno dei rapporti finanziari tra la Regione e l’Asl competente per territorio” (Cass. n. 11924-17, Cass. n. 11925-17);

ciò è dirimente, anche a voler prescindere dal preambolo e dagli allegati della già citata Delib. n. 685 del 2002;

invero, anche a voler ritenere che la regione non potesse, con un proprio atto amministrativo, stabilire le condizioni di validità degli accordi in questione, i cui requisiti soggettivi andavano individuati sulla base delle competenze previste dalla disciplina legislativa di settore, dovrebbe comunque escludersi la possibilità di desumere dalla stipulazione degli stessi l’avvenuta instaurazione di un rapporto diretto con la regione, e il conseguente obbligo di quest’ultima di provvedere, sia pure parzialmente, al pagamento delle rette;

V. – tale conclusione trova conferma in quanto la giurisprudenza ha avuto modo altresì di osservare a proposito dell’analoga fattispecie dei corrispettivi dovuti alle farmacie per le prestazioni rese in favore degli assistiti dal Servizio sanitario nazionale e alla successione delle Asl nei rapporti già facenti capo alle vecchie Usl;

anche in quei casi era stato difatti ipotizzato un coinvolgimento diretto delle regioni nei relativi rapporti; ma tale coinvolgimento è stato da questa Corte sempre escluso in virtù della considerazione, riferibile anche alla vicenda in esame, che, ai sensi dei principi informatori del Servizio sanitario nazionale, confluiti nella L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48 le Usl costituivano strutture operative degli enti pubblici territoriali, fornite di autonomia amministrativa, patrimoniale e contabile, e quindi direttamente legittimate all’instaurazione di rapporti giuridici, anche processuali, con i terzi; cosicchè da tali rapporti le regioni erano destinate a rimanere estranee, giacchè la legge a esse (regioni) riservava esclusivamente il compito di regolare, programmare, coordinare e controllare l’attività delle Usl (cfr. Cass. n. 6873-96, Cass. n. 1968-96);

a questo proposito è utile rammentare che a seguito della soppressione delle Usl e dell’istituzione delle Asl, disposta dal D.Lgs. n. 502 del 1992, il legislatore ha imposto alle regioni il divieto di far gravare sulle neocostituite Asl i debiti delle gestioni pregresse; donde, per vincere la conseguente situazione di incertezza riguardo all’individuazione del soggetto tenuto a rispondere dei debiti suddetti, la stessa legge ha poi individuato giustappunto nelle regioni il soggetto obbligato, ritenendo con ciò le regioni come aventi causa ex lege delle disciolte Usl (L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, comma 14) mediante la costituzione di apposite gestioni a stralcio; gestioni poi trasformate in gestioni liquidatorie, affidate ai direttori generali delle nuove aziende e facenti capo, in ultima analisi, proprio alle regioni (ex aliis Cass. n. 1532-10, Cass. n. 2041206);

se ne deduce che una simile consequenzialità di ordine patrimoniale ha postulato (e postula in casi analoghi) un esplicito intervento normativo, che nel caso concreto manca del tutto;

VI. – quanto esposto può essere compendiato nel seguente principio: al di fuori dei casi in cui sia la stessa legge a prevedere l’instaurazione di rapporti con i terzi, in virtù dell’inerenza dell’atto all’esercizio di funzioni proprie o all’intervento diretto nelle vicende di enti dipendenti, la regione rimane normalmente estranea alla concreta gestione dei servizi socio-sanitari, essendo titolare di competenze riguardanti esclusivamente la sfera della programmazione, del coordinamento e della vigilanza sugli enti operanti nel settore; con la conseguenza che, in mancanza di un’espressa disposizione di legge che lo consenta, non sono a essa riferibili in via diretta gli effetti degli atti posti in essere dai predetti enti nell’esercizio delle rispettive funzioni;

pertanto, in mancanza di una disposizione in tal senso rintracciabile, non può che essere confermato che, in base alla L.R. n. 23 del 2003, art. 7 (riferibile esclusivamente ai rapporti finanziari interni all’area dei servizi socio-sanitari) e alla L.R. n. 24 del 2008, art. 10 (attributivo alle Asl della competenza in ordine alla stipulazione dei contratti con le strutture accreditate), i contratti di cui nella specie si discute non svolgono alcun effetto nella sfera giuridica e patrimoniale della regione (cfr. Cass. n. 22037-16, Cass. n. 22037-16, Cass. n. 22039-16);

VII. – l’impugnata sentenza va cassata in relazione al primo motivo, con assorbimento dei restanti;

segue il rinvio alla medesima corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, per una nuova valutazione di merito;

la corte d’appello si uniformerà ai principi esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Catanzaro.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

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