Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18602 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7544/2015 proposto da:

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in proprio e quale

successore del soppresso INPDAI e di successore ex lege nei diritti

di S.C.I.P. – Società di Cartolarizzazione degli Immobili Pubblici

s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Cesare Beccaria n. 29, presso

lo studio dell’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e

difeso dagli avvocati De Ruvo Gaetano, Anziano Daniela, Pischedda

Samuela, Policastro Lucia, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 347/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/07/2020 dal cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A.A. convenne in giudizio l’Inps chiedendo che fosse emessa a suo favore una sentenza ex art. 2932 c.c. di trasferimento del diritto di usufrutto di un appartamento sito in (OMISSIS), già dall’attrice condotto in locazione, subordinatamente al pagamento del prezzo determinato secondo i parametri previamente comunicati dall’ente;

l’Inps eccepì il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, oppose che l’immobile, del quale l’appartamento faceva parte, era stato qualificato come “di pregio”, donde era stata inviata all’attrice una nuova lettera di offerta (in data 4-6-2007, rispetto a quella originaria dell’8-9-2006) contenente la rideterminazione del prezzo sia della piena proprietà che dell’usufrutto;

il tribunale di Milano rigettò la domanda dopo aver disatteso l’eccezione di giurisdizione; osservò che l’opzione attribuita all’attrice dall’Inps con lettera dell’8-9-2006 aveva evidenziato tutti gli elementi essenziali del contratto di compravendita della piena proprietà e solo alcuni elementi, invece, del regolamento negoziale attinente al trasferimento del diritto di usufrutto, essendo mancato a tal riguardo il calcolo del valore di tale diritto e la quantificazione del prezzo; donde l’importo proposto dall’attrice in corrispettivo (34.200,90 EUR) non poteva dirsi suffragato da elementi sicuri e inequivocabili;

la sentenza, impugnata dalla A., è stata riformata dalla corte d’appello di Milano, sulla base della considerazione che la proposta dell’8-9-2006 era stata accettata dall’interessata il 12/10/2006, cosicchè tra le parti si era instaurato un contratto preliminare attributivo del diritto di acquistare l’usufrutto dell’appartamento;

diversamente dal tribunale, la corte d’appello riteneva che il punto 4 della proposta suddetta avesse indicato in modo dettagliato e preciso anche i parametri di calcolo per la determinazione del valore di usufrutto, e che il prezzo, pur non essendo stato indicato espressamente, non poteva dirsi indeterminabile;

a sua volta l’offerta della controprestazione era stata ritualmente determinata nelle conclusioni assunte dall’attrice, e di nessuna rilevanza doveva ritenersi l’avvenuta emanazione, dopo l’accettazione della proposta, del D.M. 13 aprile 2007 col quale gli edifici di (OMISSIS) erano stati riportati tra gli immobili di pregio, non essendo tale disposizione idonea a inficiare il contenuto del contratto preliminare già concluso; nè poteva ritenersi che il D.M. suddetto avesse in qualche misura inciso ai sensi dell’art. 1339 c.c. determinando una correzione ex lege del prezzo pattuito tra le parti, essendosi trattato di un semplice intervento sulla qualificazione catastale e non potendo ammettersi, d’altronde, che l’amministrazione, nell’agire iure privatorum, potesse modificare unilateralmente uno degli elementi del contratto attraverso un provvedimento autoritativo;

per la cassazione della sentenza, depositata il 28-1-2014, non notificata, l’Inps ha proposto ricorso affidandosi a cinque motivi;

l’intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – l’Istituto ricorrente nell’ordine deduce:

(i) col primo motivo, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1331 c.c., del D.L. n. 351 del 2001, art. 3 conv. con modificazioni in L. n. 410 del 2001, e art. 2932 c.c., oltre che l’omesso o insufficiente esame di un fatto controverso, per avere la corte d’appello erroneamente affermato che vi era stata, in data anteriore al D.M. 13 aprile 2007 dichiarativo del pregio dell’immobile, una vera e propria offerta in opzione per la vendita del diritto di usufrutto; da questo punto di vista rimprovera alla corte territoriale di non aver considerato che l’Inps aveva comunicato all’interessata le sole modalità e condizioni di vendita del diritto di proprietà (non dell’usufrutto), al prezzo determinato per gli immobili non di pregio, mentre il sopravvenuto D.M. del 2007, in ragione della riclassificazione del bene, aveva posto un problema di coordinamento tra norme – da un lato relative alla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico e dall’altro relative alla conclusione dei contratti; cosicchè la rideterminazione successiva al detto D.M. (avvenuta con lettera del 4-6-2007) aveva di nuovo quantificato il prezzo della (sola) piena proprietà, e in conclusione il procedimento di vendita non poteva dirsi perfezionato sulla base del prezzo a suo tempo indicato, essendo mancata la volontà libera dell’Istituto nella valutazione dell’immobile e nella conseguente determinazione del prezzo di cessione;

(ii) col secondo motivo, la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., per avere il giudice a quo omesso di scrutinare la circostanza che sulla natura di pregio dell’immobile e sull’incidenza della classificazione nelle procedure in corso si era formato il giudicato in base alla sentenza n. 2808 del 2010 del Consiglio di stato, prodotta nella fase di appello;

(iii) col terzo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1339 c.c. per avere la corte territoriale mancato di considerare, anche rispetto a tale problematica, la rilevanza e la legittimità del D.M. 13 aprile 2007, discendente dalla citata sentenza del Consiglio di stato e dalla giurisprudenza a essa successiva – D.M. funzionalmente deputato a fornire la corretta lettura del complesso procedimento di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, nell’alveo della quale la disposizione di natura imperativa si imponeva come meccanismo di sostituzione automatica di distinte clausole negoziali;

(iv) col quarto, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1325,1329,1331,1346 e 1470 c.c., oltre che il vizio di motivazione, a proposito dell’affermazione dell’impugnata sentenza circa l’esatta determinazione o la determinabilità del prezzo dell’usufrutto;

(v) col quinto, infine, la violazione o falsa applicazione dei principi in materia di riparto della giurisdizione a proposito dell’avvenuto rigetto della corrispondente eccezione sollevata nella sede di merito;

II. – deve essere prioritariamente disatteso il quinto motivo di ricorso, sul quale il collegio può pronunciare ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 1, pur essendo devoluta una questione di giurisdizione; difatti le Sezioni unite della Corte hanno già più volte affermato che “in tema di dismissione di immobili pubblici, quando il conduttore accetta l’offerta in opzione contenente gli elementi essenziali della vendita, si perfeziona un contratto preliminare che gli attribuisce il diritto di acquistare al prezzo fissato, esercitabile anche con azione ex art. 2932 c.c. davanti al giudice ordinario, essendo ormai uscita la determinazione del prezzo dalla discrezionalità tecnica dell’offerente ed essendo irrilevante il successivo mutamento della qualifica dell’immobile (nella specie, riclassificato come “di pregio”)” (Cass. Sez. U n. 6023-16, Cass. Sez. U n. 19281-18);

III. – alla luce del dianzi citato principio il ricorso va peraltro interamente rigettato, poichè i restanti motivi, per una parte, replicano doglianze esattamente sovrapponibili a quelle già dall’Inps poste al fondo di separate impugnazioni, da questa Corte scrutinate e respinte, avverso analoghe sentenze della corte d’appello di Milano, sempre riguardanti beni siti nell’immobile di (OMISSIS); per l’altra, si risolvono in censure in fatto, rispetto a diverse ricostruzioni delle condotte individuali da parte del giudice del merito;

IV. – giova dire che la corte d’appello ha accolto il gravame della sig.ra A., ritenendo che la lettera con cui l’Inps aveva comunicato le condizioni per l’esercizio del diritto di opzione era stata fin dall’inizio parametrata anche al valore di usufrutto, ed era stata riscontrata da pronta risposta con l’esercizio del diritto offerto, sicchè il contratto si era perfezionato con l’accettazione; ha soggiunto che difatti il contratto definitivo non poteva che riprodurre le condizioni pattuite nel preliminare, frutto di libera determinazione rispetto alla quale restava irrilevante la successiva diversa qualificazione (rectius, classificazione) dello stabile;

ciò rappresenta valida risposta alla distinta tesi dalla ricorrente esplicitata nell’ambito del primo motivo, che in definitiva si sostanzia nella rilevata differenza tra l’opzione civilistica, che si caratterizza per la irrevocabilità della proposta, e l’opzione che interesserebbe rispetto alla disciplina speciale inerente i beni pubblici;

questa tesi non tiene conto di quanto di diverso affermato dalla corte territoriale in ordine all’essere stata fatta un’offerta da parte dell’amministrazione con le caratteristiche della “proposta irrevocabile” (pag. 4 della sentenza); dacchè la conseguente perdita da parte dell’Inps di ogni discrezionalità (recte, possibilità) di nuova determinazione del prezzo;

V. – chiaramente infondato è il secondo motivo di ricorso;

si sostiene che la citata sentenza del Consiglio di stato in ordine alla legittimità del provvedimento generale di riclassificazione dell’immobile come di pregio doveva far stato tra le parti anche in ordine agli effetti della riclassificazione dopo l’avvio della procedura di vendita;

viceversa, come questa Corte ha già in altre cause affermato, l’impugnazione del provvedimento di riclassificazione costituiva “cautela necessaria degli acquirenti, per l’ipotesi in cui non fosse stata accolta la loro tesi principale circa la avvenuta conclusione di un’opzione vincolante”; donde “non può predicarsi un effetto di giudicato relativamente a un’affermazione incidentale del Consiglio di stato che trova limite nel giudizio impugnatorio ad esso devoluto” (Cass. Sez. U n. 19281-18);

resta dunque intatta la considerazione del giudice a quo, tradotta in un accertamento di fatto insindacabile in questa sede (se non sotto il profilo, non dedotto, del rispetto dei criteri di interpretazione del contratto), per cui anteriormente al provvedimento amministrativo si era già formato il vincolo negoziale;

VI. – simile dato elide il fondamento anche del terzo motivo, poichè in definitiva la corte del merito ha stabilito che il contratto preliminare si era perfezionato appunto nel 2006, con l’accettazione tempestiva dell’oblata, allorchè il procedimento di riclassificazione era ancora in corso; ed è evidente che il contratto non poteva sottostare a una clausola che, per quanto si possa dire imperativa, ancora a quel momento non esisteva;

VII. – il quarto motivo è inammissibile, essendo interamente incentrato su una critica di merito;

la corte d’appello ha accertato che già la comunicazione dell’8/9/2006, da considerare alla stregua di proposta irrevocabile, conteneva gli elementi essenziali per determinare il valore dell’usufrutto, cosicchè anche se il prezzo non era stato in tal senso determinato esplicitamente (a differenza del prezzo della vendita della piena proprietà), esso doveva considerarsi in ogni caso determinabile proprio in base ai parametri indicati, semplicemente applicando la relativa formula matematica; e ha peraltro anche ribadito che l’importo risultante non era stato mai oggetto di contestazione da parte dell’Inps;

l’Istituto ricorrente insiste nel dire il contrario, vale a dire che il prezzo non era stato determinato e che comunque non lo era stato il termine di stipula del contratto di vendita dell’usufrutto nè la modalità del pagamento: il primo rilievo è però irrilevante a fronte della corretta affermazione della corte d’appello attestata sul profilo della determinabilità del prezzo; mentre il secondo non è decisivo per negare il valore dell’accertamento di fatto a proposito dell’intervenuto perfezionamento di un contratto determinativo dell’obbligo di trasferimento;

VIII. – il ricorso, in conclusione, è rigettato;

le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 4.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

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