Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18599 del 12/09/2011

Cassazione civile sez. I, 12/09/2011, (ud. 16/02/2011, dep. 12/09/2011), n.18599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.C., domiciliato in Roma presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati Rolando

Roberto e Dante Bodo, giusta procura in calce al ricorso per

cassazione (C.F. (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliata in Roma, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv.to Bonino Giovanni per mandato in calce al controricorso

(C.F. (OMISSIS));

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino, sezione prima

civile, n. 56/07 emessa il 12 dicembre 2006, depositata l’11 gennaio

2007, R.G. n. 176/04;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 16 febbraio

2011 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Giovanni Bonino per la controricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per la inammissibilità o, in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.C. conveniva in giudizio la ex moglie, M.G., per ottenere la restituzione delle quote sociali delle società semplici Montecarlo 80, CA.KE., Monicar 89, S.I.A. nonchè dei titoli depositati presso l’Istituto San Paolo di cui la convenuta risultava intestataria. Assumeva che le quote e i titoli erano stati acquistati o costituiti con il suo denaro e intestati fiduciariamente alla M.. Quest’ultima si costituiva e contestava la esistenza del pactum fiduciae affermando che il T. aveva contribuito a costituirle una base patrimoniale personale anche in considerazione della sua rinuncia al lavoro svolto prima della nascita dei figli.

Il Tribunale di Biella respingeva la domanda e la Corte di appello confermava tale decisione.

Ricorre per cassazione T.C. affidandosi a cinque motivi di ricorso.

Si difende con controricorso M.G. che deposita memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 183 e 345 c.p.c. laddove il giudice di appello ha rilevato, anche in contrasto con il decisum in puncto quo dal Tribunale, che l’appellante non poteva inquadrare la fattispecie nel negozio fiduciario o alternativamente nella simulazione assoluta. Denuncia del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente chiede a questa Corte di affermare il seguente principio di diritto: non è incompatibile, nel medesimo giudizio, invocare alternativamente la sussistenza della fattispecie della sussistenza del negozio fiduciario, oppure della diversa fattispecie della simulazione assoluta con richiesta al giudice di decisione conforme alle risultanze probatorie emerse nel giudizio di merito.

Il motivo è infondato. Nel nostro ordinamento processuale è vietata, in primo grado dagli artt. 183 e 184 cod. proc. civ., la mutatio libelli che ricorre quando la parte immuti radicalmente nel corso del giudizio l’oggetto della sua pretesa originaria (petitum) ovvero immuti il fatto giuridico costitutivo del diritto originariamente vantato (causa petendi), introducendo nel processo un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, tale da disorientare la difesa predisposta dalla controparte, e da alterare quindi il regolare svolgimento del contraddittorio, nonchè da procrastinare la decisione della lite (Cass. civ. n. 691 del 2 marzo 1976) . Nel caso in esame la Corte di appello ha rilevato che come già accertato dal Tribunale in primo grado l’appellante ha modificato la causa petendi da richiesta di accertamento di intestazione fiduciaria a nullità per mancanza di causa.

Conseguentemente deve considerarsi formulato in maniera errata il quesito di diritto che si basa su una inesistente proposizione contestuale, e subordinata, dell’azione di simulazione rispetto a quella di accertamento dell’intestazione fiduciaria con obbligo di restituzione.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c. – laddove la Corte di appello di Torino ha rilevato che l’appellante non si sarebbe gravato in ordine alla rilevanza delle prove dedotte e non ammesse, ma solo in ordine alla loro ammissibilità – e vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo il ricorrente l’attenta lettura della pagina 5 dell’atto di appello porta necessariamente alla conclusione opposta rispetto a quella raggiunta dalla Corte di appello. Il motivo difetta di autosufficienza perchè omette di riportare le deduzioni svolte nell’atto di appello dalle quali si desumerebbe la impugnazione del rigetto della richiesta di ammissione della prova testimoniale anche in ragione della rilevanza della stessa.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 244 c.p.c., laddove la sentenza impugnata riferisce di genericità delle prove dedotte ai fini della dimostrazione dell’esistenza del pactum fiduciae, e il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente ritiene che si sia in cospetto di una motivazione insufficiente sul diniego dell’ammissione delle prove orali.

Secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. n. 11457 del 17 maggio 2007) il vizio di motivazione della sentenza conseguente alla mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Nella specie, come si è visto, la ratio decidendi della sentenza della Corte di appello è incentrata sulla rilevata violazione del divieto di mutatio libelli e sulla mancata impugnazione della motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto irrilevanti i capitoli di prova testimoniale articolata dal T.. Peraltro la Corte di appello torinese ha motivato anche sull’irrilevanza della prova testimoniale che ha ritenuto non circostanziata, per ciò che concerne i dedotti esborsi di denaro che sarebbero stati effettuati esclusivamente da parte del T., e non idonea a provare l’esistenza di un negozio fiduciario e l’obbligo della M. di restituire al T. i beni che le vennero intestati con i negozi di cessione. La motivazione è congrua dal punto di vista logico, se confrontata con il tenore della prova testimoniale riportata nel ricorso per cassazione e con quello della prova testimoniale dedotta dalla M. e riportata nella sentenza della Corte di appello di Torino.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce la disapplicazione dell’art. 219 c.c., comma 1, laddove dispone che il coniuge può provare con ogni mezzo, nei confronti dell’altro, la proprietà esclusiva di un bene e il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente chiede a questa Corte di affermare il seguente principio di diritto: in letterale e logica interpretazione dell’art. 219 c.c., comma 1, nelle controversie fra coniugi in separazione dei beni, ciascuno dei coniugi può dimostrare, anche con mezzi diversi dalla controdichiarazione scritta, la proprietà (nella fattispecie della simulazione) o il diritto al ritrasferimento in capo a sè della proprietà (nella fattispecie del negozio fiduciario) di immobili intestati all’altro coniuge.

Per quanto si è detto sinora il motivo deve ritenersi assorbito dall’esame dei precedenti e comunque infondato.

Con il quinto motivo di ricorso si deduce l’erronea applicazione dell’art. 345 c.p.c. in correlazione all’art. 183 c.p.c. laddove è stata pronunciata l’inammissibilità in quanto nuova nel giudizio di appello della domanda alternativa di simulazione delle donazioni e il difetto di motivazione. Il ricorrente fa rilevare che la domanda diretta all’accertamento della simulazione delle donazioni è stata proposta, in via alternativa a quella originaria di restituzione dei beni in conseguenza dell’accertamento del negozio fiduciario, sin dalla memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c. del 20 marzo 2001 e cioè sin dal giudizio di primo grado.

Il motivo è da ritenersi sfornito di autosufficienza perchè non dimostra la effettiva proposizione della domanda di simulazione negli atti che vengono indicati ma di cui non viene riportato il contenuto, a fronte della motivazione resa in primo grado e in appello circa la intempestività della variazione della causa petendi. Peraltro il giudizio di irrilevanza della prova testimoniale, espresso dalla Corte di appello, quanto alla finalità di dimostrare l’esistenza del pactum fidnciae, che si incentra sul rilievo dell’assenza, nei capitoli di prova, di qualsiasi riferimento a un accordo che comportasse l’obbligo del ritrasferimento delle quote e dei beni costituenti il petitum della presente controversia. Tale giudizio sulla rilevanza della prova sarebbe stato necessariamente ribadito anche nell’ipotesi di ammissibilità della domanda di accertamento della simulazione.

Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui 200,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2011

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