Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18590 del 07/09/2020

Cassazione civile sez. I, 07/09/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 07/09/2020), n.18590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10668/2015 proposto da:

S.G., ed S.A.M., elettivamente domiciliati

in Roma, Via Claudio Monteverdi, n. 20, presso lo studio

dell’avvocato Codacci Pisanelli Alfredo, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Robecchi Majnardi Ambrogio, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fondazione Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica – Cnao, (per

brevità, “Fondazione” o “Centro”), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Emilia, 86/90, presso lo studio dell’avvocato Corain Maurizio, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Lamberti Lorenzo,

giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Comune di Pavia, Provincia di Pavia;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1128/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/07/2020 dal cons. Dott. DE MARZO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 20 marzo 2014 la Corte d’appello di Milano, decidendo sulle cause riunite promosse, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 dalla Fondazione Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica – CNAO (d’ora innanzi, la Fondazione), beneficiaria della procedura espropriativa, da un lato, e da S.G., S.A.M. e C.I., soggetti espropriati, dall’altro, al fine di contestare l’ammontare dell’indennità d’esproprio determinata dal collegio arbitrale: a) ha provveduto alla determinazione dell’indennità d’esproprio e di occupazione legittima, condannando gli espropriati al pagamento delle spese del giudizio; b) ha dichiarato inammissibile l’intervento del Comune di Pavia.

2. La corte territoriale, premesso che l’intervento edificatorio al quale era finalizzata la procedura ablativa costituiva un opera privata di pubblica utilità, destinata ad essere realizzata da un ente di diritto privato (la Fondazione, appunto), ha rilevato: a) che l’opera era stata dichiarata di pubblica utilità in data 29 dicembre 2004, con conseguente applicabilità del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 36 e del criterio del valore venale del bene, indipendentemente dalla natura edificatoria o agricola dell’area; b) ha recepito, nei termini che si diranno esaminando i singoli motivi di ricorso, le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.

3. Avverso tale sentenza S.G. e S.A.M. (la C., usufruttuaria, è deceduta prima della proposizione dell’atto di impugnazione) hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, ai quali ha resistito la Fondazione, che ha proposto ricorso incidentale affidato a due motivi. Il Comune e la Provincia di Pavia non hanno svolto attività difensiva. I ricorrenti e la controricorrente hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, per avere la Corte territoriale fondato la propria decisione sull’erroneo presupposto della non contestazione, da parte dei ricorrenti, di fatti affermati dalla controparte.

Si osserva, in particolare, con riguardo alla determinazione dell’indennità relativa alle aree destinate a servizi: a) che la Corte d’appello aveva ritenuto non contestati i valori del listino dell’Agenzia del Territorio, che, peraltro, secondo la stessa sentenza impugnata, gli S. avevano considerato del tutto inattendibili, per quanto concerne sia le abitazioni che gli uffici; b) che, nel disattendere il pur errato calcolo del consulente tecnico d’ufficio, la Corte d’appello era giunta ad una determinazione, corrispondente a quanto indicato nella controparte nella tabella allegata alla memoria depositata il 25 novembre 2010, sulla base di calcoli, ancora una volta erroneamente ritenuti non contestati dai medesimi ricorrenti; c) che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, essi avevano indicato reiteratamente in tre e non in quattro anni il tempo di costruzione, ai fini della determinazione dei costi rilevanti per l’impiego del criterio estimativo del valore di trasformazione; d) che, infine, ancora una volta erroneamente, la Corte territoriale aveva ritenuto non contestato dagli S. il valore finale della parte di area espropriata, destinata a servizi. La doglianza è infondata.

La Corte territoriale dà ampiamente conto delle ragioni di contrasto tra le parti in ordine agli elementi da considerare per la determinazione del valore dell’area.

Più nel dettaglio, si osserva: a) la considerazione della Corte d’appello, secondo cui i ricorrenti non avrebbero contestato il fatto che il listino dell’Agenzia del Territorio è “coerente ed affidabile, fondato su un metodo di rilevanza accurato e su diverse fonti”, non vale ad attribuire significato determinante, come dimostra l’esame dell’intero apparato motivazionale, ai valori individuati dal listino, ma solo a spiegare le ragioni per le quali l’incontestata metodologia di raccolta dei dati giustifica la considerazione di questi ultimi come uno degli elementi considerati dalla Corte; b) in altre parole, siffatta considerazione non ha condotto affatto a omettere l’esame delle critiche degli espropriati, che invece la sentenza esamina a lungo, andando a mediare i valori; c) la considerazione della mancata contestazione dei calcoli, tenuto conto dell’apparato argomentativo della sentenza impugnata, attiene al risultato delle operazioni, i cui elementi sono, invece, il frutto della articolata analisi delle posizioni delle parti; d) quest’ultima osservazione vale, del resto, anche per il tema della durata ragionevole dell’intervento di realizzazione, determinata dalla Corte d’appello in quattro anni alla luce delle caratteristiche dell’opera e non certo per effetto di una mancata contestazione che, peraltro, collide con lo spazio dedicato alle obiezioni sul punto degli odierni ricorrenti.

In altre parole, attraverso il richiamo all’art. 115 c.p.c., i ricorrenti principali finiscono per aspirare ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie preclusa in sede di legittimità.

2. Con il secondo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, per avere la Corte d’appello disatteso le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, senza operare secondo un prudente apprezzamento e con motivazione contraddittoria. Si osserva che il giudice di merito aveva sconfessato i dati elaborati dal consulente utilizzandone acriticamente altri forniti dalla controparte, sfruttando il meccanismo processuale della non contestazione.

La doglianza è inammissibile.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1229).

Infine, là dove prospetta il vizio di motivazione, il motivo di ricorso propone una censura che non è più ammessa nel regime di sindacato minimale ex art. 360 c.p.c., n. 5 novellato.

La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, n. 33679) nell’affermare che: il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.

3. Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 37 e 40 e falsa applicazione dell’art. 36 stesso D.P.R., nonchè omessa o insufficiente motivazione, per avere escluso la natura non edificabile dei fondi.

Il motivo è infondato, perchè: a) insiste nel voler applicare il criterio di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 escluso dalla Corte territoriale in relazione alla natura di opera privata di pubblica utilità del bene del quale si tratta; b) a monte, deduce genericamente il carattere conformativo di un vincolo, al contrario, di natura lenticolare (sulla rilevanza della nozione, v., di recente, Cass. 20 febbraio 2018, n. 4100) e quindi espropriativo; c) perchè infine valorizza un dato – l’assenza di accreditamento istituzionale degli S., necessario per l’edificazione da parte dei privati – che non incide sul valore dell’area, ma solo sullo sfruttamento diretto da parte dei ricorrenti principali.

4. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 36 nonchè omessa o insufficiente motivazione.

Nella misura in cui le censure non restano travolte dal rigetto del motivo precedente, si tratta di doglianze che investono la determinazione del valore dell’area, aspirando una rivalutazione delle risultanze istruttorie preclusa in sede di legittimità.

5. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati. Attesa la reciproca soccombenza vanno compensare le spese del giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2020

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