Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18600 del 12/09/2011

Cassazione civile sez. I, 12/09/2011, (ud. 16/02/2011, dep. 12/09/2011), n.18600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. MACIONE Luigi – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.C., domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Rolando e

Dante Bodo, giusta procura in calce al ricorso per cassazione;

C.F.: (OMISSIS); – ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avv.to

Giovanni Bonino per mandato in calce al controricorso;

C.F.: (OMISSIS); – controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino, 1 sezione civile,

n. 1342/06 emessa il 12 maggio 2006, depositata il 2 agosto 2006, R.G. n. 177/04;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 16 febbraio 2011

dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Giovanni Bonino per la controricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata

che ha concluso per la inammissibilità o, in subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.G. chiedeva e otteneva a seguito di ricorsoex art. 700 c.p.c., la revoca dalla carica di amministratore della s.a.s. S.I.A. di T.C.. Il provvedimento veniva confermato dal Tribunale di Biella in sede di reclamo e in sede di giudizio di merito, con sentenza di revoca dalla carica ed esclusione dalla compagine societaria e con contestuale autorizzazione dell’amministratore giudiziario a procedere alla liquidazione della società.

La sentenza è stata appellata da T.C. che ha eccepito l’improponibilità della domanda per la presenza di una clausola compromissoria, per arbitrato irrituale, nell’art. 5 dello statuto sociale e la sua inammissibilità per non essere prevista, dalla normativa sulle società di persone, la destituzione dell’amministratore. Ha eccepito inoltre la esistenza di un giudizio preliminare sull’accertamento della effettiva proprietà delle quote sociali, il difetto di contraddittorio nei confronti della S.I.A. e il vizio di ultrapetizione quanto alla autorizzazione non richiesta dalle parti alla liquidazione della società. Ha infine ritenuto l’infondatezza della pronuncia dato che la sua gestione della società era stata ritenuta proficua nella stessa relazione dell’amministratore giudiziario ed effettuata anche nell’interesse di M.G., unica socia accomandante, che aveva rilasciato procura generale in suo favore.

La Corte di appello di Torino ha accolto l’appello limitatamente alla eccepita ultrapetizione.

Ricorre per cassazione T. affidandosi a due motivi di ricorso.

Si difende con controricorso M.G. che deposita memoriaex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce la improponibilità del ricorso al giudice in materia societaria, in presenza di clausola arbitrale nel contratto sociale stipulato fra due soci, dei quali l’accomandatario abbia anche procura ad negotia del coniuge accomandante, con conseguente violazione dell’art. 806 c.p.c.. La deduzione del vizio viene proposta dal ricorrenteex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il ricorrente formula il seguente quesito con riferimento all’art. 366 bis c.p.c.: il principio fatto proprio da alcune massime della S.C. e da parte della Dottrina, secondo cui tutte le controversie ex artt.2259,2315e2293 cod. civ.non sono compromettibili in arbitriex art. 806 c.p.c.non può essere ritenuto di portata generale, facendovi eccezione particolari controversie, quali quelle fra coniugi-soci in società personali, ove la compromettibilità trova la sua ragione in esigenze di riservatezza e di celerità nella soluzione dei dissidi insorti.

Il motivo di ricorso va respinto. La giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sezione 1^, n. 3772 del 23 febbraio 2005) afferma che le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi.

L’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio. E’ stato quindi ritenuto che non è compromettibile in arbitri l’azione di revoca per giusta causa di un amministratore di società in accomandita sempliceex art. 2259 cod. civ.in relazione all’art. 2315e2293 cod. civ.fondata sulla violazione da parte dell’amministratore medesimo delle disposizioni che prescrivono la precisione e la chiarezza dei bilanci nonchè dell’obbligo di consentire ai soci il controllo della gestione sociale, trattandosi di disposizioni preordinate alla tutela di interessi non disponibili da parte dei singoli soci e perciò non deferibili al giudizio degli arbitri (Cass. civ., sezione 1^, n. 1739 del 18 febbraio 1988). E’ stata altresì disconosciuta la compromettibilità in arbitri, relativamente alla controversia concernente l’esclusione del socio da cui derivi lo scioglimento della società (Cass. civ., sezione 1^, n. 404 del 7 febbraio 1968) e quella concernente lo scioglimento della società anche di persone (Cass. civ., sezione 1^, n. 12412 del 19 settembre 2000).

Con il secondo motivo di ricorso si deduce il difetto di integrità del contraddittorio e conseguente nullità del procedimento e della sentenza per la mancata citazione nel giudizio di merito dell’amministratore giudiziale, L.P.L., nominata prima dell’inizio del giudizio stesso, nella qualità di legale rappresentante della S.I.A. s.a.s. Deduzione del vizioex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5.

Il ricorrente formula il seguente quesito con riferimento all’art. 366 bis c.p.c.: se, nelle controversie di cui agli artt.2259,2315e2293 cod. civ., allorchè il socio accomandatario è stato revocato con provvedimento giudiziale emesso ante causasi, il successivo giudizio di merito, a pena di nullità dell’intero giudizio, deve essere promosso anche nei confronti dell’amministratore di nomina giudiziale.

Il motivo è infondato e va respinto in quanto, come ha affermato la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sezione 1^, n. 7886 del 5 aprile 2006, Cass. civ., sezione 2^, n. 15229 del 20 luglio 2005 eCass. civ., sezione 3^, n. 8399 del 27 maggio 2003) nelle società di persone, l’unificazione della collettività dei soci (che si manifesta con l’attribuzione alla società di un nome, di una sede, di un’amministrazione e di una rappresentanza) e l’autonomia patrimoniale del complesso dei beni destinati alla realizzazione degli scopi sociali (che si riflette nell’insensibilità, più o meno assoluta, di fronte alle vicende dei soci e nell’ordine, più o meno rigoroso, imposto ai creditori sociali nella scelta dei beni da aggredire) costituiscono un congegno giuridico volto a consentire alla pluralità {dei soci) una unitarietà di forme di azione e non valgono anche a dissolvere tale pluralità nell’unicità esclusiva di un ente “terzo”. Pertanto, mentre sul piano sostanziale va esclusa, nei rapporti interni, una volontà od un interesse della società distinto e potenzialmente antagonista a quello dei soci, sul piano processuale è sufficiente, ai fini di una rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti della società, la presenza in giudizio di tutti i soci, facendo poi stato la pronuncia emessa, nei confronti di questi e anche nei riguardi della società (cfr., di recente,Cass. civ., sezione 1^, n. 8570 dell’8 aprile 2009secondo cui nel giudizio relativo all’esclusione del socio di una società di persone, la legittimazione passiva compete esclusivamente alla società, in persona del legale rappresentante ma è consentita, come modalità equipollente d’instaurazione del contraddittorio, la citazione di tutti i soci, notificata nel termine di decadenza previsto dall’art. 2287 cod. civ.).

Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 2.500 di cui 200 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2011

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