Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18593 del 10/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 10/07/2019, (ud. 31/01/2019, dep. 10/07/2019), n.18593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7230-2018 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AURELIANA

2, presso lo studio dell’avvocato RENATO GIUSEPPE VERRENGIA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MILANO ASSICURAZIONI SPA, C.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3226/2017 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA

VETERE, depositata il 30/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 31/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LINA

RUBINO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. L.M. ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi e illustrato da memoria contro Milano Ass.ni s.p.a. e C.F., avverso la sentenza n. 3226/2017 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con la quale il tribunale rigettava l’appello da lei proposto in una causa di risarcimento danni da responsabilità civile automobilistica.

2. Gli intimati non hanno svolto attività difensive in questa sede.

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il Collegio, tenuto conto anche delle osservazioni contenute nella memoria, condivide le valutazioni contenute nella proposta del relatore nel senso della manifesta infondatezza del ricorso.

2. La L. conveniva in giudizio il C. e l’assicurazione di questi per la r.c.a chiedendo che fosse condannato a risarcirle il danno patrimoniale e non patrimoniale causatole allorchè, alla guida della sua autovettura, la travolgeva nel corso di una manovra in retromarcia mentre l’attrice, a piedi, sostava al bordo della strada.

Il giudice di pace accoglieva la domanda riconoscendo però un concorso di colpa della danneggiata nella misura del 40% e riducendo proporzionalmente l’importo che i convenuti erano condannati a corrispondere all’attrice.

Il tribunale rigettava l’appello della L., sulla base del principio secondo il quale in caso di investimento pedonale il pedone possa essere ritenuto corresponsabile allorchè il suo comportamento sia improntato a pericolosità ed imprudenza, e accertando che, nel caso di specie, la posizione assunta dalla pedone, ferma in una cunetta, ovvero non sul marciapiede ma in un avvallamento della sede stradale, costituisse una posizione anomala, che la rendeva meno avvistabile e più esposta al pericolo di investimento correttamente considerabile sotto il profilo del concorso di colpa.

3. I cinque motivi di ricorso relativi rispettivamente alla violazione dell’art. 2054 c.c., comma 1, degli artt. 140 e 191C.d.S., dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in quanto la sentenza sarebbe caratterizzata da motivazione totalmente inintellegibile, dalla omessa considerazione del fatto decisivo che il veicolo procedeva in retromarcia e degli artt. 1223 e 2043 c.c., laddove è stata integralmente rigettata la domanda volta al risarcimento del danno patrimoniale, sono infondati.

Il primo motivo è manifestamente inammissibile per mancanza di effettiva di correlazione alla motivazione: non considera l’inciso di essa che spiega, alla luce del successivo richiamo del principio di diritto a pagina 3 dalla sentenza, perchè il tribunale abbia ritenuto una responsabilità concorrente.

Il tribunale ha accertato, con accertamento in fatto in questa sede non rinnovabile, che la danneggiata, a piedi, sostava non sul marciapiedi, come imposto quale corretta e prudente regola di comportamento dall’art. 191 C.d.S., ma sulla sede stradale, benchè al bordo di essa, e, quanto alla sua esatta collocazione, “in una cunetta” ovvero in un avvallamento del fondo stradale tale da renderla poco visibile.

Premesso questo accertamento in fatto, ha constatato una violazione, da parte della ricorrente, delle regole di prudenza imposte dal Codice della Strada (in particolare, dall’art. 190, comma 1, che impone: 1. I pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti; qualora questi manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione; e del comma 4, in base al quale: 4. E’ vietato ai pedoni sostare o indugiare sulla carreggiata, salvo i casi di necessità). Peraltro, contrariamente a quanto affermato nella memoria, la motivazione della sentenza impugnata non si limita a registrare la violazione della norma, ma comprende anche la valutazione in concreto della pericolosità di tale posizione rispetto alla capacità del conducente del veicolo di localizzarla e quindi alla imprevedibilità della presenza del pedone sulla sede stradale, sulla base della quale ha accertato l’esistenza di un apporto concasuale nella provocazione del sinistro riconducibile alla condotta della danneggiata, ovvero di un concorso di colpa della stessa nella misura del 40%.

Anche il secondo motivo non collega adeguatamente il fondamento della decisione alla accertata violazione del codice della strada e all’apporto concausale conseguente al comportamento anomalo del pedone.

Con il terzo motivo censura un punto della motivazione enunciata quasi che fosse l’unica giustificazione della decisione adottata, omettendo di considerare il successivo riferimento all’art. 190 C.d.S., ed inoltre evoca le risultanze istruttorie cui fa riferimento il passo motivazionale censurato senza fornire l’indicazione specifica della motivazione della sentenza di primo grado, rispetto al cui apprezzamento argomenta il tribunale.

Quanto alle censure contenute nel quarto motivo, da un lato in esso si riproduce la testimonianza asseritamente favorevole dalla quale si ricava, al contrario, che la danneggiata usciva da casa per poi andare a posizionarsi nell’avvallamento, sicchè l’essere ferma al momento dell’investimento risulta circostanza fattuale succeduta ad un iniziale moto della medesima. Inoltre, le censure in iure in esso contenute fanno riferimento al senso di marcia, ma omettono di considerare l’art. 190, comma 4, che espressamente prevede il divieto di sosta sulla carreggiata, di cui fa parte la “cunetta”.

Il quinto motivo, con il quale la ricorrente lamenta il rigetto della domanda in ordine al risarcimento del danno patrimoniale, pari al costo della consulenza di parte, è parimenti infondato, potendosi interpretare la sentenza nel senso che la corte non abbia ritenuto provato l’avvenuto pagamento dell’attività professionale svolta in favore della ricorrente, e quindi abbia rigettato la domanda per mancanza di un danno liquidabile.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nulla sulle spese, in difetto di attività difensive da parte degli intimati.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 31 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2019

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