Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18594 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 26/07/2017, (ud. 07/04/2017, dep.26/07/2017),  n. 18594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3895-2016 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO DEI LOMBARDI 4,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO TURCO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PAOLO D’URSO;

– ricorrente –

contro

LONGHIGNANA OVEST SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 2,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA CRIMI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ELVIRA PATITTONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2978/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/04/2017 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Ritenuto che la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 9 luglio 2015, ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano n. 11399 del 2010, che aveva parzialmente accolto la domanda proposta da L.M. e, per l’effetto, condannato Longhignana Ovest s.r.l. ad eliminare i difetti strutturali e i conseguenti danni, sulla base di quanto accertato a mezzo CTU nell’appartamento che la società aveva costruito e venduto all’attore, mentre aveva rigettato le ulteriori domande risarcitorie formulate dall’attore per carenza di prova;

che L.M. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, affidato a due motivi, ed ha depositato memoria;

che la società Longhignana Ovest s.rl.l. resiste con controricorso.

Considerato che il relatore ha formulato proposta di decisione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel senso della manifesta infondatezza del ricorso, che il Collegio condivide;

che con il primo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. e si contesta che, mentre il Tribunale aveva omesso di pronunciare sulla domanda di liquidazione del danno in via equitativa, che il sig. L. aveva proposto allegando il disagio patito (connesso alla inutilizzabilità del locale bagno, all’uso di mezzi suppletivi per riscaldare la casa e alla impossibilità di allontarsene perchè, in caso di pioggia, era necessario raccogliere l’acqua percolante), la Corte d’appello aveva rigettato la domanda per la genericità che la contrassegnava, in quanto l’appellante non aveva fornito alcuna indicazione che consentisse di liquidare il danno;

che con il secondo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. e si contesta il mancato riconoscimento in via equitativa del danno da deprezzamento dell’immobile;

che le doglianze, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione, sono infondate;

che in premessa si deve precisare che oggetto del sindacato di legittimità è l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nel rigettare la richiesta di liquidazione del danno in via equitativa per deprezzamento dell’immobile e per mancato uso del bagno, essendo queste le richieste dell’appellante su cui la Corte territoriale ha giudicato (pag. 2 sentenza);

che, quanto alla prima voce di danno, la stessa Corte ha argomentato il rigetto sulla carenza di prova, e perfino di allegazione, del deprezzamento dell’immobile, e quindi dell’an debeatur, evidenziando che i vizi e i difetti erano stati eliminati nel rispetto di standard di buona qualità;

che, quanto al mancato uso del locale bagno, la Corte territoriale ha rilevato che il sig. L. non aveva fornito alcun elemento di fatto utile ad apprezzare la consistenza del pregiudizio ai fini della sua liquidazione;

che la decisione è in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo cui l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, ciò che non esime, peraltro, la parte interessata – per consentire al giudice il concreto esercizio di tale potere, la cui sola funzione è di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso – dall’onere di dimostrare non solo l’an debeatur del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi in re ipsa, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre (così, tra le molte, Cass. 17/10/2016, n. 20889);

che al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese, nella misura indicata in dispositivo;

che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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