Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18603 del 11/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 11/07/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 11/07/2019), n.18603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14835-2012 proposto da:

VILLA DEI FIORI CASA DI CURA PRIVATA SRL in persona del Presidente

del C.d.A. e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DI S.COSTANZA 46, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI MANCINI, rappresentato e difeso dall’avvocato

EDOARDO SABBATINO giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I DI NAPOLI in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2012 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 11/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/04/2019 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TASSONE KATE che ha concluso per fondato il 1 motivo di ricorso,

assorbiti i restanti, infondati il 2 e 3 motivo;

udito per il ricorrente l’Avvocato SABBATINO che si riporta e chiede

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che insiste per

il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Villa dei Fiori – Casa di cura privata s.r.l., in persona del legale rappresentante, ricorre per la cassazione della sentenza n. 3/8/12 della CTR della Campania che, in accoglimento dell’appello dell’ufficio – in riforma della sentenza della CTP che aveva accolto il ricorso del contribuente – aveva ritenuto legittimo il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso ires per gli anni dal 2004 al 2007 compresi, per un importo di Euro 1.946.104,00.

L’istanza si basava sul fatto che l’imposta versata era stata calcolata sulla base dell’aliquota ordinaria, anzichè di quella agevolata, pari alla metà, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6; la CTR, tuttavia, dopo avere disatteso un’eccezione processuale della contribuente sui motivi nuovi in appello, riteneva non applicabile tale aliquota agevolata perchè prevista dalla norma solo per gli “enti ospedalieri” o, tutt’al più, per i “presidi ospedalieri”, e non anche per strutture quale quella di specie, che aveva goduto solo di accreditamenti provvisori.

Contro questa sentenza ricorre la contribuente sulla base di tre motivi.

Si costituisce l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

La contribuente ha depositato memoria del 15.4.2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la contribuente deduce violazione e/o falsa applicazione e/o errata interpretazione della norma di carattere processuale contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, evocante il disposto dell’art. 345 c.p.c., commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La CTR ha errato laddove ha respinto l’eccezione secondo la quale la non applicabilità dell’agevolazione per assenza dei presupposti di merito rappresentava un motivo nuovo dedotto dall’ufficio solo in appello, atteso che le controdeduzioni di quest’ultimo nel giudizio di primo grado erano limitate alla intervenuta parziale decadenza del contribuente dalla possibilità di chiedere il rimborso, per tardività dell’istanza proposta oltre quarantotto mesi dal versamento del tributo.

Il motivo è infondato.

Dallo stralcio delle controdeduzioni dell’ufficio in primo grado, riportato dallo stesso contribuente ricorrente, emerge che facesse parte delle stesse anche l’applicabilità della normativa agevolativa alla casa di cura; in tale sede, infatti, l’ufficio non si era limitato ad eccepire la tardività dell’istanza di rimborso relativa ad una parte dell’importo, ma aveva affermato espressamente che “per quanto riguarda le altre somme di cui si chiede la restituzione” il Direttore Provinciale dell’Agenzia avrebbe dovuto confermare l’applicabilità dell’agevolazione alle case di cura private, sottolineando che, a tale data, ciò non era ancora avvenuto.

E’ del tutto evidente che così facendo l’ufficio aveva sin dal primo grado introdotto il tema dell’applicabilità o meno dell’agevolazione alle case di cura private, quale il soggetto ricorrente, subordinando l’accoglimento della domanda di rimborso all’applicazione della normativa agevolativa.

In altri termini, poichè la eventuale conferma dell’applicabilità dell’agevolazione da parte del Direttore Provinciale – menzionata nelle controdeduzioni di primo grado – non avrebbe potuto essere determinata che da una valutazione sui requisiti giuridici per concedere tale misura, è condivisibile la conclusione della CTR secondo cui, affermando fin dal primo grado che l’accoglimento dell’istanza era subordinata a tale conferma, l’ufficio aveva introdotto fin da subito il tema dei presupposti legali per l’applicabilità dell’agevolazione. Certamente tale argomento è stato sviluppato con più precisione in appello, anche per la posizione processuale dell’ufficio, che era divenuta quella di appellante a seguito della soccombenza nel giudizio di primo grado, ma non si può affermare che il tema fosse estraneo a quest’ultimo.

Con il secondo motivo deduce falsa interpretazione e/o applicazione del dettato dell’art. 116 c.p.c. nonchè della normativa contenuta nel D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, nella L. n. 833 del 1978, art. 43; violazione del disposto dell’art. 3 Cost. Italiana, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La società ricorrente era stata, infatti, riconosciuta dalla Regione Campania, con delibera del 25.2.2005, come presidio ospedaliero della Asl (OMISSIS), e ciò sarebbe stato sufficiente per riconoscere l’agevolazione, mentre la CTR avrebbe compiuto una erronea distinzione tra accreditamento provvisorio e definitivo.

Il motivo è infondato.

Questa Corte si è già occupata specificamente della questione (sez. V n. 33244 del 2018), tra l’altro in relazione ad un caso che riguardava una casa di cura che deve appartenere allo stesso gruppo dell’odierna ricorrente, e si trovava nella stessa situazione giuridica, ripercorrendo la successione delle norme ed il loro contenuto sul tema, ricordando che

Invero, la L. n. 132 del 1968, art. 2, prevedeva al comma 1 che “sono enti ospedalieri gli enti pubblici che istituzionalmente provvedono al ricovero ed alla cura degli infermi”, con la precisazione che “possono, inoltre, istituire, anche fuori dell’ospedale, ambulatori, dispensari, consultori, centri per la cura e la prevenzione di malattie sociali e del lavoro, centri per il recupero funzionale, e compiere ricerche e indagini scientifiche e medico-sociali in ordine al conseguimento degli scopi istituzionali”. Successivamente con la L. n. 833 del 1978 veniva istituito il servizio sanitario nazionale, con l’introduzione delle unità sanitarie locali (art. 10 “alla gestione unitaria della tutela della salute si provvede in modo uniforme sull’intero territorio nazionale mediante una rete completa di unità sanitarie locali. L’unità sanitaria locale è il complesso dei presidi, degli uffici, degli uffici e dei servizi dei comuni…”). I compiti, di vario genere, delle unità sanitarie locali venivano indicati dalla L. suindicata, art. 14. Con il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 1 bis, si è poi stabilito che “in funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale”. All’art. 4, comma 1 (aziende ospedaliere e presidi ospedalieri) si è disposto che “per specifiche esigenze assistenziali, di ricerca scientifica, nonchè di didattica del servizio sanitario nazionale…possono essere costituiti o confermati in aziende…gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico…”. Al comma 9 si è aggiunto che “gli ospedali che non siano costituiti in azienda ospedaliera conservano la natura di presidi dell’unità sanitaria locale”. Per giurisprudenza di legittimità ormai consolidata (Cass. Civ., 11 aprile 2018, n. 8922; Cass. Civ., 29 gennaio 2016, n. 1687; Cass. Civ., 28 maggio 2014, n. 11918; Cass. Civ., 4 settembre 2013, n. 20249), mentre alle a.s.l. sono stati assegnate attività e funzioni diverse e nuove, i “vecchi” enti ospedalieri mantengono una loro autonomia, o in quanto costituiti in “aziende ospedaliere”, o quali “presidi” ospedalieri nell’ambito delle a.s.l.. il D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, comma 1, elencando i soggetti beneficiari della riduzione alla metà dell’Irpeg, ha mantenuto alla lett. a) la originaria dizione di “enti ospedalieri”. Pertanto, si è ritenuto che tale agevolazione, espressamente inserita tra quelle di carattere soggettivo, non è applicabile alle aziende sanitarie locali, neanche in via di interpretazione estensiva.

Anche in quel caso, peraltro, il contribuente aveva ottenuto un accreditamento provvisorio dalla Regione, e questa Corte ha, pertanto, esaminato anche questo aspetto, ricordando l’esistenza di una risoluzione della Agenzia delle entrate (n. 179/E del 9-72009) favorevole alla interpretazione della ricorrente.

Ha, pertanto, affrontato il problema se il regime di accreditamento provvisorio di un soggetto privato possa consentire l’applicazione della agevolazione fiscale sino ad ora negata alle Asl e concessa solo ai “vecchi” enti ospedalieri, poi confluiti in aziende ospedaliere e in presidi ospedalieri delle Asl.

Questa Corte ha dato a tale quesito risposta negativa, in base ad una interpretazione restrittiva della L. n. 132 del 1968, art. 2, in relazione alla nozione di “enti ospedalieri”, affermando al riguardo che

Invero, il riferimento della ricorrente alla L. n. 833 del 1978, art. 43, comma 2, non consente, comunque, una interpretazione estensiva della L. n. 132 del 1968, art. 2. Infatti, l’art. 43, comma 2, prevede che “…le istituzioni di carattere privato che abbiano un ordinamento dei servizi ospedalieri corrispondente a quello degli ospedali gestiti direttamente dalle unità sanitarie locali, possono ottenere dalla regione, su domanda da presentarsi entro i termini stabiliti con legge regionale, che i loro ospedali, a seconda delle caratteristiche tecniche e specialistiche, siano considerati, ai fini dell’erogazione dell’assistenza sanitaria, presidi dell’unità sanitaria locale nel cui territorio sono ubicati, sempre che il piano regionale sanitario preveda i detti presidi. I rapporti dei predetti istituti, enti ed ospedali con le unità sanitarie locali sono regolati da apposite convenzioni”. Con il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 4, si è previsto che “ferma restando la competenza delle regioni in materia di organizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private, a norma della L. n. 833 del 1978, art. 43, con atto di indirizzo e coordinamento…sono definiti i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi richiesti per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private e la periodicità dei controlli sulla permanenza dei requisiti stessi”. Il sistema dell’accreditamento è sorto, poi, con la L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 6, ove si dispone che “a decorrere dalla data di entrata in funzione del sistema di pagamento delle prestazioni sulla base di tariffe predeterminate dalla regione cessano i rapporti convenzionali ed entrano in vigore i nuovi rapporti fondati sull’accreditamento, sulla remunerazione delle prestazioni e sull’adozione del sistema di verifica delle qualità previsti al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 7…la facoltà di libera scelta da parte dell’assistito si esercita nei confronti di tutte le strutture ed i professionisti accreditati dal Servizio sanitario nazionale in quanto risultino effettivamente in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente ed accettino il sistema della remunerazione a prestazione”. Per la giurisprudenza di legittimità, quindi, si è ritenuto che, nell’ambito del S.s.n., il passaggio dal regime di convenzionamento esterno al nuovo regime dell’accreditamento – previsto dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, poi integrato dalla L. n. 724 del 1994, art. 6 – non ha modificato la natura del rapporto esistente tra la p.a. e le strutture private, che rimane di natura sostanzialmente concessoria; ne consegue che non può essere posto a carico dell’ente pubblico alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie in assenza di un provvedimento amministrativo regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali (Cass. Civ., 18 dicembre 2014, n. 26689; Cass. Civ., 17711/2014; Cass. Civ., 1740/2011). Pertanto, se è vero che la conservazione dell’efficacia del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, laddove si riferisce agli “enti ospedalieri”, e quindi poi, dopo le modifiche normative, sempre ai “vecchi” enti ospedalieri, ma in quanto costituiti in “aziende ospedaliere”, o quali “presidi” ospedalieri nell’ambito delle a.s.l., consente di riferire il beneficio fiscale agli enti che svolgono sostanzialmente e strutturalmente le funzioni dei soppressi enti ospedalieri nell’ambito della rete ospedaliera pubblica del servizio sanitario nazionale, ma limitatamente, come detto, alle “aziende ospedaliere ed ai “presidi ospedalieri”, ai fini del beneficio fiscale di cui alla L. n. 132 del 1968, art. 2, non può effettuarsi alcuna parificazione, a tali fini, con le istituzioni di carattere privato che “abbiano un ordinamento dei servizi ospedalieri corrispondente a quello degli ospedali gestiti direttamente dalle unità sanitarie locali”, ai sensi della L. n. 833 del 1978, art. 43, comma 2. Pertanto, nella specie, la società ricorrente, in quanto titolare solo di un “accreditamento provvisorio”, con la regione Campania, come pacificamente ammesso dalla parte, ma il ragionamento non muterebbe neppure in presenza di “accreditamento definitivo”, non può beneficiare della riduzione fiscale ai fini Ires, stante la nozione “ristretta” di “enti ospedalieri”, ricomprendenti solo aziende ospedaliere e presidi ospedalieri, ma non le istituzioni di carattere privato che hanno un ordinamento dei servizi ospedalieri “corrispondente a quello degli ospedali gestiti direttamente dalle unità sanitarie locali”.

E’ pertanto esclusivamente ai soppressi enti pubblici ospedalieri, in seguito confluiti nelle aziende ospedaliere e nei presidi ospedalieri delle a.s.l., che continua a riferirsi l’agevolazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, comma 1, lett. a) (in tal senso sez. V, n. 12500 del 2019).

Ritiene questo collegio che questa interpretazione debba essere confermata, anche in virtù della eccezionalità delle norme agevolative tributarie, non suscettibili di estensione.

Poichè l’agevolazione di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, comma 1, lett. a), ha indiscussa natura soggettiva e, pertanto, può giustificarsi la sua applicazione ai soli enti pubblici ospedalieri – ai quali soltanto originariamente si riferiva, in considerazione dell’esclusività e della tipicità del fine sociale previsto per ciascun ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell’entrata in vigore della stessa norma- anche se in seguito confluiti nelle aziende ospedaliere e nei presidi ospedalieri delle a.s.l., non può estendersi la sua applicazione agli enti privati, neppure in ragione del loro riconosciuto svolgimento della funzione di “presidio ospedaliero”, perchè questo equivarrebbe a trasformare la disposizione in un’agevolazione di natura oggettiva, concessa in relazione all’attività svolta e non anche alla natura pubblica degli enti, considerata dal legislatore (in tal senso, sempre sez. V, n. 12500 del 2019 sopra citata).

Con il terzo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione e/o interpretazione della norma contenuta nel D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

La sentenza impugnata ha errato laddove ha applicato la decadenza per l’istanza di rimborso non solo alle somme versate a saldo, ma anche a quelle in acconto, in quanto, nel caso di richiesta di restituzione di eccedenze di somme versate in acconto, il termine decorre dal momento del versamento del saldo.

Il motivo è assorbito dal rigetto del precedente, perchè il riconoscimento della legittimità del diniego di rimborso per motivi di merito assorbe logicamente il problema della tempestività dell’istanza relativa.

Considerata la relativa novità della questione, risolta sulla base di una interpretazione giurisprudenziale, sussistono giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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