Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18594 del 09/09/2011

Cassazione civile sez. I, 09/09/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 09/09/2011), n.18594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.M.A. (OMISSIS), in proprio ed in qualità di

figlia ed erede del Sig. V.C., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA OVIDIO 32, presso lo studio degli avvocati D’ALESSIO

ANTONIO e GIANCARLO VIGLIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

VISCARDI ALFONSO, GRIMALDI EMILIA giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3600/07 R.G.V.G. della CORTE D’APPELLO di

NAPOLI del 18/06/08, depositato il 26/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

udito l’Avvocato Viscardi Alfonso, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che ha

concluso per l’inammissibilità del ricorso per genericità dei

quesiti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- Con il decreto impugnato la Corte di appello di Napoli ha rigettato la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 proposta da parte ricorrente – in proprio e nella qualità di erede – nei confronti del Ministero della Giustizia, in relazione alla dedotta irragionevole durata di un giudizio promosso dal proprio dante causa (deceduto nel (OMISSIS)) dinanzi al Tribunale di Salerno nel 1990 e non definito.

La Corte di merito ha evidenziato che al momento del decesso del dante causa dell’attrice – la quale non era intervenuta nel giudizio, interrotto solo nel 2006 e riassunto nei confronti degli eredi nel 2007 – il termine di durata ragionevole non era stato violato così come nei confronti di parte attrice in proprio non era decorso il termine di ragionevole durata a far tempo dal 2007, epoca della riassunzione.

Contro il detto decreto parte attrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero intimato resiste con controrticorso.

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.

2.- Con i motivi di ricorso parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 459 c.c. nonchè dell’art. 6 CEDU. Sostiene l’irrilevanza dell’intervento in causa dell’erede ai fini del diritto all’equa riparazione.

3.- Il ricorso è infondato.

In tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, spetta agli eredi la legittimazione alla proposizione della domanda di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo promosso dal loro dante causa prima dell’entrata in vigore della citata legge e, conseguentemente, va riconosciuto agli eredi, “pro quota”, l’equo indennizzo che sarebbe stato liquidato al loro dante causa per l’eccessiva durata del processo da lui promosso sino alla data della sua morte, al quale va aggiunto l’indennizzo (eventualmente) spettante per intero a ciascuno degli eredi per l’eccessiva durata della fase del processo successiva alla sua riassunzione (Sez. 1, Sentenza n. 2752 del 04/02/2011; Sez. 1, Sentenza n. 23939 del 09/11/2006). Invero, anche se la qualificazione ordinamentale negativa del processo, ossia la sua irragionevole durata, è stata già acquisita nel segmento temporale nel quale parte era il “de cuius” e permane anche in relazione alla valutazione della posizione del successore che subentra, pertanto, in un processo oggettivamente irragionevole -, per la commisurazione dell’indennizzo da riconoscere dovrà prendersi quale parametro di riferimento proprio la costituzione dell’erede in giudizio, posto che il sistema sanzionatorio delineato dalla Convenzione Europea e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia subito danni, patrimoniali e non patrimoniali, ed in relazione ad indennizzi modulabili in base al concreto patema subito (Sez. 1, Sentenza n. 2983/2008; Sez. 1, Sentenza n. 23416/2009).

Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 1.100,00 oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2011

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