Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1860 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/01/2019, (ud. 06/11/2018, dep. 23/01/2019), n.1860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29116-2017 proposto da:

ALITALIA CITYLINER SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona

del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO

25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO SANTORI;

– ricorrente –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati ANDREA BORDONE, FERDINANDO FELICE PERONE,

PAOLO PERUCCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 996/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06 giugno 2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 06 novembre 2018 dal Consigliere Relatore Dott.

GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 6 giugno 2017, la Corte d’appello di Milano confermava la decisione del Tribunale in sede che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato stipulato da Alitalia City Liner s.p.a. e C.S. (per lo svolgimento di mansioni di “Pilota di Prima”) in data 11 luglio 2012 e costituito tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con condanna della società al ripristino del rapporto ed al pagamento in favore del lavoratore di un’indennità della L. 4 novembre 2010, n. 183, ex art. 32, pari a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

che ad avviso della Corte territoriale e per quello ancora di rilievo in questa sede: il termine di decadenza di sessanta giorni stabilito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, per l’impugnativa del contratto decorreva dalla data di cessazione effettiva del rapporto di lavoro e non del termine originariamente apposto al contratto, come sostenuto dalla società appellante, sicchè, nel caso in esame, i sessanta giorni non erano decorsi ed il lavoratore non era decaduto dal diritto di impugnare il contratto; la società non aveva indicato, come era suo onere, il numero esatto dei dipendenti stabili nel gennaio 2012 e dei dipendenti a termine assunti D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, ex art. 2, nei singoli mesi onde provare il rispetto della cd. “clausola di contingentamento”, limitandosi ad articolare una prova testimoniale con capitoli generici sul rispetto della percentuale, senza l’indicazione di alcun dato numerico;

che per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la Alitalia Cityliner s.p.a. in Amministrazione Straordinaria affidato a due motivi cui resiste il Corrado con controricorso;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l’integrale accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., degli artt. 115 e 116c.p.c. e degli artt. 11 e 12 preleggi (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere la Corte territoriale erroneamente fatto decorrere il termine di decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, cit. art. 32, dalla data di effettiva cessazione del rapporto e non da quella indicata nel contratto e stabilita dalle parti all’atto della sottoscrizione dello stesso, unica rilevante non potendo la mera prosecuzione del rapporto comportare uno spostamento della scadenza originariamente prevista ragion per cui, nel caso in esame, essendo fissato il termine di scadenza del contratto al 31 ottobre 2012 l’impugnativa proposta con lettera inoltrata in data 8 gennaio 2013 era da considerarsi tardiva diversamente da quanto opinato prima dal Tribunale e, poi, dalla Corte territoriale che avevano individuato il dies a quo nel 14 novembre 2012 giorno in cui il rapporto era effettivamente cessato;

– con il secondo motivo viene dedotta violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115,116,420 e 437c.p.c. e dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo la Corte d’appello erroneamente imputato alla società carenze probatorie, stante anche la genericità delle deduzioni avversarie, e senza considerare che il rispetto della “clausola di contingentamento” doveva ritenersi pacifico stante la mancata contestazione entro il termine della prima udienza da parte del lavoratore delle allegazioni della società evidenziandosi, altresì, il mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi per integrare la prova già fornita dalla società, ove reputata insufficiente;

che il primo motivo è infondato avendo la Corte territoriale correttamente interpretato il disposto della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 3, che, nel dettato applicabile ratione temporis al caso in esame, testualmente recita: “Le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre: a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1,2e 4 e successive modificazioni. Laddove si faccia questione della nullità del termine apposto al contratto, il termine di cui al primo comma del predetto art. 6, che decorre dalla cessazione del medesimo contratto, è fissato in centoventi giorni, mentre il termine di cui al primo periodo del secondo comma del medesimo art. 6 è fissato in centottanta giorni”; …. omissis … d) all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1,2 e 4 e successive modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo.”. E’ di tutta evidenza che laddove il contratto sia proseguito, ai sensi del disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, oltre il termine di scadenza inizialmente fissato quella che viene ad essere spostata è quest’ultima ragion per cui il termine di decadenza decorre dal momento in cui è cessata la prosecuzione del rapporto. Peraltro, anche l’ipotesi contemplata al cit. art. 32, comma 3, lett. a), individua nella cessazione del rapporto il dies a quo per la decorrenza del termine di decadenza;

che il secondo motivo è infondato. In primo luogo va rilevato come il lavoratore nel ricorso introduttivo del giudizio avesse eccepito la nullità dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per violazione della “clausola di contingentamento” sicchè non era suo onere contestare le contrarie allegazioni aziendali o fornire la prova contraria alle allegazioni di controparte avendo egli già espresso la propria posizione al riguardo così fissando quello che era il thema probandum (Cass. n. 6183 del 14/03/2018; Cass. 18046 del 20 agosto 2014). Peraltro, nel caso in esame il lavoratore aveva anche allegato dei dati sull’organico aziendale e sul numero dei contratti a termine stipulati sulla cui scorta la “clausola di contingentamento” risultava violata. Ciò detto, nella impugnata sentenza viene evidenziato come la società si fosse limitata ad allegare di aver rispettato il limite percentuale fissato dalla legge entro il quale era legittimo il ricorso al contratto a termine, senza indicare alcun dato numerico concernente l’organico aziendale nè i contratti a tempo determinato stipulati nel periodo di interesse, nè nel motivo si indica dove e quando siano stati indicati tali dati numerici o da quali documenti prodotti agli atti gli stessi fossero evincibili. Così pure, riguardo alla non ammissione della prova testimoniale articolata, non vengono trascritti i relativi capitoli, trascrizione ancor più necessaria, visto che nella impugnata sentenza ne viene evidenziata la genericità. Infine, nel motivo si insiste con il far riferimento ad un quadro probatorio delineato senza specificare in che modo sicchè anche la denuncia circa il mancato esercizio del potere istruttorio ufficioso di cui agli art. 421 e 437 c.p.c. da parte dei giudici di merito risulta infondata in quanto siffatto potere ben può essere utilizzato anche per superare preclusioni o decadenze in danno delle parti ma, comunque, è diretto a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio (Cass. n. 10790 del 04/05/2017; Cass. n. 19305 del 29/09/2016), dovendosi contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità sicchè la prova disposta d’ufficio è solo un approfondimento, ritenuto indispensabile al fine di decidere, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo;

che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore del controricorrente come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17, (Legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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