Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18600 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 22/06/2020, dep. 07/09/2020), n.18600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23195/2014 proposto da:

F.P., B.D., F.A., G.D.,

elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Sallustio n. 9, presso lo

studio dell’avvocato Palermo Gianfranco, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Rossetti Aldo, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Trasolini S.r.l., nella qualità di incorporante della Piana delle

Ginestre s.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, Via Buccari n.

11, presso lo studio dell’avvocato Tomassini Andrea, rappresentata e

difesa dall’avvocato Tomassini Franco, giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

F.P., B.D., F.A., G.D.,

elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Sallustio n. 9, presso lo

studio dell’avvocato Palermo Gianfranco, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Rossetti Aldo, giusta procura in

calce al controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3961/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2020 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 3961/2014 pubblicata l’11-6-2014 la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’impugnazione principale proposta da F.P., B.D., F.A. e G.D. e l’impugnazione incidentale proposta da Trasolini s.r.l. avverso il lodo arbitrale pronunciato in data 21/11/2013, con il quale era stata accolta, sia pure in parte, la domanda della Trasolini s.r.l., era stata dichiarata la risoluzione ai sensi dell’art. 1489 c.c. del contratto preliminare di vendita di un fondo situato nel Comune di Velletri e i promittenti venditori erano stati condannati alla restituzione degli acconti versati dalla promissaria acquirente, pari a Euro 500.000, ed al risarcimento del danno liquidato in Euro 404.587, oltre accessori e spese. La Corte territoriale ha ritenuto che con l’impugnazione principale, nonostante il formale richiamo delle ipotesi di cui all’art. 829 c.p.c., nn. 9 e 11 in realtà erano state svolte censure inerenti violazioni di regole di diritto relative al merito, non consentite ratione temporis. Ha ritenuto inammissibile anche l’impugnazione incidentale, in quanto non era ancorata a motivi di nullità del lodo di cui all’art. 829 c.p.c., ma a vizi di motivazione.

2. Avverso questa sentenza F.P., B.D., F.A. e G.D. propongono ricorso, affidato a cinque motivi, nei confronti della Trasolini s.r.l., che resiste con controricorso e propone ricorso incidentale con un solo motivo.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. Le parti ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso principale i ricorrenti lamentano “Violazione di norme di legge: art. 828 c.p.c., comma 1, art. 830 c.p.c., comma 1, artt. 342 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”. Deducono di aver proposto le censure mediante distinti e concorrenti motivi, come era dato leggere alle pag. 39 e seguenti dell’atto di impugnazione del lodo, il cui contenuto letterale, nel rispetto del principio di autosufficienza, riportano nel ricorso. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte d’appello erroneamente ha ritenuto che il procedimento di impugnazione promosso dagli “appellanti” potesse essere definito senza procedere all’esame di ciascuno dei singoli motivi in quanto non sarebbe stato operato dagli “appellanti” alcun riferimento, “sia pure generico ed approssimativo alle ipotesi di nullità tassativamente contemplate dall’art. 829 c.p.c.”. Lamentano l’omesso giudizio di controllo, effettivo e concreto, sul contenuto della loro articolata impugnazione, da parte della Corte territoriale.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti principali lamentano “Violazione di norma di legge: art. 829 c.p.c., n. 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”. Allegano che con il motivo n. 6, alle pag. 51-55 dell’atto di “appello”, avevano censurato la decisione arbitrale per avere dato ingresso a una tardiva domanda di tipo risarcitorio – avente ad oggetto un asserito “lucro cessante” per impossibilità di edificazione del terreno come libero da pesi e vincoli – a fronte della quale i ricorrenti avevano dichiarato, a verbale di udienza arbitrale in data 23.7.2013, di non accettare il contraddittorio, ritenendo inammissibile la suddetta domanda, stante la sua genericità, ed irritualmente proposta in quanto introduttiva di un nuovo petitum e di una nuova causa petendi. Inoltre deducono di aver censurato, con il motivo 6, la decisione arbitrale per avere accolto detta domanda, disponendo una consulenza tecnica di ufficio di carattere palesemente ed inammissibilmente esplorativo. Si dolgono, dunque, dell’omessa analisi della suddetta specifica censura, che costituiva il nucleo centrale dell’impugnazione, mentre la Corte di Appello di Roma ha ritenuto di poterla considerare ininfluente, affermando che “il principio del contraddittorio si riassume essenzialmente nel compimento di quanto previsto dalla legge per assicurare la preventiva audizione di entrambe le parti”.

3. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Premesso che la clausola compromissoria, prevista all’art. 16 del contratto preliminare di vendita di data 16-1-2008, è stata stipulata successivamente al 2 marzo 2006 e non sono, pertanto, deducibili violazioni di norme di diritto sostanziale (Cass. S.U. 9284/2016), la doglianza di cui al primo motivo è espressa genericamente, nella parte in cui non risulta specificato quale profilo di impugnazione non sia stato, in tesi, esaminato e, soprattutto, quale sia stato il vulnus derivatone. Identiche considerazioni valgono per la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., richiamata, peraltro, con mero riferimento all’asserita “specificità” dei motivi di gravame (pag. n. 46 ricorso), senza nulla aggiungere, nè precisare in ordine alla ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo la quale nessuna delle censure è riconducibile alle ipotesi di nullità tassativamente previste dall’art. 829 c.p.c..

L’atto di impugnazione è stato esaminato dalla Corte d’appello, che ha distinto le varie parti di detto atto, riassunto le articolate censure ivi espresse, e dato anche conto della questione della domanda “nuova”, relativa al risarcimento danno per mancato guadagno e non solo per danno emergente, che i ricorrenti principali assumono essere stata l’originaria domanda proposta dalla promissaria acquirente (secondo motivo). I giudici di merito hanno ritenuto che non si fosse verificata alcuna violazione del principio del contraddittorio, riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 829 c.p.c., n. 9 e le critiche espresse al riguardo dai ricorrenti principali sono prive di fondamento.

Segnatamente, non risulta che nella procedura arbitrale di cui trattasi le parti abbiano previsto l’applicazione delle forme del giudizio ordinario, nè risulta che le parti, titolari delle posizioni sostanziali e, insieme agli arbitri, del procedimento, rimanendo tuttavia le sole depositarie della capacità di prescrivere forme a condizione di validità del lodo, abbiano così voluto e infine imposto anche agli arbitri un calendario scandito da preclusioni. Pertanto la questione della violazione del contraddittorio deve essere esaminata non sotto il profilo della violazione, sul piano formale, di una prescrizione preordinata alla realizzazione di tale principio, ma nell’ambito di una ricerca volta all’accertamento di una effettiva lesione della possibilità di dedurre e di contraddire, onde verificare se l’atto abbia egualmente raggiunto lo scopo di instaurare un regolare contraddittorio e se, comunque, l’inosservanza non abbia causato pregiudizio alla parte (Cass. n. 2201/2007 e così espressamente Cass. n. 131/2014). Ne consegue che la nullità della sentenza e del procedimento debbono essere dichiarate solo ove, nell’impugnazione, alla denuncia del vizio idoneo a determinarle, segua l’indicazione dello specifico pregiudizio che esso abbia arrecato al diritto di difesa (Cass. 30 dicembre 2011, n. 30652; Cass. 21 febbraio 2008, n. 4435; Cass. 27 luglio 2007, n. 16630). In tale prospettiva, questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui nel giudizio arbitrale il principio del contraddittorio deve dirsi osservato quando le parti hanno avuto la possibilità di esporre i rispettivi assunti, di conoscere le prove e le risultanze del processo ed hanno ottenuto il termine per presentare memorie e repliche e di conoscere in tempo utile le istanze e richieste avverse (cfr. Cass. n. 2201/2007 e Cass. n. 131/2014).

Nel caso di specie, nessuna violazione del principio del contraddittorio nel senso precisato, e come correttamente affermato nella sentenza impugnata, è stata dedotta, nè tantomeno e comunque si è verificata, considerata la scansione temporale del procedimento arbitrale come riportata dagli stessi ricorrenti principali (cfr. pag. n. 13 e 14 ricorso).

4. Con il terzo motivo i ricorrenti principali denunciano “Violazione di norma di legge: art. 829 c.p.c., n. 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Allegano di aver censurato il lodo (motivi 1, 2, 3, 4 e 5) lamentando che il collegio arbitrale avesse definito la controversia con una pronuncia di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1489 c.c. senza che la statuizione avesse fondamento in una coerente ratio decidendi. Si dolgono dell’interpretazione restrittiva data dalla Corte d’appello all’art. 829 c.p.c., n. 11, che prevede la nullità del lodo in quanto “contiene disposizioni contrastanti”, senza che debba aversi esclusivo riguardo all’ipotesi di intrinseca contraddittorietà del “dispositivo” (art. 132 c.p.c., n. 5), dovendo invece interpretarsi l’art. 829 c.p.c., n. 11 nel senso del riferimento legislativo ad una impossibilità di rinvenire il senso logico-giuridico, conseguentemente di comprendere, la linea di pensiero seguita dal giudicante e posta a base di una coerente decisione. Nell’atto di impugnazione del lodo i ricorrenti principali assumono di aver dedotto che: A) le argomentazioni del percorso motivazionale seguito dal collegio arbitrale erano carenti sul piano logico e tra loro contraddittorie (pag.39); B) era impossibile intendere a quale “vincolo” la maggioranza degli arbitri avesse inteso riferirsi per ricondurlo alla fattispecie contemplata dall’art. 1489 c.c. (pag. 42); C) era inconciliabile la ritenuta applicabilità della disciplina contenuta nell’art. 1489 c.c., operante solo in presenza di “oneri non apparenti”, rispetto all’accoglimento della domanda di risoluzione prevista da detta norma, avendo il Collegio Arbitrale accertato ed espressamente dato atto, a pag. 115 del lodo, che “la presenza di reperti archeologici sul terreno di causa non ha costituito una sorpresa per alcuna delle parti, in quanto alcuni resti murari, colonne di marmo, fregi, frammenti ceramici e un sarcofago, utilizzato come fontana, presenti visibili e utilizzati come decorazione testimoniano, prima dell’inizio delle indagini, significative testimonianze di una frequentazione antica; inoltre, risulta documentalmente acclarato che il villino in questione (ossia, quello che secondo i progetti doveva essere demolito per lasciare posto alla nuove costruzioni) ricade su parte di una antica cisterna anch’essa di epoca romana”. Si dolgono, pertanto, della preterizione, da parte della Corte territoriale, delle ragioni addotte a sostegno dell’atto di impugnazione, in particolare del quinto motivo, qualificate, a loro avviso erroneamente, come generica critica all’iter motivazionale seguito dal Collegio arbitrale.

5. Con il quarto motivo lamentano “Omessa motivazione circa un fatto decisivo: art. 360 c.p.c., n. 5”. Deducono che la Corte territoriale, nell’affermare che “il lodo sembra seguire una linea motivazionale ben chiara e plausibile” (pag. n. 5 della sentenza impugnata), non ha esplicitato quale sia stato il criterio seguito al fine di pervenire ad una tale conclusione, essendosi i Giudici limitati ad enumerare le questioni esaminate dal Collegio arbitrale in base ad “un ordine logico”, sicchè ricorre, ad avviso dei ricorrenti principali, il vizio di omessa motivazione, costituendo punto decisivo della controversia l’esame della ratio decidendi, diretto ad accertare la sua caratterizzabilità e intrinseca coerenza con il decisum.

6. Anche i motivi terzo e quarto, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

6.1. Occorre ribadire che nel caso di specie non è consentita, ratione temporis, l’impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto relative al merito e di diritto sostanziale, considerata la data di stipulazione della clausola compromissoria, inserita nel preliminare di vendita di data 16-1-2008, sicchè non può trovare ingresso la censura inerente la violazione dell’art. 1489 c.c. e la natura, apparente o non, degli oneri sul bene oggetto del preliminare di vendita.

6.2. Quanto alla dedotta contraddittorietà interna delle parti del lodo ed ai vizi motivazionali della sentenza impugnata denunciati, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che “In tema di arbitrato, la sanzione di nullità prevista dall’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4, per il lodo contenente disposizioni contraddittorie non corrisponde a quella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma va intesa nel senso che detta contraddittorietà deve emergere tra le diverse componenti del dispositivo, ovvero tra la motivazione ed il dispositivo, mentre la contraddittorietà interna tra le diverse parti della motivazione, non espressamente prevista tra i vizi che comportano la nullità del lodo, può assumere rilevanza, quale vizio del lodo, soltanto in quanto determini l’impossibilità assoluta di ricostruire riter” logico e giuridico sottostante alla decisione per totale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello funzionale” (Cass. n. 11895/2014 e n. 1258/2016).

La Corte d’appello, attenendosi a detti principi, si è pronunciata sulla questione affermando, in ordine alle lamentate contraddizioni sussistenti all’interno della motivazione, che fosse possibile ricostruire il percorso logico e giuridico sottostante alla decisione arbitrale. Premesso che non è consentito a questa Corte l’esame diretto del lodo (Cass. n. 10809/2015 e n. 25189/2017), in base a quanto riportato nella sentenza impugnata ed accertato dalla Corte d’appello, che ha dato conto, seppur sinteticamente, della motivazione della decisione arbitrale sulle questioni esaminate (XI accoglimento domanda risoluzione e XII liquidazione del danno), il lodo ha una motivazione riconducibile al suo modello funzionale, tale da consentire di ricostruire l’iter logico della decisione.

7. Con il quinto motivo i ricorrenti principali lamentano “Violazione di norma di legge: artt. 112 e 829 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”. Rilevano che, in conseguenza del rigetto della domanda avanzata in fase rescindente, la Corte di Appello di Roma ha omesso di attivare e svolgere il giudizio rescissorio. Deducono di aver sostanziale interesse alla definizione di detto giudizio e riportano in ricorso quanto espresso al riguardo alle pag. 55 e ss. dell’atto di impugnazione avanti alla Corte d’appello.

8. Il motivo, limitato alla censura di mancata apertura della seconda fase rescissoria, resta assorbito per effetto delle statuizioni di inammissibilità e rigetto degli altri motivi.

9. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la società Trasolini lamenta “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione su un punto essenziale della controversia. Riforma del lodo nella parte in cui determina il risarcimento del danno nella misura del 50% per concorso di colpa della società”. Ad avviso della controricorrente, la Corte d’appello non ha assolto all’obbligo di motivazione della decisione, non risultando comprensibile la ragione in base alla quale il collegio arbitrale avesse ritenuto di decurtare del 50% il risarcimento spettante alla promissaria acquirente, nonostante fosse stato accertato che i tecnici incaricati dalla proprietà non potessero non conoscere l’esistenza del procedimento amministrativo per l’adozione del PTPR.

10. Il motivo è inammissibile perchè formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riproposizione della questione di fatto relativa al concorso di colpa della promissaria acquirente già oggetto della decisione arbitrale, atteso che il controllo della Suprema Corte non può mai consistere nella rivalutazione dei fatti, neppure in via di verifica della adeguatezza e congruenza dell’iter argomentativo seguito dagli arbitri (Cass. n. 2985/2018).

Peraltro la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo cui l’impugnazione incidentale non fa riferimento ai motivi di nullità di cui all’art. 829 c.p.c..

11. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato e il ricorso incidentale deve dichiararsi inammissibile.

12. Considerato che sono soccombenti sia la ricorrente incidentale, sia i ricorrenti principali, ma che prevalente è la soccombenza di questi ultimi, le spese di lite del presente giudizio sono compensate per metà e i ricorrenti principali sono condannati alla rifusione in favore della ricorrente incidentale della residua metà delle suddette spese, liquidate nell’intero come da dispositivo.

13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. S.U.n. 5314/2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.

Compensa per metà tra le parti le spese del presente giudizio e condanna i ricorrenti principali F.P., B.D., F.A. e G.D. alla rifusione in favore della Trasolini s.r.l. della residua metà di dette spese, liquidate nell’intero in Euro 6.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso spese forfettario ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

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